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Milano, Teatro alla Scala – La Calisto

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Il Seicento fantasioso, eccentrico, sensuale, neoplatonico e surreale di Francesco Cavalli approda – finalmente, verrebbe da dire – al Teatro alla Scala. Viene infatti eseguito per la prima volta, sulle tavole del Piermarini, uno dei massimi capolavori del compositore nativo di Crema, allievo del “divino Claudio” Monteverdi, una rocambolesca storia eroicomica in cui si fondono erotismo, mitologia, cross-dressing, saffismo, abusi di potere, relazioni adulterine, punizioni divine, metamorfosi e apoteosi: La Calisto. Dramma per musica in un prologo e tre atti, su testo del librettista e impresario teatrale veneziano Giovanni Faustini, tratto dal celebre poema di Ovidio Le Metamorfosi, debuttò al Teatro Sant’Apollinare di Venezia nel 1651, con un’accoglienza abbastanza fredda. In tempi moderni, l’opera è stata messa in scena raramente, pur riscuotendo un buon successo grazie a produzioni entrate negli annali. Ricordiamo, almeno, quella del 1970 al Festival di Glyndebourne, protagoniste Ileana Cotrubas e Janet Baker dirette da Raymond Leppard, riproposta anche negli anni successivi; quella storica del 1993 di Herbert Wernicke e René Jacobs al Théâtre Royal de la Monnaie di Bruxelles, ripresa nel 1996 a Berlino, a Salisburgo nel ‘98, a Lione nel ‘99 e a Vienna nel 2003; quella del 2017 all’Opéra National du Rhin di Strasburgo con Elena Tsallagova, Vivica Genaux e Filippo Mineccia.

Sul podio dell’Orchestra del Teatro alla Scala su strumenti storici, integrata con l’ensemble Les Talens Lyriques troviamo, come a Strasburgo, il clavicembalista e direttore d’orchestra Christophe Rousset, fondatore del gruppo musicale francese e già applaudito dal pubblico scaligero nel 2013 per La scala di seta con regia di Damiano Michieletto. Il maestro adotta una propria edizione critica, che ben si confà al grande spazio teatrale del Piermarini: la tessitura musicale viene così ampliata, per esempio raddoppiando i violini, aggiungendo alcuni strumenti a fiato (flauti dolci e cornetti), arricchendo il gruppo del basso continuo (formato, per l’occasione, da violoncello, clavicembali, organo, regale, tiorbe, chitarre barocche, arpa e lirone); inoltre, vengono incrementati alcuni ritornelli e, alla fine del secondo atto, al posto del balletto mancante viene eseguita l’ouverture dell’opera del 1653 L’Orione, il tutto per circa due ore e mezza di musica. Con gusto e raffinatezza, Rousset passa con disinvoltura e fluidità dai recitativi al canto misurato, ai duetti e ai terzetti, tessendo un tappeto sonoro crepitante e nitido, arioso e caleidoscopico, rifinito con politezza, tenendo con salda naturalezza le fila del discorso. Ne scaturisce, così, una lettura delicata, duttile e impeccabile, in cui si susseguono sonorità briose e cangianti ad altre sognanti e ovattate; una direzione molto apprezzata dagli spettatori, come dimostrato dall’entusiasmo che ha accolto Rousset al suo ingresso in buca dopo l’intervallo.

Il bello spettacolo porta la firma di David McVicar, che tutti probabilmente ricorderanno per la mirabolante produzione de Les Troyens proposta a Milano nel 2014. La vicenda è trasposta in un’epoca che allude al Seicento, agli anni di Galileo Galilei (a lui si deve, tra l’altro, la scoperta nel 1610 di Callisto, uno dei satelliti naturali del pianeta Giove). Il palcoscenico (scene di Charles Edwards) è occupato da un osservatorio astronomico con pavimento inclinato e, al centro, un enorme telescopio rotante, strumento attraverso il quale Endimione, seguace della conoscenza umanistica, osserva la luna e le stelle. Durante il prologo assistiamo a un simposio di scienziati, riferimento alla rivoluzione copernicana e al pensiero galileiano. Non mancano, altresì, rimandi alla Venezia del XVII secolo, oasi di libertà intellettuale (e sessuale), in opposizione alla visione oscurantista vaticana incarnata da Giunone, nonché alla fastosità barocca (si veda, per esempio, l’opulento carro di Giove che scende dal cielo, vera e propria macchina scenica con due gigantesche aquile, soffici nuvole bianche e un trono). McVicar fa muovere con maestria e scioltezza i cantanti, grazie anche alla passerella che corre attorno alla buca dell’orchestra, collegando il palcoscenico alla platea, senza mai calcare la mano nelle scene di seduzione; ben caratterizzati e individualizzati i singoli personaggi, compresi i mimi, le agguerrite ed energiche ninfe Stefania Bovolenta, Elena Dalé e Aurora Dal Maso, e gli scalmanati e belluini satiri erotomani di Claudio Pellegrini, Luca Tomao e Antonio Catalano. L’allestimento è arricchito dalle atmosferiche luci di Adam Silverman, con una preponderanza del blu; dai video di Rob Vale (vedute veneziane di Canaletto, cieli stellati, paesaggi boschivi, specchi d’acqua, le fiamme di Fetonte e l’immancabile Orsa Maggiore); dall’efficace coreografia di Jo Meredith. Una menzione di merito per gli elaboratissimi costumi polimaterici di Doey Lüthi, estremamente fantasiosi ed eclettici, che ben rendono il clima sfaccettato e a tratti surreale dell’opera, passando dall’abito in stile Re Sole di Giove a quello metallico di Diana. Uno spettacolo, a conti fatti, calibrato e ben riuscito, nel quale convivono armoniosamente momenti ridanciani (dati soprattutto dalla presenza in scena delle frenetiche creature boschive, rappresentanti degli istinti più bassi e animaleschi), a oasi di immacolata poesia e di elegiaca malinconia (a titolo esemplificativo, l’addormentamento eterno di Endimione sul monte Latmos e il melanconico finale, con la separazione tra Giove e Calisto, quest’ultima imbavagliata con una museruola in attesa di essere trasformata in costellazione).

