Questa nuova incisione discografica di Aci, Galatea e Polifemo di Händel è un atto di fede, se non di veridicità storica, per la quale gli stessi curatori dell’operazione ammettono di non possedere elementi certi, almeno di riconoscimento al valore della ricerca musicologica che, nelle intenzioni di Raffaele Pe, unitamente ai revisori Fabrizio Longo e Luca Guglielmi, intende proporre quella che può considerarsi, all’apparire sulle scene piacentine (nel bell’allestimento curato da Gianmaria Aliverta, trasmesso in streaming dal Teatro Municipale sulla piattaforma Opera Streaming), la prima esecuzione in tempi moderni di una versione di questa serenata presumibilmente pensata per il cantore evirato Francesco Bernardi detto Senesino, il più amato dal “Caro Sassone” e forse l’interprete più importante di tante sue prime esecuzioni a Londra.
Händel musicò il libretto dell’abate napoletano Niccolò Giuvo, ispirato alla leggenda siciliana di Aci e Galatea, tratta dalle Metamorfosi di Ovidio, per intessere l’elogio della fedeltà matrimoniale. Sappiamo che la leggenda presenta l’amore fra il pastore Aci e la ninfa Galatea, contrastato dal geloso e sanguinario gigante Polifemo, il cui pressante e non corrisposto amore per Galatea lo induce ad assassinare il rivale, ucciso scagliandogli addosso un grande masso. Il sangue di Aci diverrà acqua e darà vita ad un fiume che, sfociando nel mare, permetterà alla ninfa di riunirsi all’amato in un ideale abbraccio eterno.
Il soggetto servì, al momento della prima esecuzione napoletana del 1708, a celebrare in musica, con questa serenata, le nozze fra Beatrice, nipote della Duchessa Aurora di Sanseverino, con Tolomeo III, Duca d’Alvito. Fu Aurora, amante delle arti e membro della Accademia dell’Arcadia, a invitare Händel, il quale lasciò Roma, dove risiedeva a Palazzo Ruspoli, per assolvere con maggior rapidità possibile a questo incarico. Compose la partitura in tutta fretta e ritornò in seguito diverse volte sul soggetto per altre versioni realizzate quando ormai aveva lasciato l’Italia alla volta di Londra, dove trasformò anche la serenata in masque. Per ciascuna ripresa, Händel pose mano alla partitura, della quale ci sono pervenute due versioni: quella della prima assoluta e quella del 1732, andata in scena al Teatro di Haymarket (Acis and Galatea). Per le altre si deve fare riferimento a un manoscritto Ms. Egerton 2953, conservato nella British Library di Londra, che raccoglie tutte le varianti possibili fra una ripresa e l’altra e ha permesso anche ai curatori di questa versione, oggi consegnata al disco, di ipotizzare quella che si ritiene sia stata la seconda delle riprese partenopee, quella successiva al 1711, quando nel 1713 a cantarla si pensa siano stati il citato castrato Senesino e il soprano Anna Maria Strada del Pò, attivi in quel momento sulle scene napoletane, entrambi cantanti molto apprezzati da Händel. Si è lavorato sul libretto originale della prima e si è operato tentando di ricostruire con più attendibilità possibile una versione fino a oggi mai ascoltata in tempi moderni, a cavallo fra l’ultima rappresentazione napoletana del 1713 e la prima versione inglese proposta a Cannons cinque anni dopo. In questa versione la parte di Aci viene affidata a un contralto castrato, mentre quella di Galatea passa da contralto a soprano. Assai modificata è la parte di Polifemo, forse perché per questa ripresa non c’era più il basso Antonio Manna e il ruolo viene pertanto privato della nota aria di sortita, “Sibilar gli angui d’Aletto”, poi divenuta a Londra appannaggio di Argante in Rinaldo. Gli restò l’altrettanto magnifica “Fra l’ombre e gl’orrori”, altre arie (fra le quali il recitativo accompagnato d’ingresso “Mi palpita il cor” seguito dall’aria “Affanno tiranno”) e lunghi recitativi accompagnati che contribuiscono a dare una immagine meno greve del ciclope. Anche sul piano della strumentazione, questa versione è diversa: l’utilizzo di flauti e legni aiuta a connotare con maggiore evidenza la dimensione arcadica ed intima dei personaggi, spesso plasmando la strumentazione a fini imitativi, come accade nella splendida aria di Aci, “Verso già l’alma col sangue”, quando il pastore esala gli ultimi sospiri accompagnato dal mesto sostegno degli archi.
