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Milano, Teatro alla Scala – Madina (con Roberto Bolle)

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Inizialmente programmato per marzo 2020 ma posticipato a causa dei ben noti motivi, debutta finalmente in prima assoluta, al Teatro alla Scala, uno degli spettacoli forse più attesi della stagione, un lavoro complesso e articolato di teatro danza e di impegno civile che unisce musica, ballo, canto e recitazione: Madina. Su libretto della scrittrice francese Emmanuelle de Villepin, tratto dal proprio romanzo del 2008 La ragazza che non voleva morire, la rappresentazione, in un primo momento pensata come opera lirica ma poi rimodulata nella forma di balletto melologo, porta in scena tematiche di scottante attualità con drammatica pregnanza: l’integralismo religioso, il terrorismo, le atrocità della guerra, la violenza sulle donne e il loro sfruttamento. Nel libro su cui si basa, la protagonista Madina è una giovane cecena, orfana dei genitori morti durante il bombardamento di Grozny e vittima di uno stupro da parte di soldati russi ubriachi; per lavare l’onta, il crudele e manipolatore zio Kamzan, invasato guerrigliero wahabita, costringe brutalmente (anche servendosi di droghe) la nipote a compiere un attentato terroristico suicida ma, in un attimo di lucidità e di ritrovata umanità, Madina sceglie la vita, decide di non morire. A causa della morte dell’artificiere chiamato a disinnescare la cintura esplosiva, la ragazza cecena viene condannata a vent’anni di carcere; inutilmente Olga, l’occidentale zia materna di Madina, e il giornalista blasé Louis de Monfalcon, ambedue a Parigi, cercheranno di salvarla. Piuttosto, finiranno per salvarsi a vicenda grazie a un amore puro e catartico, unico raggio di luce in una tenebrosa storia di dolore e macerie. Nello spettacolo al Piermarini, la trama viene spogliata dei connotati storici narrati nel romanzo, assumendo così un aspetto di maggiori universalità e trasversalità, e viene ambientata in un indefinito, imprecisato Oriente contemporaneo.

La partitura è affidata a uno dei compositori italiani viventi più noti ed eseguiti a livello mondiale, di casa a Milano (chi scrive ricorda con fascinazione la sua opera del 2007 Teneke): Fabio Vacchi. L’artista bolognese dà vita a una musica di innegabile potenza espressiva, evocativa e poco narrativa, atmosferica e per nulla ostica o criptica a un primo ascolto, giocata su rispecchiamenti e rifrazioni tra temi sonori e soggetto raccontato. Vacchi fonde con naturalezza matrici popolari etniche extraeuropee (di sapore mediorientale), musica colta occidentale e un raffinato senso dell’orchestrazione di ascendenza mahleriana e raveliana, servendosi di un linguaggio metamorfico, penetrante e avvolgente, in perfetto equilibrio tra innovazione e tradizione, profondità e leggerezza, complessità e linearità, nonché della giustapposizione di differenti modi drammaturgici (canto, brani recitati, melologhi, interventi corali). In una creazione così sfaccettata e vitale, non mancano richiami a temi musicali canonici, quale per esempio il Leitmotiv evocante il cinguettio dell’usignolo, dato dalla fusione di flauti e ottavini e associato al “puro folle” Kamzan, che il padre Sultan era solito chiamare, quando era un bambino, “Usignolo il brigante”.

Sul podio dell’Orchestra del Teatro alla Scala troviamo un giovane e raffinato interprete di composizioni tardonovecentesche e contemporanee, che ha all’attivo la direzione di brani, fra gli altri, di Luciano Berio, Thomas Adès e Luca Francesconi: Michele Gamba. Con gestualità scattante e incisiva, elegante e al contempo energica, il maestro milanese dà, della poliedrica partitura, una lettura incalzante e fluida, vigorosa e coesa, lavorando di lima e di cesello per meglio sbalzare le tonalità, le tematiche, le dinamiche che costellano il pentagramma, scandagliandone a fondo la texture contrappuntistica. Ne scaturisce, così, una direzione potentemente drammatica e cupa, esacerbata e tesa, culminante nel parossistico climax finale, un tripudio orgiastico e violento di incessanti percussioni. A effetto gli interventi del Coro scaligero, guidato da Alberto Malazzi, a causa del Covid registrati e spazializzati tramite la tecnologia, così da creare un’atmosfera immersiva e straniante, avvolgendo e coinvolgendo gli spettatori in una polifonia simbiotica tra reminiscenze folcloristiche orientali e occidentali.