Di livello il cast internazionale scritturato. Il soprano israeliano Chen Reiss veste con sensualità e leggiadria i panni della protagonista. La voce da soprano leggero risuona squisita e di bel timbro limpido e luminoso, argentina e brillante negli acuti, meno corposa nei gravi; l’interprete è partecipe e sensibile, delineando con credibilità una ninfa accorata e, all’occorrenza, innamorata. Il basso Luca Tittoto è un Giove autoritario e signorile, di forte impatto e regale nel portamento, dalla vocalità scura e pastosa che corre con facilità per l’ampia sala teatrale, tonante e granitica nell’emissione.
Olga Bezsmertna è una Diana altera e, al contempo, volitiva e passionale, calata con facilità ed efficacia nei panni della dea vergine. Il soprano ucraino è in possesso di uno strumento vocale nel complesso morbido, che ha il suo punto di forza in un registro acuto incisivo e ben sfogato, mentre quello medio-grave risulta meno consistente. Il controtenore francese Christophe Dumaux è un Endimione amoroso e fresco, dalla voce flessuosa, solida e di buon volume, di seducente colore ambrato, potentemente espressivo senza mai apparire manierato o sdolcinato nel delineare la figura languorosa del pastore e astronomo infatuato di Diana (ovvero della Luna). Il soprano francese Véronique Gens è una Giunone austera e di polso, scenicamente icastica e distaccata. La dizione è nitida e curata, il fraseggio è cesellato e dovizioso di inflessioni, i melismi sono puntuali; la vocalità risuona tutto sommato di buon peso, svettante nelle note alte e non sempre a fuoco in quelle basse. Beniamino del pubblico del Piermarini, l’austriaco Markus Werba è un Mercurio comunicativo e dall’argento vivo addosso: si distingue per uno strumento baritonale malleabile e ampio, di affascinante timbro brunito e dalla linea di canto morbida, nonché per l’autorevolezza nel porgere la parola.
Il mezzosoprano Chiara Amarù è una Linfea gustosa e spassosissima senza, però, scadere nel triviale. Si apprezza la vocalità voluminosa, pastosa e vellutata, omogenea in ogni registro e dalla timbrica cremosa screziata di intense venature bronzee. Voce piccola e garbata, emessa con grazia e sicurezza, puntuta in acuto, il soprano Damiana Mizzi è un Satirino mercuriale e spigliato, interprete fresca e vivace.
Nobile nel canto e nel portamento il basso Luigi De Donato, dio Silvano di verde vestito dallo strumento vocale esteso e marmoreo. Il tenore canadese John Tessier (La Natura/Pane) emerge per il metallo squillante e per la rifinitezza nel fraseggiare; vocalmente pungente e scenicamente aggraziata il soprano Federica Guida (L’Eternità/Furia); musicale il mezzosoprano bulgaro Svetlina Stoyanova (Il Destino/Furia).
Al termine, festante e prolungata accoglienza da parte del folto pubblico per tutti gli interpreti, con punte di maggiore entusiasmo per Rousset. L’auspico è che, anche in futuro, la Scala di Dominique Meyer metta in cartellone tali primizie seicentesche; ma, soprattutto, che si riesca a raggiungere il tutto esaurito per le prossime quattro recite: non si vive di sole Traviate, dopotutto.

Teatro alla Scala – Stagione d’Opera e Balletto 2020/21
LA CALISTO
Dramma per musica in un prologo e tre atti
Libretto di Giovanni Faustini tratto da Le Metamorfosi di Ovidio
Musica di Francesco Cavalli

Giove Luca Tittoto
Mercurio Markus Werba
Calisto Chen Reiss
Endimione Christophe Dumaux
Diana Olga Bezsmertna
Linfea Chiara Amarù
Il Satirino Damiana Mizzi
La Natura/Pane John Tessier
Silvano Luigi De Donato
Giunone Véronique Gens
L’Eternità/Furia Federica Guida
Il Destino/Furia Svetlina Stoyanova
Ninfe Stefania Bovolenta, Elena Dalé, Aurora Dal Maso
Satiri Claudio Pellegrini, Luca Tomao, Antonio Catalano

Orchestra del Teatro alla Scala su strumenti storici – Les Talens Lyriques
Direttore Christophe Rousset
Regia David McVicar
Scene Charles Edwards
Costumi Doey Lüthi
Luci Adam Silverman
Coreografia Jo Meredith
Video Rob Vale
Nuova produzione Teatro alla Scala
Prima esecuzione al Teatro alla Scala

Milano, 30 ottobre 2021

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