Chiudi

Milano, Teatro alla Scala – Salome

Condivisioni

Dopo tante peripezie, Salome può finalmente andare in scena al Teatro alla Scala. La celeberrima opera di Richard Strauss avrebbe difatti dovuto debuttare, con un nuovo allestimento, domenica 8 marzo 2020, diretta da Riccardo Chailly, protagonisti Malin Byström e Michael Volle; le prove erano già a buon punto quando, il 23 febbraio, le attività teatrali sono state bruscamente interrotte a causa della pandemia tuttora in corso. A un anno di distanza, una delle produzioni forse più attese della trascorsa stagione viene eseguita senza pubblico e trasmessa in differita sabato 20 febbraio alle ore 20.00 su Rai5, Raiplay, Rai Radio 3 e circuito Euroradio; noi l’abbiamo seguita in teatro venerdì pomeriggio.
L’atto unico straussiano, su libretto di Hedwig Lachmann dall’omonimo dramma teatrale di Oscar Wilde, tenuto a battesimo a Dresda nel 1905 e assente da Milano dal 2007, è la seconda opera in forma scenica proposta per il 2021 al Piermarini, dopo Così fan tutte, nonché la prima nuova produzione a seguito del confinamento della passata primavera.

Sul podio dell’ampia compagine scaligera, posizionata in platea, avremmo dovuto trovare Zubin Mehta; a motivo di un malore occorso negli scorsi giorni e fortunatamente superato, le redini sono state prese dal Direttore Musicale del teatro meneghino, Riccardo Chailly. Stando all’ascolto in teatro, con gestualità scattante il maestro milanese dà vita a una lettura rutilante e lussureggiante, dalle sonorità corpose e di vivida tinta espressionista, all’occorrenza alleggerite in suoni maggiormente ovattati, di consistenza serica. Con precisione e rigore, Chailly scandaglia minuziosamente a fondo la partitura, sbalzando con acribia i singoli temi musicali e i preziosismi che la costellano. Tra i momenti probabilmente più conosciuti della performance, la “Tanz der sieben Schleier” è affrontata con piglio vigoroso e, al contempo, languidamente sensuale, risultando intrisa di erotismo e seducente voluttà.

Di buon livello la compagnia di canto scritturata, completamente rinnovata rispetto a quella in programma per il 2020. Nel ruolo del titolo debutta al Piermarini il soprano Elena Stikhina, già nota allo scrivente per la sua fortunata Médée salisburghese del 2019. La cantante russa emerge per una tecnica solida e per una vocalità di buon peso e, nel complesso, abbastanza omogenea, che ha il suo punto di forza in un registro acuto corposo e ben sfogato. Dal punto di vista scenico, interpreta con convinzione una Salome volitiva e, contemporaneamente, fragile e infantile, sia vittima che carnefice: una donna ferita ma, al contempo, pronta a ferire e a riscattarsi, condizionata dal clima lussurioso e cinico dell’ambiente nel quale è cresciuta.
Il basso-baritono tedesco Wolfgang Koch è un Jochanaan autoritario e granitico, dallo strumento vocale morbido, di grana scura e che corre facilmente per l’ampia sala del Piermarini, nitido nella dizione e ieratico nel physique du rôle. Specialista del ruolo, il tenore tedesco Gerhard Siegel dipinge un Herodes per nulla macchiettistico, vocalmente squillante e mercuriale nel fraseggio, dovizioso di inflessioni. Accanto a lui, l’americana Linda Watson è una Herodias scenicamente carismatica, dalla voce voluminosa e potente, emessa tutto sommato con omogeneità, fortunatamente distante dalle Erodiadi senescenti e svociate di certa tradizione.
Il Narraboth del tenore tedesco Attilio Glaser si distingue per la vocalità brillante e luminosa; Lioba Braun è un Paggio di Herodias dallo strumento mezzosopranile invero non debordante ma dalla timbrica di velluto. Valida la folta schiera dei comprimari; ricordiamo, almeno, il musicale ed elegante Nazareno del basso-baritono austriaco Thomas Tatzl e il sonoro Sorino Coliban (Primo soldato).