Per quanto riguarda il riascolto di questa edizione, rimandiamo, nella sostanza, a quanto già scritto in merito alla rappresentazione proposta in streaming dal Teatro Municipale di Piacenza (qui il link), che trovò nella dimensione visiva assai suggestiva e meditata di Gianmaria Aliverta un innegabile punto di forza. Eppure non meno significativi appaiono, dal riascolto di questo cofanetto disponile sul mercato del 4 ottobre su etichetta Glossa, i meriti di un’esecuzione che mette in mostra le qualità di Raffaele Pe, promotore di questo progetto con l’ensemble strumentale barocco La Lira di Orfeo – qui diretto con finezza e sensibilità da Luca Guglielmi – con il quale spesso collabora in sede d’incisione discografica come in sala da concerto e che garantisce a questa edizione un suono delicato, elegante e perfettamente rispondente a quelle suggestioni compositive che influenzarono Händel, attraverso lo stile squisitamente italiano di Bernardo Pasquini e Alessandro Scarlatti, ma anche con rimandi a compositori di influenza francese e asburgica, permettendo di spaziare nei diversi elementi di configurazione stilistica che testimoniano la sua sapienza strumentale oltre alla ben nota abilità nell’utilizzare il belcanto a fini espressivi.
Questa componente espressiva è alla base dello stesso rendimento vocale degli interpreti, tutti italiani e “barocchisti” di comprovata bravura. Raffaele Pe (Aci) canta davvero bene e, fra i controtenori italiani, è il più affermato di oggi. Lo sostiene un falsetto morbido, carezzevole, facile nell’emissione, privo degli artifici che solitamente affliggono queste voci; è persuasivo nelle sottigliezze espressive che, al momento di fargli intonare il sopracitato e magnifico largo “Verso già l’alma col sangue”, lo vedono creare un’oasi di vera commozione vocale. Un canto, il suo, emotivamente toccante oltre che stilisticamente irreprensibile.
Giuseppina Bridelli (Galatea), che in natura è mezzosoprano, piega la sua vocalità alla scrittura sopranile della parte, così come si configura in questa particolare versione, sfoggiando pure lei eleganza e quel tocco di garbo emozionale che percorre sempre il canto. Andrea Mastroni (Polifemo) emerge nei temibili salti d’ottava che caratterizzano la nota aria “Fra l’ombre e gl’orrori”, nella quale pone in bell’evidenza il suo registro grave sonoro e timbrato, reggendo con abile perizia tecnica i difficili passaggi all’acuto, ammorbiditi e girati in falsetto, per poi scendere nelle più cavernose note basse. Eppure non si accontenta di essere un virtuoso della corda di basso; è espressivo e, all’occorrenza, riesce anche a cogliere toccanti spiragli di pentimento che donano all’implacabile furia dell’amante non corrisposto quel tocco di umanità evidente nel recitativo accompagnato verso la conclusione dell’opera.
Ottima la qualità della registrazione e interessanti le note di copertina redatte da Raffaele Pe e Luca Guglielmi, che motivano le scelte che hanno dato vita alla ricostruzione di questa particolare versione ispirata a quella che Händel pensò per il castrato Senesino.
ACI, GALATEA E POLIFEMO
Serenata su libretto di Niccolò Giuvo
Musica di Georg Friedrich Händel
Aci Raffaele Pe
Galatea Giuseppina Bridelli
Polifemo Andrea Mastroni
Ensemble Barocco La Lira di Orfeo
Direttore Luca Guglielmi
Etichetta: Glossa
Formato: CD
Registrazione effettuata al Teatro Municipale di Piacenza
dal 26 al 31 ottobre 2020
Prima registrazione in tempi moderni della versione per il castrato Senesino