A un anno dalla scomparsa di Mirella Freni, si susseguono iniziative volte a ricordarne la personalità. La città di Modena ha deciso di intitolare il Teatro Comunale anche a lei, oltre che a Luciano Pavarotti, prolungando nella memoria la grande amicizia che li ha uniti in vita. La stessa istituzione che da ora in poi porterà anche il nome del soprano modenese, dedica a lei e a Nicolai Ghiaurov, suo compagno di scena e di vita, la recita di Don Carlo di Giuseppe Verdi, eseguita in forma di concerto il 1° febbraio 2021, ripresa dalle telecamere e trasmessa il 4 febbraio sul portale Opera Streaming; proprio a tale video fa riferimento la seguente recensione.
Per onorare i due cantanti in quanto grandi interpreti di quest’opera e cittadini modenesi, la scelta ricade sulla versione in quattro atti, approntata per la Scala nel 1884, che aiuta a rendere il discorso più conciso, cosa non da poco in questi tempi di restrizioni, ma omette il vero motore drammatico della tragedia, quella rinuncia di Elisabetta alla felicità in virtù della ragion di Stato, alla ricerca di una pace che è il grande anelito dei personaggi femminili del Verdi maturo, da Leonora della Forza ad Amneris. Tuttavia anche la versione in quattro atti risulta essere uno sforzo produttivo non da poco per qualsiasi teatro, pertanto va dato l’onore delle armi all’istituzione modenese per averne approntata una esecuzione anche solo concertante in questi tempi difficili.
A capo dell’Orchestra dell’Emilia Romagna Arturo Toscanini, Jordi Bernàcer imprime una lettura serrata nei tempi, che privilegia una narrazione spedita e concisa. Si segnalano dunque momenti effettivamente ben mossi, come l’accompagnamento guizzante del duetto tra Posa e Filippo, ma anche altri più solenni e tragici, senza eccessi di pesantezza, per cui l’introduzione di “Ella giammai m’amò” sembra una vera discesa “nell’avello dell’Escurial” attraverso la tetra scala che ancora porta laggiù. Anche se scappa qualche clangore di troppo e alcuni passaggi potevano essere curati meglio, si veda l’accompagnamento di “O don fatale”, la prestazione del direttore è nel complesso apprezzabile. Il Coro Lirico di Modena, preparato da Stefano Colò, assolve egregiamente alle sue funzioni, specialmente nella componente maschile che si distingue in un “Carlo il sommo imperatore” di apertura eseguito in piano con la giusta solennità e mistero.
Il cast appare discontinuo. Nel ruolo del protagonista, Andrea Caré è per lo più a disagio negli acuti, tanto che il tenore riesce a malapena a sfiorare il si naturale di “Sarò tuo salvator, popol fiammingo, io sol” nella scena dell’autodafé. Il suo vero punto di forza appare il registro centrale (su cui gravita la tessitura del ruolo), ben impostato, ma soprattutto sfruttato a fini espressivi, con sfumature nei punti giusti e un fraseggio ben calibrato in modo da costruire un personaggio anche in una esecuzione concertante, come dimostra il tormentatissimo primo duetto con Elisabetta. Luca Salsi è un Rodrigo di stampo poco nobile. Inizia forzando l’emissione, per poi assumere un maggior controllo nel corso della recita. Rimangono comunque una serie di eccessi, come “La pace dei sepolcri” improntato a un gusto verista poco consono, e una idea di cesellatura della frase che sa di manierismo fine a se stesso.
Michele Pertusi veste i panni di Filippo II regalando momenti da vero grande interprete, come il duetto con Posa, fraseggiato con una proprietà di accenti encomiabile che culmina in un sinistro e quasi terribile “Ti guarda dal Grande Inquisitore”, ma anche quello con lo stesso Inquisitore è analizzato in un perfetto arrovellamento che ben illustra il tormento del personaggio. Ben cantata ma un filo generica nel fraseggio l’aria “Ella giammai m’amò”. Non memorabile appare l’Inquisitore di Ramaz Chikviladze, che con la sua voce un po’ troppo spinta e piuttosto chiara rispetto a quanto siamo abituati a sentire nel ruolo, tratteggia un personaggio esteriore. Ben centrato invece risulta il frate di Adriano Gramigni, a suo agio negli interventi di inizio e chiusura di opera.
Sul versante femminile, Anna Pirozzi è una Elisabetta vocalmente affidabile e professionale ma piuttosto generica nell’espressione, caratterizzata da un fraseggio prevedibile. Come Eboli, Judit Kutasi sembra troppo impegnata a gonfiare una voce apprezzabile in zona centrale e grave, ma contraddistinta da qualche acuto aperto, come il do bemolle di “O don fatale”; il personaggio poi latita, essendo il fraseggio inerte e la dizione arruffata. Completano il cast Michela Antenucci, che tratteggia un Tebaldo funzionale e si fa ben valere come Voce dal Cielo, e Andrea Galli, efficace sia come Conte di Lerma che come araldo.
Teatro Comunale Luciano Pavarotti
DON CARLO
Opera in quattro atti
Libretto di Joseph Méry e Camille Du Locle,
traduzione italiana di Achille de Lauzières e Angelo Zanardini
Musica di Giuseppe Verdi
Filippo II Michele Pertusi
Don Carlo Andrea Caré
Rodrigo, Marchese di Posa Luca Salsi
Il Grande Inquisitore Ramak Chikviladze
Un frate Adriano Gramigni
Elisabetta di Valois Anna Pirozzi
Principessa Eboli Judit Kutasi
Tebaldo/Una voce dal cielo Michela Antenucci
Conte di Lerma/un araldo reale Andrea Galli
Orchestra dell’Emilia Romagna Arturo Toscanini
Coro Lirico di Modena
Direttore Jordi Bernàcer
Maestro del coro Stefano Colò
Nuova produzione Fondazione Teatro Comunale di Modena,
Fondazione I Teatri di Reggio Emilia, Fondazione Teatri di Piacenza
Streaming da Modena, 4 febbraio 2021