Alla sua prima collaborazione con il maestro Chailly, firma la regia uno degli artisti più in voga e divisivi della scena italiana e internazionale, Damiano Michieletto, che concepisce uno spettacolo visionario, di forte impatto estetico, ricco di simbolismi. La vicenda di Salome viene trasposta ai giorni nostri e letta come un odierno dramma familiare dai risvolti dark e morbosi; fondamentale è infatti, in questa chiave di lettura, il tema della famiglia della fanciulla, del suo vissuto, compresi gli antefatti: Salome è figlia di Erodiade e di Erode Filippo, fatto uccidere dalla moglie per poter sposare il di lui fratello, Erode Antipa. Grazie alla voce profetica di Jochanaan, tutto ciò viene a galla, riaffiorando alla mente della protagonista (duplicata in scena da una figurante bambina), che richiama così alla memoria gli avvenimenti della sua infanzia: il rapporto affettivo con il padre, il suo omicidio, i ripetuti abusi subiti dal patrigno. Testimone oculare e silenzioso di questi avvenimenti è il Paggio di Herodias, da Michieletto reinterpretato come l’anziana governante di Salome.
La produzione si avvale delle scene asettiche e pulite di Paolo Fantin: il palcoscenico è dominato da una sorta di atemporale cubo bianco, che si rivelerà essere il mausoleo di Erode Filippo; sul fondo è presente una grande parete scorrevole che mostra il banchetto di Herodes e dalla quale si palesano apparizioni e ricordi. Il candore abbacinante della scenografia è, via via, contaminato da elementi quali piume nere, la terra della cisterna-prigione, un’incombente sfera lucida nera (rimando alla luna più volte menzionata nel libretto) e, soprattutto, sangue. Sangue, giustappunto, come quello che zampilla dalla testa mozzata del Battista, raccolto in un bacile d’argento al quale si abbevera in maniera ancestrale e irrazionale la perversa fanciulla, o come quello che enigmatici e aitanti angeli della morte versano da un calice sulla gola di un agnello sgozzato (“Ecce agnus Dei, qui tollit peccatum mundi”, come recita Giovanni il Battista nel Nuovo Testamento), sul cadavere di Erode Filippo e sul collo e il petto di Salome, poco prima del drammatico finale. Nell’economia dello spettacolo non mancano, altresì, riferimenti al mondo dell’arte, con una reinterpretazione astratta del celebre acquerello del 1875 L’apparizione di Gustave Moreau, oggi al Museo d’Orsay e citato anche da Marcel Proust nella sua mastodontica Recherche. Completano l’allestimento i costumi sobri e di taglio contemporaneo di Carla Teti, giocati principalmente su cromie neutre (eccezion fatta per la tunica lilla di Salome), e le efficaci luci di Alessandro Carletti, viranti dal bianco immacolato a tinte maggiormente fauves. Menzioniamo, infine, le icastiche coreografie di Thomas Wilhelm per la sfrenata “Tanz”, risolta in chiave psicanalitica e sacrificale: sei ballerini con maschere tribali e in abito gessato – allusione ad Herodes e alle sue violenze perpetrate nei confronti della figliastra – molestano la protagonista, innalzandola addirittura sulla porta di fondo come se fosse un crocefisso; alla fine della danza, Salome recupera dal proscenio e indossa una candida e virginale veste sacrificale dalla quale pende un’ampia corolla di fili rossi, una raccapricciante pioggia di lacrime di sangue evocante un sacrificio necessario e inevitabile: quello di Salome, “Prinzessin von Judäa”.

Teatro alla Scala – Stagione 2020/21
SALOME
Dramma in un atto dall’omonimo poema di Oscar Wilde
nella traduzione tedesca di Hedwig Lachmann

Musica di Richard Strauss

Herodes Gerhard Siegel
Herodias Linda Watson
Salome Elena Stikhina
Jochanaan Wolfgang Koch
Narraboth Attilio Glaser
Ein Page der Herodias Lioba Braun
Fünf Juden Matthäus Schmidlechner, Matthias Stier,
Patrick Vogel, Thomas Ebenstein, Andrew Harris

Zwei Nazarener Thomas Tatzl, Manuel Walser
Zwei Soldaten Sorin Coliban, Sejong Chang
Ein Kappadozier Paul Grant
Ein Sklave Chuan Wang

Orchestra del Teatro alla Scala
Direttore Riccardo Chailly
Regia Damiano Michieletto
Scene Paolo Fantin
Costumi Carla Teti
Luci Alessandro Carletti
Coreografia Thomas Wilhelm
Nuova produzione Teatro alla Scala
Milano, 19 febbraio 2021

image_print
Connessi all'Opera - Tutti i diritti riservati / Sullo sfondo: National Centre for the Performing Arts, Pechino