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Milano, Teatro alla Scala – Il turco in Italia

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Si conclude con successo la triade di opere buffe di Gioachino Rossini che, dopo la pausa estiva, il Teatro alla Scala ha messo in cartellone. Per l’occasione, viene proposto Il turco in Italia, raffinato e innovativo dramma buffo su libretto di un giovane Felice Romani che, alla sua prima assoluta del 14 agosto 1814, non fu affatto apprezzato e capito dal pubblico scaligero per vari motivi; soprattutto, non convinse l’inedito meccanismo drammaturgico dato dalla presenza in palcoscenico di un poeta, Prosdocimo, intento a cercare nella vita reale i personaggi e i fatti per la propria nuova composizione comica. Non piacque, poi, la presunta parafrasi “a ruoli invertiti” rispetto alla recente Italiana in Algeri, vista a Milano al Teatro Re nel 1813.

Viene oggi presentata la nuova produzione che, lo scorso anno, dopo il debutto del 22 febbraio 2020, non è più andata in scena per il confinamento della Lombardia a partire dal giorno successivo alla recita, causa dilagare della pandemia. Lo spettacolo è affidato al regista cinematografico, sceneggiatore e uomo di lettere Roberto Andò (per chi volesse indagare la sua filmografia, consigliamo almeno la visione del thriller nitido e metafisico Le confessioni, splendido e sibillino protagonista Toni Servillo, e Una storia senza nome del 2018, con Michaela Ramazzotti, Renato Carpentieri e Laura Morante). Con gusto, Andò restituisce un Rossini sobrio e garbato, raffinato e leggero senza mai scadere in un’ironia eccessivamente marcata e farsesca, venato di meditabonda malinconia; un Rossini poetico, sfuggente e fantasioso, accostabile a tratti alle atmosfere stranianti di Italo Calvino. Per meglio suggerire l’idea di inafferrabile incompiutezza del vivere che, secondo il regista palermitano, è la vera protagonista del dramma buffo del Pesarese, i vari personaggi non entrano in scena dalle quinte, ma si materializzano sul palcoscenico fuoriuscendo da botole, convocati dal poeta Prosdocimo, vero motore dell’intera vicenda, deus ex machina che tutto guida e stabilisce. Una regia (ripresa da Emmanuelle Bastet) che scorre con fluidità e brio, servendosi anche dei due palchi di proscenio, della platea e del palco arciducale con specchi e caminetto, dal quale Don Geronio intona l’aria del II atto “Se ho da dirla avrei molto piacere”. La scenografia di Gianni Carluccio, responsabile anche del variegato gioco di luci, delinea una Campania quasi fiabesca e naïf, con variopinte e pulite facciate di case che scendono dall’alto, rimanendo sospese nell’aria, sparuti elementi scenici trasportati da carrelli (invero a volte un po’ rumorosi) e, sul fondo del palcoscenico, un rutilante e brillante mare in continuo movimento, solcato da onde luccicanti. Estremamente dettagliati e gradevoli i costumi di Nanà Cecchi, dove lo stile di inizio Ottocento si unisce a cromie spesso accese, quali il blu elettrico, il rosa salmone e il giallo limone; innocui i video di Luca Scarzella. Nel complesso, un allestimento equilibrato, schietto e suggestivo, con qualche perdonabile ingenuità di fondo (i cantanti che spesso si esibiscono al proscenio, per esempio), simpatiche trovate a effetto e uno spruzzo di melanconica ironia.

