La creazione dell’universo da parte di Dio e la ri-creazione che l’essere umano compie attraverso il proprio ingegno nelle arti. Con Dio e l’uomo che, in fondo, sono fatti della stessa sostanza. Il regista Fabio Ceresa, al quale il Festival della Valle d’Itria ha affidato il compito di allestire scenicamente il capolavoro di Franz Joseph Haydn, La Creazione, cantata nella traduzione italiana di Dario e Filippo Del Corno, imposta la sua lettura sul parallelismo tra l’azione divina e quella umana. E convince per la vivacità di uno spettacolo ricchissimo – forse troppo – che stupisce e a tratti incanta, ma che fa anche vibrare la corda dell’ironia: il Dio che compare sulla scena non è ancora onnisciente, è anzi impacciato e ogni giorno cerca di imparare qualcosa. Un Dio volutamente androgino (il tema del gender sembra essere un topos degli spettacoli visti quest’anno al Festival), che ha il fisico di Maria Giulia Serantoni, una bravissima danzatrice della Fattoria Vittadini. Alle sei giornate della creazione divina corrispondono le sei arti liberali (architettura, poesia, musica, danza, pittura e scultura), raccontate sia in chiave simbolica (i grandi solidi platonici che compaiono sulla scena), sia attraverso i funambolici movimenti di danza coordinati dal coreografo Mattia Agatiello. Il tutto, con le belle scene di Tiziano Santi e i vivaci costumi di Gianluca Falaschi e Gianmaria Sposito, valorizzato dalle luci di Pasquale Mari. E sappiamo quale importanza abbia la luce (licht nell’originale tedesco) per la partitura di Haydn: dal caos primordiale, restituito dal compositore con un linguaggio modernissimo, escono progressivamente un’organizzazione armonica, poi ritmica, poi uno spunto melodico. Insomma, la musica stessa che prende forma. Un brano – questo all’inizio dell’oratorio – che è in qualche modo anche metafora di ciò che Haydn fece, ovvero quel dettare le regole, creare la forma a partire da un mondo – quello dello stile galante – nel quale esistevano forme poco organizzate, tali da non permettere grandi sviluppi e pensieri musicali. Tutto questo si compie quando il coro entra in scena e canta la parola “luce”, una sorta di parola magica.
Finalmente libero dalle costrizioni imposte dal mecenate di turno e dalla rigidità delle regole della tradizione musicale sacra, con La Creazione Haydn scrive musica a tema sacro ma con un linguaggio molto personale, innovativo, originale, sia dal punto di vista armonico che drammatico. Siamo vicini all’opera, secondo una concezione drammaturgica che rende ogni passaggio di questo racconto biblico avvincente ed emozionante. Ecco perché crediamo sia legittimo pensare a una messa in scena di quello che, sulla carta, resta un oratorio. A Martina Franca, come detto, hanno recuperato la traduzione italiana realizzata nel 1988 dal grecista Dario Del Corno, scritta “sotto gli auspici e la violenza gentile di Rodolfo Celletti” (come spiegò lo stesso traduttore all’epoca), riadattata per l’occasione dal figlio Filippo Del Corno. Si tratta di una traduzione che consente anche a chi non parla tedesco – come chi scrive – di gustare in modo più profondo l’arte somma di Haydn, una riscrittura che indubbiamente cambia il volto di questo capolavoro e lo offre all’ascolto secondo una diversa prospettiva.
Allora come oggi, sul podio c’è Fabio Luisi, alla guida dell’orchestra del Teatro Petruzzelli di Bari. La sua è una lettura di luminosa, morbida leggerezza e fluidità, che valorizza la formidabile chiarezza della struttura musicale, raccontata fin nei dettagli senza ombra di calligrafismo, nel segno di quella gioiosa felicità melodica che è forse la cifra distintiva del grande compositore. L’eleganza di Luisi nell’approccio alla partitura rende ragione della freschezza dell’inventiva haydniana anche nei colori e negli impasti strumentali.
Nel complesso ottimo il cast vocale, omogeneo per un approccio interpretativo attento alla parola e alle sfumature: Alessio Arduini è un Rafael di bel timbro scuro e incisivo fraseggio, Rosalia Cid è un Gabriele musicalissimo e delicatamente espressivo, Vassily Solodkyy presta al canto di Uriele il bronzo di una voce ampia e solida da tenore schiettamente lirico. La coppia di progenitori è costituita da due giovani cantanti: il bravissimo basso Jan Antem, voce rotonda e omogenea, morbida nell’emissione, e dal soprano Sabrina Sanza, dal timbro limpido e dalla linea di canto facile e sicura. Eccellente la prestazione del Coro Ghislieri, guidato da Giulio Prandi: preciso, intonato, latore di un suono compatto e omogeneo, impeccabile nella musicalità.
Festival della Valle d’Itria 2021
LA CREAZIONE
Die Schopfung
di Franz Joseph Haydn
Oratorio in tre parti per soli, coro e orchestra
su libretto di Gottfried von Swieten Hob. XXI:2
Versione in italiano di Dario Del Corno rivista da Filippo Del Corno
Rappresentazione in forma scenica
Gabriele Rosalia Cid
Uriele Vassily Solodkyy
Rafael Alessio Arduini
Adamo Jan Antem
Eva Sabrina Sanza
Orchestra del Teatro Petruzzelli di Bari
Coro Ghislieri
Fattoria Vittadini
Direttore Fabio Luisi
Maestro del coro Giulio Prandi
Regia Fabio Ceresa
Scene Tiziano Santi
Costumi Gianluca Falaschi, Gianmaria Sposito
Luci Pasquale Mari
Coreografia Mattia Agatiello
Martina Franca, cortile di Palazzo Ducale, 31 luglio 2021