Per l’occasione, il Corpo di ballo del Teatro alla Scala è nelle sapienti e creative mani di Mauro Bigonzetti, già noto al pubblico del Piermarini (come dimenticare la sua versione graffiante, scanzonata e vigorosa di Cinderella di Prokof’ev?). In sintonia con la trama e la musica, il coreografo romano concepisce uno spettacolo di forte impatto visivo, intriso di sensualità e densità, che insiste su di una corporeità espressiva e straziata, in cui i fisici dei danzatori sono portati al massimo della tensione e dello sforzo. Bigonzetti alterna con intelligenza scene di gruppo a presenze solistiche o di un numero ristretto di ballerini, in un’interpretazione organica e viscerale. Tra i momenti salienti della serata, citiamo almeno le parti corali degli Interludi orchestrali, nelle quali emerge con prepotenza la fisicità dei danzatori, con icastici rimandi visivi all’Inferno dantesco; da cardiopalma lo straziante finale, con Madina al proscenio che si dimena sul corpo martoriato dello zio Kamzan, torturato e ucciso, in una tragica riattualizzazione di un Vesperbild laico e profano, dove vittima e carnefice sono nuovamente uniti in un legame morboso. Un ruolo importante, nell’economia drammaturgica, lo ricopre la tecnologia. Carlo Cerri firma, infatti, una scenografia estremamente fredda e asettica, con colonne d’acciaio e ferro e un led wall che spesso funge da filtro e da parete trasparente, e sul quale vengono via via proiettate immagini fisse e filmate di incendi, macerie, vetri bagnati dalla pioggia (video a cura di Cerri stesso, Alessandro Grisendi e Marco Noviello); reticolo che, quando assume l’aspetto di muro trasparente, mostra i ballerini, fondendo così corporeità e scienza tecnologica. Pregnanti le luci di Cerri, giocate prettamente su cromie violente e calde, con una prevalenza del rosso; curati i costumi di foggia contemporanea di Maurizio Millenotti.

Sicuramente sugli scudi la compagnia di ballo. Antonella Albano, prima ballerina della Scala, è una Madina estremamente passionale e forte, viscerale e intensa, dalla mimica facciale espressiva e tagliente, dal fisico estremamente flessibile, in grado di comunicare e di emozionare attraverso un marcato linguaggio corporeo e una tecnica ferrea. La Albano incarna appieno un personaggio simbolo di resilienza e resistenza, una sorta di eroina dell’antichità audace e, al contempo, vulnerabile. Accanto a lei, brilla lo spietato e brutale Kamzan dell’étoile Roberto Bolle, per la prima volta nei panni di un muscoloso villain sadico e folle, reso dal celebre danzatore con vigoria, trasporto, atletismo, pose plastiche e immedesimazione, in una gara di bravura e fisicità con la Albano. Gabriele Corrado è un Sultan energico ed elegante, ben calato nella parte dell’eroico e umile padre di Kamzan. Sinuosa, leggiadra e affascinante la Olga della prima ballerina Martina Arduino; vitalistico e scattante il Louis di Gioacchino Starace.
Sul piano canoro, il tenore cinese Chuan Wang, dalla vocalità luminosa emessa con garbo, dalla linea vocale trattenuta, impersona con convinzione l’integrità di Sultan e l’indecisione di Louis; il mezzosoprano italo-tedesco Anna-Doris Capitelli, in possesso di uno strumento di bel colore avvolgente e vellutato, si distingue per il lirismo infuso nella seducente Olga e nell’unica aria di Madina, “Non volevo morire e non volevo ammazzare”. Chiude il trio il talentuoso attore Fabrizio Falco, dalla dizione nitida e dalla recitazione vibrante, che dà via via voce a svariati personaggi e differenti punti di vista: da un anonimo guerrigliero a Louis, dalle memorie di guerra di Sultan alla confessione di Madina.
Teatro esaurito e festante successo di pubblico, con dieci minuti di scroscianti applausi; picchi di entusiasmo per Roberto Bolle, Antonella Albano, Mauro Bigonzetti, Michele Gamba, Fabio Vacchi e Emmanuelle de Villepin.

Teatro alla Scala – Stagione d’Opera e Balletto 2020/21
MADINA
Teatro-Danza in tre quadri
Libretto di Emmanuelle de Villepin
tratto dal suo romanzo La ragazza che non voleva morire

Musica di Fabio Vacchi

Kamzan Roberto Bolle
Madina Antonella Albano
Olga Martina Arduino
Louis Gioacchino Starace
Sultan Gabriele Corrado
Mezzosoprano Anna-Doris Capitelli
Tenore Chuan Wang
Attore Fabrizio Falco

Corpo di Ballo, Orchestra e Coro del Teatro alla Scala
Coreografia Mauro Bigonzetti
Direttore Michele Gamba
Maestro del coro Alberto Malazzi
Scene e luci Carlo Cerri
Costumi Maurizio Millenotti
Costumista collaboratore Irene Monti
Video designer Carlo Cerri, Alessandro Grisendi e Marco Noviello
Nuova Produzione Teatro alla Scala
Commissione Teatro alla Scala e SIAE

Milano, 7 ottobre 2021

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