Al Teatro alla Scala torna La bayadère, il ballo tardo-romantico (San Pietroburgo, Teatro Marijinskij 1877) entrato al Piermarini nel 1965 assieme al Royal Ballet e alla coppia stellare Fonteyn-Nureyev, inserito nel repertorio nel 1992 da Natalia Makarova, la stella del Kirov transfuga in occidente nel ’70, dopo Nureyev e prima di Baryšnikov. Una che ha fatto del grande repertorio russo da vivere in prima persona o da divulgare un ubi consistam. La Makarova ripristina il quarto atto pensato dal coreografo dei teatri imperiali Marius Petipa, e in seguito eliminato dagli ukase del realismo post-rivoluzionario, e consegna la revisione della partitura di Ludwig Minkus a John Lanchbery.
Tutte le moderne Bayadère scaligere, fino al 2008, sono praticamente sue, a eccezione di quella arrivata alla Scala nel 2018 proveniente dal Bolshoj. Tuttavia il balletto che, con data spostata dalla pandemia, abbiamo visto martedì 21 dicembre è quello con regia e coreografia di Rudolf Nureyev nato per l’Opéra di Parigi nel 1992 (la ripresa è a cura di Florence Clerc e Manuel Legris). Lo stesso che ha commosso il mondo mostrando il grande bashkiro tra le quinte intento a montare il titolo più amato, quello magico popolato da Buddha, bramini, idoli d’oro, femminino idealizzato, fumi d’oppio, esotismo. Rudy tuttavia, che morrà dopo tre mesi, è costretto a chiedere aiuto a una collega del Kirov, Ninel Kurgapkina, custode della tradizione Petipa. Avevano danzato assieme e lui giustamente si fida, tuttavia senza fare i conti con i caratteri forti di entrambi. Ninel avrebbe dovuto aiutarlo negli ensembles e talvolta anche con i solisti, ma ignoriamo gli estremi dei suoi interventi. Insomma, non sappiamo quanto Nureyev sia rimasto nella famosa Bayadère francese.
Con il passare del tempo il titolo ha inevitabilmente subìto vari mutamenti anche in ragione degli spazi teatrali e del carattere dei tanti interpreti. Si sono alternati anche molti allestimenti. Il nostro, che affida per la prima volta il titolo alla bravissima Luisa Spinatelli, è molto raffinato e, ci dice l’artefice di scene e costumi, improntato a quello parigino: controllare su YouTube per credere (qui il link). I colori sono tenui, passa veloce un enorme elefante, il tempio indiano è racchiuso da un groviglio di grandi radici, la reggia è aperta e di stile coloniale, abbondano i bassorilievi prospettici. Il tutto ha una certa leggerezza adatta a un titolo destinato a spostarsi in vari luoghi.
La musica originale è di Ludwig Minkus, raffinato violinista, insegnate e compositore asburgico trasferitosi in Russia, e autore della musica di vari balletti. La passione di Nureyev per lui e la sua Bayadère aveva spinto il ballerino prima a trafugare una copia della partitura e poi a disporne. Ma poco resta da quando quei fogli vengono affidati dalla Kurgapkina a John Lanchbery. Il “ballo grande“ diventa tutta una fanfara di ottoni che rispettano gli assolo del violino e l’idea di Leitmotiv.
Oggi sul podio troviamo un habitué dalla danza, l’americano Kevin Rhodes, che ci racconta come dell’originale sia giunta solo la parte per piano. È una bacchetta che non lesina le sonorità specialmente affidate agli ottoni. Sempre, fino al famoso “regno delle ombre”, qui il terzo atto, l’atto bianco, capolavoro purissimo di danse d’école e romanticismo con la sua teoria di ballerine in tutù. Entrano di profilo, una dopo l’altra, in arabesque penché e formano una memorabile e surreale serpentina di bellezza e di sogni.
La storia racconta del prode Solor che ama oltre la morte la danzatrice del tempio. Trionfo d’orientalismo di maniera, poggia su un plot scontato: lui ama Nikiya, ma è costretto a sposare Gamzatti, Gamzatti avvelena per gelosia la rivale e Solor, annebbiato dall’oppio, evoca l’incantato “regno delle ombre” dove si ricongiunge all’amata.
Collocato sul fragile spartiacque che separa gusto e non gusto, romanticismo e sgretolamento decadente, fiaba edificante e improponibile feuilleton, Bayadère affida l’esito ad allestimento e interpretazione. Il punto di forza resta l’imperdibile atto bianco. I protagonisti sono tutti eccellenti: spiccano la Nikiya di Nicoletta Manni, la Gamzatti di Maria Celeste Losa, il Solor di Timofej Andrijashenko, l’idolo d’oro di Federico Fresi, le ombre soliste Agnese Di Clemente, Camilla Cerulli, Gaia Andreanò.
Applausi, ovazioni incontenibili e teatro super-esaurito. E in gennaio, nel ruolo di Nikiya, arriva l’étoile ospite Svetlana Zakharova, danzatrice superiore, membro della Duma, cigno di Putin.
La produzione, registrata dalla RAI, sarà trasmessa il 31 dicembre su Rai5 e RaiPlay e sulla piattaforma digitale Medici Tv dal 25 dicembre.
Teatro alla Scala – Stagione 2021/22
LA BAYADÈRE
Balletto in tre atti
Libretto di Marius Petipa e Sergej Kudekov
Musica di Ludwig Minkus
Nikiya Nicoletta Manni
Solor Timofej Andrijashenko
Gamzatti Maria Celeste Losa
Il Fachiro Domenico Di Cristo
Alto Bramino Massimo Garon
Il Rajah Mick Zeni
Lo Schiavo Gabriele Corrado
Aya Giuseppina Zeverino
Due soliste d’Jampe Greta Giacon, Denise Gazzo
L’Idolo d’oro Federico Fresi
Danza “Manou” Agnese Di Clemente
Solisti danza tamburo Stefania Ballone, Christian Fagetti
Tre ombre soliste:
Agnese Di Clemente (Prima variazione)
Camilla Cerulli (Seconda variazione)
Gaia Andreanò (Terza variazione)
Corpo di Ballo e Orchestra del Teatro alla Scala
Coreografia e regia Rudolf Nureyev da Marius Petipa
ripresa da Florence Clerc e Manuel Legris
Supervisione coreografica Manuel Legris
Direttore Kevin Rhodes
Orchestrazione John Lanchbery
Scene e costumi Luisa Spinatelli
Assistente scene e costumi Monia Torchia
Luci Marco Filibeck
Milano, 21 dicembre 2021