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Londra, Royal Opera House – La traviata (con Lisette Oropesa)

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Nella prima stagione completa della Royal Opera House dall’interruzione forzata causata dalla pandemia, era comprensibile che si giocasse sul sicuro con la programmazione. Non poteva quindi mancare l’ennesima ripresa della storica produzione del 1994 de La traviata, firmata da Richard Eyre. Il teatro londinese ha in programma ben 27 recite da qui ad aprile 2022, con sei cast differenti. Per il primo ciclo previsto quest’anno, tre sono le Violette in scena e in questa sede recensiamo il primo cast che annovera come punta di diamante Lisette Oropesa, affiancata per l’occasione dall’Alfredo di Liparit Avetisyan, entrambi reduci dal successo in Rigoletto ad apertura di stagione e pertanto già compagni di scena molto affiatati. Il soprano cubano-americano ha trionfato con una performance tutta in crescendo che ha illuminato per davvero la serata. Buono il resto del cast ma con qualche distinguo, mentre dalla buca d’orchestra, l’italiano Antonello Manacorda ha fornito un supporto sensibile ai cantanti.

L’allestimento, ripreso questa volta da Pedro Ribeiro, è arcinoto e non ha bisogno di introduzioni. Per chi non lo conoscesse rimandiamo a una precedente recensione (qui il link) della ripresa nel 2019 in occasione del venticinquesimo anniversario di questa produzione, per la quale non si intravede ancora all’orizzonte nessun tentativo di sostituzione. Innumerevoli i soprani che si sono passati il testimone nel corso degli anni, anche se la memoria va sempre alla giovane Angela Gheorghiu (diretta dal leggendario Georg Solti) che all’epoca conquistò un intero Paese spingendo anche la BBC a cambiare programmazione per trasmettere la diretta televisiva dal Covent Garden. È una visione registica quella inizialmente concepita da Eyre nel complesso funzionale e fedele all’essenza dell’opera verdiana ed è forse questo il segreto della sua longevità, oltre chiaramente al successo di vendite che si ripete a ogni ripresa. Le scene firmate da Bob Crowley sono esteticamente piacevoli, anche se lontane dalla grandeur scenica di un altro allestimento pluridecennale, ossia quello di Liliana Cavani per La Scala. Confermiamo le nostre perplessità sull’uso degli spazi, particolarmente angusti nel primo atto e nel secondo scena I, mentre il terzo atto rimane il più riuscito nel rafforzare l’azione drammaturgica imperniata sul contrasto tra la vita e la morte e nel porre il dramma della malattia di Violetta di fronte allo spettatore, in uno spazio scenico finalmente ampio e libero da impedimenti.

La produzione di Eyre questa volta prende nuova linfa principalmente grazie a Lisette Oropesa, valorizzata anche dai costumi di Bob Crowley, che ne esaltano la silhouette longilinea e aggraziata. Anche rispetto all’esperimento romano dello scorso aprile per la televisione italiana, il soprano dimostra di aver fatto un bel lavoro di approfondimento e maturazione a livello interpretativo, dando vita a una prestazione che è cresciuta atto dopo atto, senza che il controllo venisse mai meno. Ne risulta un ritratto completo dell’evoluzione del personaggio di Violetta, sicuramente una delle più efficaci nella lunga storia di questo allestimento. Nel primo atto, Oropesa mostra una bella padronanza tecnica dello strumento con un buon controllo del fiato e senza nessuno sforzo nel dispiegare le fioriture di “Un dì felice, etera”, così come le agilità della cabaletta “Sempre libera” dove centra il Mi bemolle sopracuto, mentre in “Follie! Follie! Delirio vano” Oropesa trasmette quella frenesia e quel turbamento latente che agitano il personaggio. Lasciatasi alle spalle le difficoltà tecniche del primo atto, la voce inizia ad acquisire maggior colore e spessore interpretativo. Dopo il confronto con Germont, Oropesa esordisce in “Ah, dite alla giovine” con una lunga e sostenuta mezzavoce in piano dal legato curatissimo (uno dei momenti musicali più belli della serata), a cui si oppone poi la disperazione di “Morrò! Morrò!”, enfatizzata da un battito di pugni sul tavolo. Nel terzo atto Oropesa riesce nel difficile compito di comunicare la fragilità della malattia senza cadere nel tranello dell’abuso di affetti veristici. In questo senso, l’equilibrio tra l’uso della voce e gesto interpretativo è perfettamente bilanciato. Ottima la sua dizione italiana, evidente anche nella lettura della lettera in “Teneste la promessa” dove ogni parola viene scandita efficacemente, così come potente è la declamazione quando pronuncia le parole “È tardi” e “attendo, attendo”. Segue un “Addio del passato” che tiene lo spettatore legato alla poltrona, tanto la resa è emozionante. La trasfigurazione in scena è ormai compiuta e gli spettatori ne sono consapevoli, tanto che al termine esplodono in un boato di consensi. Bello anche il crescendo sfogato all’inizio di “Ah, gran Dio, morir sì giovine”, a cui poco dopo segue un’ultima tardiva illusione di vita, che si consuma in una corsa intorno alla stanza, per poi collassare esanime nelle braccia di Alfredo.

