La Royal Opera House ha inaugurato la stagione 2021/2022 con un nuovo allestimento di Rigoletto, firmato dallo stesso sovrintendente operistico Oliver Mears, al suo debutto alla regia nel teatro che dirige ormai dal 2017. Si trattava anche di una prima volta per Antonio Pappano, che nonostante una reggenza ventennale come direttore musicale, non aveva ancora diretto questo titolo verdiano al Covent Garden. L’apertura di stagione ha anche segnato il ritorno dell’opera in presenza, con teatro a piena capacità e nessuna restrizione all’ingresso.
La produzione sostituisce il fortunato allestimento di David McVicar, andato in scena per la prima volta nel 2001 e ripreso più volte nel corso dell’ultimo ventennio fino al 2018. Si sa che di questi tempi, e soprattutto dopo due anni di magra, è meglio giocare sul sicuro. La regia di Mears non si può dire certamente rivoluzionaria, anche se l’allestimento ha sicuramente il pregio di garantire perfetta intelligibilità alla vicenda, senza stravolgimenti del libretto, al netto di qualche licenza. Inoltre Mears si muove complessivamente nei confini del buon gusto, senza calcare la mano più di tanto sugli eccessi e la depravazione della corte di Mantova. Niente nudità esplicita come nella scena di apertura dell’allestimento di McVicar, niente forzate riletture in chiave moderna stile Me Too. Invece, la depravazione e la libido rimangono abbastanza sullo sfondo, più o meno accennate o simulate. Mears sembra spostare l’attenzione su una delle passioni del vero Duca di Mantova, ovvero il mecenatismo artistico, usando l’arte sia come mezzo narrativo che come sfondo allusivo che rimanda ad alcuni temi dell’opera. Ecco che il preludio si apre con una ricostruzione vivente de Il martirio di San Matteo di Caravaggio, rivisitato in chiave profana al fine di mostrare il Duca (celato da un teschio munito di corna dorate) che insidia la figlia incinta del Conte di Monterone in abito bianco virginale, mentre Rigoletto osserva in disparte. Una riproduzione gigante de La Venere di Urbino di Tiziano fa invece da sfondo alla scena del primo atto (come sorta di vago rimando all’ossessione per il corpo femminile da parte del Duca) e nel secondo atto vediamo il Duca ammirare dei dipinti, mentre sullo sfondo la Venere lascia spazio a un altro quadro di Tiziano, Il ratto di Europa (allusione all’abuso di Gilda da parte del Duca che si compie in una stanza adiacente).
Non mancano alcune scene discutibili: l’accecamento del conte di Monterone (richiamo al piano abbandonato di Verdi di comporre un’opera incentrata sul King Lear di Shakespeare) cozza con il mood della prima scena e appare pertanto gratuito; il canto da inginocchiato del Duca nel secondo atto ha un che di datato; la collocazione dei cantanti in punti distanti (e su due livelli) nel quartetto “Bella figlia dell’amore” rende poco credibile lo spiare da parte di Rigoletto e Gilda e infine il copulare simulato del Duca e di Maddalena durante la scena dell’uccisione di Gilda appare anch’esso fuori luogo.
Le scene, firmate da Simon Lima Holdsworth, oscillano tra attinenza a un ambiente di palazzo cinquecentesco (prevalgono tinte marroni e ocra, più nordiche che italiche a dir la verità) e collocazione temporale indefinita di altre scene (vedi la camera moderna di Gilda). Elemento chiave in ogni atto è un portone che servirà a far transitare i personaggi in momenti chiave della storia. La locanda di Sparafucile, un monolite di pietra grigia e marrone, aggiunge un senso di tetra spettralità e degrado alla scena conclusiva. Le acque notturne del Mincio sono evocate da un fondo scena molto suggestivo. Le luci, curate da Fabiana Piccioli, sono l’elemento che aggiunge valore alla produzione, grazie a richiami chiaroscurati caravaggeschi, riflessi caldi alternati a oscurità e gli efficaci lampi bianchi del terzo atto che fanno da sfondo alla locanda di Sparafucile per poi riflettersi su tutta la sala, in un climax drammatico che vede anche un vero temporale in scena. Ilona Karas firma i costumi opulenti dal glamour rinascimentale, perlomeno a inizio del primo atto, a cui progressivamente si sostituiscono abiti moderni tra giacche doppiopetto, cappotti e divise (Gilda indossa una semplice vestaglia da notte per gran parte dell’opera).
Nel ruolo del titolo troviamo Carlos Álvarez. Il baritono spagnolo restituisce una dimensione umana e dignitosa a Rigoletto come padre protettivo e terrorizzato dagli eventi, mentre il lato buffonesco e irrisorio della prima scena (nonostante un trucco in stile Jocker) non viene più di tanto marcato. Vocalmente la prova è buona, gli accenti corretti, la voce ben emessa e ancora piacevolmente risonante per l’età, anche se non mancano i momenti di stanchezza dove la voce viene sovrastata dall’orchestra o l’interpretazione tende ad appiattirsi. La sua resa di “Cortigiani, vil razza dannata” e il duetto con Gilda “Sì, vendetta, tremenda vendetta” strappano comunque i favori del pubblico.
