A quasi un anno di distanza dall’uscita del loro album Chanson d’amour (qui la nostra recensione), il soprano francese Sabine Devieilhe e il suo pianista accompagnatore Alexandre Tharaud hanno proposto al pubblico londinese della Wigmore Hall un sofisticato programma interamente dedicato alla mélodie francese, apprezzatissimo dai presenti, come testimoniato dai calorosi applausi che hanno scandito i momenti salienti della serata. Il duo, sia al fine di non essere ripetitivo, che evidentemente per il piacere di esplorare questo repertorio a entrambi congeniale, ha rivisto il programma iniziale del loro tour del 2020 inserendo due nuovi cicli di canzoni, La Courte Paille (1960) di Poulenc e le Chansons pour les oiseaux (1950) di Louis Beydt, a cui sono state affiancate musiche di Fauré, Debussy e Ravel, in gran parte tratte dalla loro recente incisione.
In una sala intima come la Wigmore Hall, Devieilhe ha veramente avuto modo di brillare, senza dover spingere o forzare il proprio strumento di soprano leggero di coloratura e al contrario ha instaurato un’atmosfera basata sul rapporto simbiotico tra parola e musica e una connessione vera con il pubblico, grazie a un uso raffinato e chiaro della dizione francese, un suono limpidissimo e mai fuori posto e una graziosa presenza scenica che ha saputo coniugare misura, raffinatezza e ironia. Anche dal vivo, specialmente in questo tipo di sala, abbiamo riscontrato un canto ben legato con degli ottimi fiati a sostegno di pianissimi, mezzevoci e filati anche a tessiture elevate, con finali che spesso vengono smorzati fino a svanire nel nulla. Anche se la voce in sé non è proprio straripante di colori, Devieilhe è riuscita a trovare le nuance giuste, con musicalità ed eleganza di fraseggio.
Il recital si apre con “Nuit d’étoiles”, la prima canzone di Debussy a essere stata pubblicata nel 1880: Devielhe emette i suoni con morbidezza rendendo il carattere sognante del testo. Seguono tre melodie di Fauré: “Notre Amour” dal tempo più spedito che va di pari passo con il trasporto amoroso nel dichiarare l’eternità dell’amore; “Après un rêve” dove con raffinata compostezza il soprano coglie il triste risveglio dai sogni e “Au bord de l’eau” forse dalla caratterizzazione un po’ generica rispetto ad alcune magiche interpretazioni del passato (si prenda Gérard Souzay ad esempio). È poi la volta di Poulenc con La courte paille, un ciclo del 1960 ideato per Denise Duval come serie di canzoni da cantare al figlio: in “Le sommeil” una certa piattezza esecutiva sembrerebbe ricreare il torpore del sonno mentre il finale è caratterizzato da un ovattato finale dai suoni smorzati, “Quelle aventure” è più veloce e danzante con un finale giocoso; “La reine de coeur” è raffinatissima con un francese impeccabile per chiarezza e fascino; “Ba, be, bi, bo, bu” vede articolarsi in velocità un canto sillabico e un testo pieno di rime che ricrea un certo caos dell’infanzia; “Les anges musiciens” è dolce ed evocativa con un canto più disteso e sognante; “La carafon” ricrea una dimensione fiabesca e per finire “Lune d’avril” invoca la pace di un mondo dove tutte le pistole vengono distrutte – Devieilhe canta con estrema limpidezza articolando le dinamiche con omogeneità.
La prima parte del concerto viene conclusa con tre pagine di Debussy: la Romanza “L’âme évaporée” dal carattere lussureggiante e speranzoso, “La romance d’Ariel” dove Devieilhe ha giocato in acuto con vocalizzi e cromatismi innestati su un climax armonico e infine “Apparition” dal carattere fortemente descrittivo, dove i cambi di registro e di dinamiche colgono il contrasto tra una dimensione eterea e una più drammatica.
Dopo l’intervallo, è stata la volta de le Chansons pour les oiseaux di Beydt. di cui ci hanno colpito le sfumature di “Le petit pigeon bleu”, l’enunciazione quasi litanica di nomi poetici in “L’oiseau bleu” dove la voce si erge agli acuti e sovracuti (pieni i primi, un po’ sbiancati i secondi) e gli accenti spigliati di “Le petit serin en cage” con una ritmica incalzante sul finale che ha conquistato il pubblico. Dopo Beydt sono stati proposti i due nuclei principali della registrazione Erato Chanson d’amour ovvero le 5 mélodie populaires grecques di Ravel e le Ariettes oubliées di Debussy.
Cominciando con il primo, vale la pena ricordare il canto spirituale di “Là-bas, vers l’église” e gli effetti acustici ottenuti dal soprano in “Chanson des cueilleuses de lentisques”: Devieilhe, dando la schiena al pubblico si è rivolta alla coda del pianoforte facendo risuonare i suoi vocalizzi con le corde dello strumento, un effetto questo poi che ha trovato seguito in un modo di plasmare i fiati ammirevole.
Passando poi al secondo, il languore estatico di “C’est l’extase” si è alternato con il carattere affranto di “Il pleure dans mon coeur”, la dimensione evocativa ed evanescente di “L’ombre des arbres” e il ritmo galoppante di “Chevaux de bois”. “Spleen” chiude il ciclo ed il programma del concerto con un canto che si fa leggero mormorio all’inizio, salvo poi esplodere in trasporto appassionato sul finire.
Alexandre Tharaud suona con garbo e precisione, senza mai prevaricare, inserendosi nel discorso musicale correttamente e amplificando nel carattere alcuni momenti evocativi e dolenti o ironici e fiammeggianti. Il pianista ha anche proposto un suo personale arrangiamento del Prélude à l’après-midi d’un faune di Debussy. Tharaud sfoggia un bel tocco e controllo della tastiera ricreando modulazioni, cromatismi ed effetti a richiamo, anche se l’esecuzione non riesce a portare a galla quella varietà tematica e coloristica invece presente nella versione orchestrale. A parte questa nota, il pianista francese ha perfettamente assecondato la partner in ogni frangente.
Il successo della serata è stato sigillato da applausi scroscianti e qualche ovazione da parte dei più giovani con diverse chiamate sul palco per entrambi gli artisti. Prima di congedarsi dal pubblico londinese, Devieilhe e Tharaud hanno concesso due bis: l’“Air du Feu” da L’Enfant et les sortilèges di Ravel e l’aria “Viens, Hymen” da Les Indes Galantes di Rameau. La prima ha fornito l’occasione a Devieilhe per rimarcare la sua fama di soprano di coloratura con agilità vorticose, fluide e scintillanti oltre che una personalità interpretativa già definita per i suoi 35 anni. La seconda fa parte del repertorio barocco francese con cui il soprano francese si è fatta le ossa. Oltre alla chiarezza nell’enunciare il testo, la vocalista ha dipinto una linea di canto di qualità con eleganti abbellimenti. Un bis perfetto per concludere un concerto di grande finesse, almeno per quanto è possibile ascoltare al giorno d’oggi.
Wigmore Hall – Stagione 2021/22
RECITAL DI CANTO
Pagine di Debussy, Fauré, Poulenc, Beydts, Ravel
Sabine Devieilhe, soprano
Alexandre Tharaud, pianoforte
Londra, 12 settembre 2021