Nonostante i contagi alle stelle a causa della variante Omicron, la vita culturale del Regno Unito continua come se nulla fosse, almeno per il momento. Ancora poche le restrizioni e, anche se in molti iniziano a paventare un lockdown dopo il periodo natalizio, per ora nessuna dichiarazione ufficiale del governo confermerebbe questo scenario, anche se l’allarme rimane alto e ci si affretta a completare la campagna vaccinale per la terza dose.
In una sala non troppo gremita (per la cronaca è finalmente tornato in vigore l’obbligo di mascherina, mentre agli spettatori viene raccomandato di presentarsi a teatro solo se negativi al test antigenico), il pubblico londinese della Royal Opera House ha potuto apprezzare una serie di recite di Tosca, nel fortunato allestimento di Jonathan Kent. Due i cast che si sono alternati in questo periodo pre-natalizio. Qui si recensirà il secondo, vista la sua componente italiana (Anna Pirozzi e Claudio Sgura erano rispettivamente Floria Tosca e Scarpia) e la presenza di una delle voci del momento, ovvero quella del giovane tenore italo-inglese Freddie De Tommaso, che non solo ha rubato la scena per la sua bravura, ma che ha anche fatto notizia per aver sostituito all’ultimo minuto il collega indisposto Bryan Hymel del primo cast, salvando la prima dell’8 dicembre, oltre ad essere stato il primo tenore inglese a interpretare Cavaradossi al Covent Garden dopo ben 60 anni.
La produzione di Jonathan Kent è tra le più di successo della storia recente della ROH, complice una componente estetica appagante e un’attinenza al libretto senza stravolgimenti. Concepita nel 2006 come veicolo per la star Angela Gheorghiu, che tra l’altro tornerà a ricoprire il ruolo di Floria Tosca a febbraio 2022 proprio in questo allestimento tradizionale, viene ripresa per l’undicesima volta sotto la supervisione di Amy Lane. Costumi e scene, entrambi attinenti al periodo storico, sono di Paul Brown. Gli elementi scenici giocano su effetti prospettici che danno profondità al palco relativamente piccolo del Covent Garden. Nel primo atto la chiesa di Sant’Andrea della Valle viene ricostruita su più livelli, con una grande cancellata che cela al piano basso la cappella degli Attavanti e al piano alto l’altare. Un doppio scalone con resti di affreschi medievali collega i due livelli, mentre al centro viene collocata su un capitello la statua della Madonna e sul lato sinistro troviamo un’ impalcatura dove un telone rimosso da Cavaradossi scopre un grande quadro con la Maddalena. Bambini festanti corrono giù dallo scalone nella scena che precede l’arrivo di Scarpia e il Te Deum finale del primo atto, dove il barone bigotto canta al centro del palcoscenico, mentre sull’altare al piano alto si accalcano fedeli e prelati. Nel secondo atto la camera di Scarpia è tutta di legno con spazi scanditi da colonne e con una gigantesca statua di Ercole al centro, mentre una finta libreria cela la stanza delle torture con tanto di finestrino comunicante. Il terzo atto ricrea la piattaforma di Castel Sant’Angelo con un muro che taglia lo spazio scenico in diagonale e a scendere. All’inizio un soldato a petto nudo è intento a lavarsi e vestirsi mentre dopo l’esecuzione di Cavaradossi, gli ufficiali escono di scena marciando lentamente a tempo di musica. Le luci di Mark Henderson creano suggestivi contrasti tra ombre, candele e luci artificiali. L’oscurità della cappella dove si cela Angelotti per esempio, fa da contrasto con l’illuminazione quasi divina dell’altare durante il Te Deum. Nel terzo atto infine, un suggestivo cielo stellato fa da sfondo al drammatico epilogo della vicenda.
Reduce da un grande successo come Lady Macbeth, Anna Pirozzi ritorna questa volta a calcare il palco del Covent Garden con un altro ruolo del titolo. Pirozzi conferma i punti di forza ravvisati già in Macbeth: acuti e puntature taglienti, risonanti e drammaticamente efficaci, intonazione generalmente accurata e ottima proiezione. Perfettibili le doti da cantante-attrice, anche se l’interprete si impegna con partecipazione, rifuggendo da eccessi veristi o effetti sopra le righe. Nel primo atto il soprano coglie correttamente quel senso di amore geloso, insicuro e nervoso, e quando raccomanda al suo amato “Ma falle gli occhi neri” con tanto di gesti annessi, sono molti nel pubblico a sorridere in maniera spontanea. L’interpretazione di “Non la sospiri la nostra casetta”, dall’altro canto, potrebbe essere più sognante e variegata nel fraseggio, risultando invece non troppo incisiva. Nel secondo atto il climax drammatico viene bene gestito e Pirozzi si ritaglia il suo momento con un’esecuzione di “Vissi d’arte” molto applaudita dai presenti (bello il crescendo finale su remuneri). Il terzo atto è stato probabilmente il più efficace a livello di equilibrio vocale-interpretativo e anche come sintonia con De Tommaso. A Pirozzi mancano quelle note di petto che le consentirebbero un totale dominio della parte (si pensi a “E morto! Or gli perdono” nel secondo atto), dall’altro lato va però apprezzata la naturalezza dell’emissione, senza gonfiature volgari o caricaturali.