Lisette Oropesa è senza ombra di dubbio il pezzo forte del cast. La sua è una Gilda mai stucchevole e credibilissima nel comunicare fragile curiosità, amore palpitante e naive, innocenza violata e sacrificio incondizionato per amore del padre. Momenti salienti sono il suo “Caro nome” dove i trilli (che quasi diventano un tutt’uno con il suo vibrato stretto e così peculiare) colgono veramente il palpitare del cuore di Gilda, “Tutte le feste al tempio” dal lirico e vulnerabile abbandono e il duetto finale con Rigoletto “Lassù in cielo”, molto emozionante. Chi scrive si sarebbe aspettato una voce molto più piccola dal vivo, soprattutto in una sala grande come quella del Covent Garden, mentre è rimasto piacevolmente sorpreso. Al netto di qualche assottigliamento in acuto, la voce è molto ben proiettata e perfettamente udibile in tutti i momenti di insieme, senza venir mai coperta dall’orchestra e dai colleghi. Oropesa cura poi bene il legato e ha gusto nel fraseggio, che non risulta mai noioso. Perfettibili invece alcuni attacchi in acuto e l’intonazione in qualche passaggio scoperto a tessiture elevate. Nel complesso i suoi interventi hanno tenuto le fila di una serata che altrimenti avrebbe potuto deragliare in un certo piattume.
Liparit Avetisyan è un Duca che nonostante le sue debolezze e abusi rimane umano, nel senso che il pubblico, fatta eccezione per la scena splatter dell’accecamento di Monterone voluta dal regista, non arriva a provare ribrezzo per i suoi misfatti. Vocalmente, pur disponendo di un bel strumento, Avetisyan appare ancora un po’ acerbo a livello di musicalità e fraseggio. Ci mette un po’ a ingranare e inizia a emergere nel secondo atto con “Parmi veder le lacrime” dove sfoggia grazia ed eleganza nel canto, mentre le interpretazioni di “La donna è mobile” o “Questa o quella” risultano generiche e poco centrate.
Brindley Sherratt è uno Sparafucile sinistro al punto giusto mentre il Conte di Monterone di Eric Greene pur godendo di una presenza scenica che non passa inosservata, non brilla per qualità vocali a causa di uno strumento abbastanza disomogeneo e dai forti toni metallici. Corrette le prestazioni di Dominic Sedgwick e Kseniia Nikolaieva, rispettivamente nei panni di Marullo e Giovanna, mentre si fa notare per voce calda e ben timbrata Ramona Zaharia, una Maddalena popolana, volgarotta e dai facili costumi.
Dal podio, Antonio Pappano dà il giusto risalto ai lati oscuri ed emozionali dell’opera grazie a un piglio energico e a una buona cura del dettaglio. Il punto forte è sicuramente il climax drammatico che precede la morte di Gilda, mentre alcuni tempi in arie chiave appaiono un po’ troppo dilatati – forse per alcune preferenze specifiche dei cantanti – ma anche qui Pappano mantiene il controllo garantendo la giusta sinergia tra buca e palcoscenico. Il quartetto del terzo atto avrebbe avuto bisogno di più mordente ma le scelte della regia non hanno certamente aiutato. Perfettamente a fuoco per accenti, musicalità e compattezza gli interventi del coro della Royal Opera House diretto da William Spaulding.
Al termine applausi calorosi, con picchi di entusiasmo per Oropesa, Álvarez e Avetisyan, oltre a una vera ovazione per il maestro Pappano, ormai adorato dal pubblico londinese. In conclusione, è stata sicuramente una bella serata anche se forse non esaltante, ma con momenti di indubbio valore. È presto dire se questa produzione durerà a lungo e sicuramente sarà sottoposta a qualche modifica nelle prossime riprese. Certamente, consola sapere che, nel complesso, musica e libretto non sono stati stravolti. Di questi tempi non è scontato.
Royal Opera House – Stagione d’opera e di balletto 2021/22
RIGOLETTO
Melodramma in tre atti di Francesco Maria Piave
Musica di Giuseppe Verdi
Rigoletto Carlos Álvarez
Duca di Mantova Liparit Avetisyan
Gilda Lisette Oropesa
Sparafucile Brindley Sherratt
Maddalena Ramona Zaharia
Giovanna Kseniia Nikolaieva
Conte di Monterone Eric Greene
Marullo Dominic Sedgwick
Matteo Borsa Egor Zhuravskii
Conte di Ceprano Blaise Malaba
Contessa di Ceprano Amanda Baldwin
Un usciere di corte Nigel Cliffe
Paggio della Duchessa Louise Armit
Coro e Orchestra della Royal Opera House
Direttore Antonio Pappano
Maestro del coro William Spaulding
Regia Oliver Mears
Scene Simon Lima Holdsworth
Costumi Ilona Karas
Luci Fabiana Piccioli
Nuova produzione della Royal Opera House
Londra, 18 settembre 2021