In questo ruolo, come due anni fa, ritroviamo Liparit Avetisyan. Il tenore armeno è sicuramente cresciuto in termini di presenza scenica come evidente da certi impeti interpretativi da giovane innamorato, impulsivo, orgoglioso e amareggiato. Oggi come allora, abbiamo apprezzato un bel timbro caldo dalle tinte dolci e amorose e un’emissione omogenea. Deve ancora migliorare in termini di padronanza dell’accento verdiano, ma il trasporto musicale è adeguato, senza essere esagitato. Buona è stata la resa dei duetti con Violetta e in modo particolare quella di “Parigi, o cara” nel terzo atto. Un po’ dimesso invece il “Libiamo né lieti calici” e un po’ forzato il do acuto al termine di “O mio rimorso”.
Christian Gerhaher approccia il personaggio di Giorgio Germont in maniera controversa sia dal punto di vista interpretativo che vocale. Il suo Germont è un padre oppressivo, collerico e aggressivo (non proprio in senso metaforico visto che vola un vero ceffone nella scena I del primo atto) ma anche combattuto, e questo va di passo con un canto che si fa eccessivamente enfatico e scattoso, dove il legato viene sacrificato a favore del testo e dell’espressione. Il cantante, che peraltro è un ottimo liederista, non sembra aver trovato la dimensione giusta per affrontare la musica di Verdi. Viene meno l’eleganza e l’ampiezza del fraseggio e, in questo modo, anche la credibilità del canto stesso. Il suo approccio ha diviso ma alla fine sono prevalsi gli applausi (nessuna contestazione per la cronaca), segno che a molti il personaggio è arrivato nella sua complessità, a prescindere dal canto.
Non particolarmente attrattivo il timbro di Stephanie Wake-Edwards che però è efficace nei panni della cortigiana festaiola Flora, tutta brilla e frivola. Piacevole e di bella presenza invece il Gastone di Egor Zhuravskii. Corretti gli altri interventi, tra cui quelli di Yuriy Yurchuk come Barone Douphol e Renata Skarelyte come Annina.

Antonello Manacorda, dalla buca, predilige tempi dilatati, dove prevale la cura del dettaglio e del colore orchestrale in una lettura della partitura che, pur in assenza di guizzi particolari, rende bene lo svolgimento dell’azione drammaturgica e permette agli interpreti di curare l’espressione. Manacorda sembra nel complesso assecondare la respirazione e i rubati dei cantanti, pur facendo in modo che gli stessi non si prendano troppe libertà. Nell’organico orchestrale si segnalano la pulizia degli archi e le tinte amare e nostalgiche dei fiati. Gli interventi del coro della ROH diretto da Wlliam Spaulding appaiono un po’ fiacchi nel primo atto, mentre prendono notevole corpo e volume nella scena 2 del secondo atto al termine di “Ogni suo aver tal femmina” e “Di sprezzo sdegno”. Simpatica la coreografia dei “mattadori” curata da Jane Gibson.

Al termine, tutti i riflettori sono per Lisette Oropesa, ancora provata dalla sua trasformazione in scena e accolta da roboanti ovazioni al grido di “Brava!” e numerose standing ovation. È stata decisamente la sua serata, ma il pubblico ha avuto anche attenzioni calorose per Liparit Avetisyan e Antonello Manacorda.

Royal Opera House – Stagione d’Opera e Balletto 2021/22
LA TRAVIATA
Melodramma in tre atti
Libretto di Francesco Maria Piave
Musica di Giuseppe Verdi

Violetta Valery Lisette Oropesa
Giorgio Germont Christian Gerhaher
Alfredo Germont Liparit Avetisyan
Flora Bervoix Stephanie Wake-Edwards
Barone Douphol Yuriy Yurchuk
Marchese d’Obigny Jeremy White
Dottor Grenvil Blaise Malaba
Annina Renata Skarelyte
Gastone Egor Zhuravskii
Giuseppe Andrew Macnair

Orchestra e Coro della Royal Opera House
Direttore  Antonello Manacorda
Maestro del coro William Spaulding
Regia di Richard Eyre ripresa da Pedro Ribeiro
Scene e costumi Bob Crowley
Luci Jean Kalman
Coreografie Jane Gibson
Produzione della Royal Opera House
Londra, 2 novembre 2021

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