Oggi come nel 2020, sul podio dell’Orchestra del Teatro alla Scala ritroviamo Diego Fasolis, uno dei decani della musica storicamente informata, già applaudito dal pubblico milanese in composizioni händeliane e mozartiane. Adottando un’edizione filologica ed effettuando pochi tagli alla partitura, eseguendo circa tre ore di musica, il maestro svizzero opta per una direzione perlopiù scattante e rapinosa, vaporosa e screziata, vivida e palpitante, attenta a cesellare con gusto, verve e poliedricità i colori e le dinamiche. Si susseguono, così, momenti maggiormente sostenuti e vivaci, improntati a sonorità sferzanti ma mai soverchianti (a esempio la Sinfonia o il Finale primo), a oasi di elegante e dolce lirismo, impreziosite da suoni madreperlacei e raffinatezze sbalzate a tuttotondo. Apprezzabili e fantasiosi gli interventi al fortepiano di James Vaughan e al violoncello di Simone Groppo nell’accompagnare i recitativi; godibile la buffa deformazione delle battute finali dello spartito, voluta da Fasolis per meglio sottolineare la vacuità del lieto fine ipotizzato dal Poeta (inconsistenza evidenziata, pure visivamente, dalla regia di Andò).

Valida la compagnia di canto scritturata, in alcune sue componenti cambiata rispetto all’unica recita del 2020. Il basso-baritono uruguayano Erwin Schrott indossa con innegabile carisma scenico, regalità e umorismo i panni del turco Selim. La voce risulta voluminosa e ben estesa, pastosa e di seducente tinta bronzea, emessa quasi sempre con morbidezza ma meno duttile rispetto al passato, specialmente nei gravi; a tratti perfettibile la dizione. Rosa Feola si distingue per una vocalità adamantina e limpida, per la musicalità squisita e per l’intonazione immacolata. La sua è una Donna Fiorilla capricciosa e civettuola, sbarazzina e, all’occorrenza, mesta; nella cavatina “Non si dà follia maggiore” ma, soprattutto, nell’aria “Squallida veste, e bruna”, esibisce acuti cristallini e tersi e una lodevole padronanza dei virtuosismi, nitidi e puntuti.
Il baritono Giulio Mastrototaro, in possesso di uno strumento vocale malleabile, rotondo e di buon peso, è un Don Geronio scenicamente credibile e spigliato; encomiabile la scioltezza nel vorticoso sillabato dell’aria “Se ho da dirla avrei molto piacere”, sciorinato con precisione, velocità e incisività. Il tenore Antonino Siragusa, voce luminosa ed educata, nell’insieme omogenea nell’emissione, elegantemente sfumata nella linea di canto, è un Don Narciso disinvolto e vivace, dall’acuto facile e dalla musicalità rifinita.
Esuberante e travolgente è il Prosdocimo di Alessio Arduini, dalla vocalità baritonale scura e sonora, corposa e vellutata, e dal fraseggio mercuriale, dovizioso di accenti e di inflessioni. Puntuale la Zaida del mezzosoprano Laura Verrecchia, grazie a uno strumento timbricamente chiaro e a una recitazione convincente; apprezzabile e ben caratterizzato l’Albazar del tenore Manuel Amati, distintosi per la voce aggraziata e garbata, il portamento signorile e la resa efficace dell’aria “Ah! Sarebbe troppo dolce”. Pregnanti gli interventi del Coro del Teatro alla Scala, guidato da Alberto Malazzi.
Al termine, un pubblico folto e divertito (in una sala senza più restrizioni di capienza) ha tributato a tutti gli artisti un prolungato e festante successo. La recita è stata trasmessa in diretta televisiva su Rai5 ed è tuttora disponibile su RaiPlay a questo link.

Teatro alla Scala – Stagione d’Opera e Balletto 2020/21
IL TURCO IN ITALIA
Dramma buffo in due atti
Libretto di Felice Romani
Musica di Gioachino Rossini

Selim Erwin Schrott
Donna Fiorilla Rosa Feola
Don Geronio Giulio Mastrototaro
Don Narciso Antonino Siragusa
Prosdocimo Alessio Arduini
Zaida Laura Verrecchia
Albazar Manuel Amati

Orchestra e Coro del Teatro alla Scala
Direttore Diego Fasolis
Maestro del coro Alberto Malazzi
Fortepiano James Vaughan
Violoncello Simone Groppo
Regia Roberto Andò ripresa da Emmanuelle Bastet
Scene e luci Gianni Carluccio
Costumi Nanà Cecchi
Video Luca Scarzella
Aiuto regista Marco Monzini
Produzione Teatro alla Scala

Milano, 13 ottobre 2021

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