Veniamo a Freddie De Tommaso, la giovane stella appena ventottenne, inglese di nascita ma dal sangue per metà italiano da lato paterno. Per un’introduzione più esaustiva al personaggio rimandiamo alla nostra recensione del suo debutto discografico per Decca (qui il link). L’esperienza dell’ascolto dal vivo non ha deluso le aspettative, anzi le ha surclassate. Il giovane è cresciuto idolatrando Corelli. Ebbene, lasciando stare paragoni azzardati a inizio carriera, bisogna dire che De Tommaso in diversi momenti ha saputo ricreare, almeno come sensazione ed eleganza nel canto, quel piacere all’ascolto che si provava una volta con le grandi voci. È stato bellissimo vedere il riscontro entusiastico del pubblico, quasi come ci fosse disperato bisogno di voci del genere. Ogni sua aria è stata seguita da quegli applausi calorosi che si riservano solo alle stelle nascenti. Quello che abbiamo apprezzato in particolare è stato il connubio ben bilanciato tra misura, omogeneità di emissione e musicalità di un interprete che non ha bisogno di strillare o lasciarsi andare in preda all’esagitazione. Un senso di appropriatezza e controllo della potenza vocale quindi, che cela evidentemente un’ottima preparazione. “Recondita armonia” e “Ah, quegli occhi! Qual occhio al mondo” hanno slancio passionale, mentre è poeticamente lirico l’abbandono di “O dolci mani”. La voce svetta con ottima risonanza quando esclama “Vittoria!” nel secondo atto, dopo essere venuto a conoscenza della vittoria di Marengo. Interessante la resa di “E lucevan le stelle” dove invece di far prevalere quel trasporto a volte romanticamente caricato, si predilige un senso di amarezza, di ricordo nostalgico con un canto introspettivo e dilatato. Salvo non ci siano imprevisti legati alla pandemia, il pubblico italiano avrà modo di sentire De Tommaso dal vivo al Teatro alla Scala a marzo del 2022 quando il tenore sarà impegnato nel ruolo di Maurizio in Adriana Lecouvreur.
Claudio Sgura è uno Scarpia vocalmente centrato dalla buona impostazione tecnica e dal bel timbro brunito. In scena non passa certo inosservato grazie all’altezza, ma anche per via di un portamento nobile e altero. Nel secondo atto risulta efficace, interpretativamente parlando, nel dar vita a un personaggio subdolo e sinistro con viscidi impulsi da predatore sessuale. Sfoggia anche un buon volume, riuscendo a bucare la massa orchestrale nel Te Deum del primo atto. Ottimo il modo in cui articola il testo gestendo frasi chiavi come nel “Va, Tosca!” al termine del primo atto. Jeremy White dà vita ad un sagrestano bonaccione, alticcio e ironicamente ben caratterizzato. Buona la prestazione di Yuriy Yurchuk come Cesare Angelotti, efficace lo Spoletta di Hubert Francis e funzionali Jihoon Kim e John Morrissey, rispettivamente nei ruoli di Sciarrone e del carceriere. Appena udibile il canto fuori scena del pastorello Kaelan O’Sullivan, effetto forse voluto per ricreare una sensazione di lontananza, ma che non restituisce pienamente la limpidezza e innocenza di questo momento musicale.
Dal podio dirigeva per la sua prima volta alla ROH Oksana Lyniv, che ricordiamo essere la prima donna ad essere stata chiamata a dirigere a Bayreuth e a guidare una fondazione lirico-sinfonica italiana, ovvero quella del Teatro Comunale di Bologna. Lyniv ha serrato le fila dell’orchestra del Covent Garden con una direzione quasi cameristica, attentissima al dettaglio e ai soli orchestrali. Allo stesso tempo, ha dimostrato di saper coniugare pulizia esecutiva e controllo della tensione drammatica del discorso musicale.
Al termine applausi calorosi per tutti gli interpreti con picchi di entusiasmo per De Tommaso, Pirozzi e per Oksana Lyniv. In un certo qual senso, però, è stata la serata di De Tommaso.
Royal Opera House – Stagione 2021/22
TOSCA
Melodramma in tre atti
Libretto di Giuseppe Giacosa e Luigi Illica
tratto dal dramma omonimo di Victorien Sardou
Musica Giacomo Puccini
Floria Tosca Anna Pirozzi
Mario Cavaradossi Freddie De Tommaso
Barone Scarpia Claudio Sgura
Sagrestano Jeremy White
Cesare Angelotti Yuriy Yurchuk
Spoletta Hubert Francis
Sciarrone Jihoon Kim
Un carceriere John Morrissey
Un pastorello Kaelan O’Sullivan
Orchestra e Coro della Royal Opera House
Direttore Oksana Lyniv
Maestro del coro William Spaulding
Regia Jonathan Kent ripresa da Amy Lane
Scene e costumi Paul Brown
Luci Mark Henderson
Produzione della Royal Opera House
Londra, 17 dicembre 2021