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Londra, Barbican Centre – Recital di Joyce DiDonato

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Una riflessione sull’isolamento forzato che tutti abbiamo vissuto durante la pandemia, sul potere terapeutico della musica e sulla gioia di condividerla nuovamente insieme come comunità. Era questo il concept del concerto tenuto dal mezzosoprano americano Joyce DiDonato, al Barbican Centre di Londra, insieme al pianista Craig Terry, al suo debutto nella sala londinese. Il brano di Duke Ellington “In my solitude”, cantato nella seconda parte del concerto, ha dato il nome a un programma eclettico che spaziava dal barocco al cabaret, attraverso classicismo e arie della tradizione italiana riarrangiate in chiave jazz dallo stesso Terry. I due artisti, reduci da una vittoria ai Grammy per il loro album Songplay, di cui alcuni brani sono stati proposti in questa serata, hanno ottenuto un successo strepitoso tra boati, schiamazzi e standing ovations, complice la grande forza comunicativa e l’artisticità spiccata della star americana, supportata con estro e versatilità dal suo partner alla tastiera. Nonostante le dimensioni cospicue della sala, DiDonato e Terry sono riusciti a creare un senso di intimità, ma hanno anche divertito e intrattenuto i presenti. Un programma veramente inusuale e per certi versi provocatorio, come solo alcune artiste carismatiche possono proporre.

A colpire di DiDonato sono sicuramente il carisma fuori dal comune, l’energia e la capacità di saper creare una forte connessione con il pubblico. Un legame che si crea fin subito dopo il primo pezzo, quando l’artista prende la parola per spiegare il ragionamento che sta dietro al programma. Ci prende poi forse troppo la mano e nella seconda parte gli interventi parlati si moltiplicano, ma il pubblico è totalmente nelle sue mani. Il confine tra la spinta comunicativa e il tentativo compiacente di ingraziarsi il pubblico viene quindi ampiamente superato, ma tale azzardo non funzionerebbe se non ci fosse sostanza dietro. Per fortuna la sostanza artistica c’è, eccome.

Tecnicamente la cantante dimostra un estensione ampia da mezzosoprano acuto (ma non acutissimo) con centri comodi e bassi ben timbrati. L’emissione è caratterizzata da un vibrato molto veloce e penetrante, non per tutti i gusti certo, ma comunque in grado di spettinare in alcuni attacchi in forte e fortissimo o in passi di rabbia o furore. Apprezzabile l’uso delle dinamiche e dei colori, mentre la dizione è complessivamente chiara in italiano (al netto di qualche durezza consonantica), mentre perfettibile è l’uso del francese e del tedesco. Poche erano le agilità in questo programma ma quelle presenti sono state sgranate con precisione. L’intonazione non è sempre immacolata, soprattutto in qualche passaggio o attacco in piano. La voce si espande invece molto bene nella sala, con ottima proiezione.

Il pezzo che ha aperto il concerto è l’Arianna a Naxos di Haydn. L’artista, in abito blu e rosa impreziosito da vistosi gioielli, appare a fuoco a livello interpretativo cogliendo il dolore e il senso di abbandono della protagonista, anche se a volte si lascia andare a qualche effetto troppo veristico. Incisiva nei recitativi, costruisce poi un quadro drammatico completo nelle arie “Dove sei, mio bel tesoro” e “Ah! che morir vorrei”, quest’ultima resa con un efficace climax dinamico.
Nel blocco successivo, vengono proposti i Rückert-Lieder di Mahler. DiDonato non ha ancora la caratura della liederista raffinata, complice anche un tedesco non eccellente. A ogni modo ci sono dei momenti di indubbia bellezza, soprattutto in “Ich bin der Welt abhanden gekommen”, dove è espressiva e crea un ottimo effetto di sospensione grazie a dei pianissimi ben sostenuti e in “Liebst du um Schönheit”, mentre il finale di “Um Mitternacht” ha la giusta solennità.

Dopo l’intervallo, DiDonato ritorna sul palcoscenico avvolta in un abito di pailette grigio-oro, segno forse che il concerto prenderà una piega inaspettata. Non subito però. È la volta di una breve parentesi barocca all’insegna di Cleopatra, dapprima con “Morte col fiero aspetto” da Marc’Antonio e Cleopatra, dove la cantante sgrana colorature vorticose a accenti marcati aiutandosi con una gestualità a tratti caricata. Si passa poi alla celebre “Piangerò la sorte mia” dal Giulio Cesare in Egitto di Händel, dove si segnala un pregevole finale in pianissimo anche se il fraseggio iniziale potrebbe essere curato meglio. Efficace invece l’agitazione della sezione B.
C’è spazio per un’altra eroina dell’antichità, con l’aria di Didone “Adieu fière cité” e relativo recitativo da Les Troyens di Berlioz. È questo uno dei ruoli di successo della cantante, anche se tradizionalmente per questo ruolo si pensa a voci più corpose. A ogni modo DiDonato rende con intensità drammatica l’amara constatazione della morte come unico destino e regala sul finale delle estatiche mezzevoci.

Ecco che il concerto prende una svolta inusuale, provocatoria se vogliamo, ma anche segno della versatilità di un’artista che rompe gli schemi senza paura. Arriva dal palco una dedica ai giovani cantanti in sala presi magari con le difficoltà degli studi e i primi passi a colpi di arie antiche. Ci si aspetterebbe quindi la classica resa delle arie della nostra tradizione. Invece no, tempo qualche battuta e “Caro mio ben” di Giordani prende una piega jazz-blues tra standard e variazioni grazie ai ri-arrangiamenti dello stesso Terry. Sarà così anche per “Se tu m’ami” di Parisotti e “Star vicino” di Rosa. Tutto molto interessante, moderno e simpatico, peccato che la magia dei brani originali si perde a favore dell’intrattenimento. Il pubblico comunque apprezza, anche se qualche insegnante di canto sarà probabilmente rimasto esterrefatto (e DiDonato stessa ci scherza su). Si conclude il programma della serata con “In my Solitude” di Ellington e “La vie en rose” di Louiguy, entrambe interpretate correttamente e con charme.

Craig Terry si è dimostrato un accompagnatore in grado di capire e assecondare le esigenze della voce, oltre che amplificare o anticipare gli effetti della stessa. Allo stesso tempo ha avuto i suoi momenti per brillare di luce propria con estro creativo e forza immaginifica negli arrangiamenti.

Al termine, un pubblico festante e in parte in piedi, ha accolto con furore la diva che con generosità si è concessa per tre bis, “Voi che sapete” di Mozart (forse un po’ piattina nel fraseggio), “I Love a Piano” (dove la cantante ha giocato con gli accenti del brano ma Terry ha avuto i veri riflettori) e “Somewhere over the Rainbow” (questa deliziosa nella resa). In conclusione, una serata piacevole, anche se dal programma inusuale. Su tutto ha dominato la straripante personalità di una delle star dei nostri tempi.

Barbican Centre – Stagione 2021/2022
RECITAL DI CANTO
Pagine di Haydn, Mahler, Hasse, Berlioz, Giordani,
Parisotti, Rosa, Ellington, Louiguy

Joyce DiDonato, mezzosoprano
Craig Terry, pianoforte

Londra, 26 ottobre 2021

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