Il Teatro Carlo Felice di Genova presenta una stagione 2022 di tutto rispetto e conclude quella autunnale salutando l’anno come meglio non si potrebbe immaginare, affidandosi a quello che lo stesso regista dello spettacolo, Luca Micheletti, definisce “un sistema teatrale a sé stante, scintillante, autoironico e appena venato d’una sublime malinconia”. Si mette in scena, infatti, la più celebre di tutte le operette, La vedova allegra di Franz Lehár, in un nuovo allestimento che prevede anche una rinnovata traduzione italiana e l’adattamento drammaturgico di Luca Micheletti stesso e la versione ritmica in collaborazione con Elisa Balbo: baritono, interprete della parte di Danilo e regista lui, soprano e protagonista nei panni di Hanna Glawari lei, insieme sul palcoscenico, come lo sono nella vita privata, per dar vita a una messa in scena scoppiettante, dinamica e allegra, dai ritmi teatrali mai scontati e prevedibili. Nel firmarla, con scene e costumi di Leila Fteita e coreografie di Fabrizio Angelini, Micheletti non dimentica di essere attore oltre che cantante e costruisce un percorso teatrale nel segno della gioia di vivere ma anche del gusto, del sano divertimento che scatena uno spettacolo apparentemente semplice nella struttura eppure di grande effetto.
Suggestionato dai ricordi cinematografici, che spesso hanno avvicinato questa immortale operetta di Lehár alla cinepresa, a partire dai tempi del cinema muto, lo spettacolo si ambienta negli anni Venti del Novecento, con costumi che richiamano quell’epoca e lo stile déco. L’impianto scenico, funzionale e d’effetto, è per lo più in bianco e nero, con sfumature di grigio, sipari e tendaggi bianchi e d’argento che si aprono svelando ambienti che fanno ben comprendere i climi dei diversi quadri dell’operetta. Aiuta una grande pedana circolare rotante, che nel primo quadro funge da tavola per il ricevimento nei saloni dell’ambasciata parigina del regno del Pontevedro con un gigantesco lampadario a gocce di cristallo che pare uscito da Swarovski, poi accoglie una grande giostra che, a dimensioni naturali, colma la scena e funge da pavillon per il gioco di scambi amorosi, per la “giostra” di fraintendimenti messi in essere dal ventaglio che passa di mano in mano dando adito a gelosie e dubbi sulla fedeltà.
L’apertura del secondo atto, con la festa nel giardino di casa Glawari, vede l’arrivo della diva su un pallone areostatico che approda sulla scena per dare alla protagonista subito occasione di intonare le note della celebre canzone della Vilja. Prima ancora, nel primo atto, Danilo fa il suo ingresso in scena su una vecchia Rolls-Royce guidata da un autista che apre le porte dell’elegante vettura e svela un Conte in preda ai fumi dell’alcool appena uscito da una notte di divertimenti da Maxim, locale che nell’ultimo atto appare come un grande teatro di burattini in cartepesta dorata che fa da corona a una scalinata che poi gira su se stessa e svela il backstage del locale notturno dove Danilo, ancora una volta ubriaco, è attorniato dalle sue donnine e poi cede al sentimento per il vero amore che prova per Hanna Glawari. Inutile immaginare spettacolo più intelligente e insieme godibile di questo, in un girotondo inesauribile di passioni e gioia di vivere fatto di siparietti umani che la regia mai fa cadere nel caricaturale fine a se stesso. Micheletti mette infatti in moto un meccanismo teatrale vivacissimo, scatenato ma sempre nel segno del buon gusto. La nuova traduzione italiana aiuta a inquadrare l’operetta nei suoi più consumati cliché, nelle sue godibili assurdità, e costruisce i personaggi alla perfezione, dal Njegus simpaticamente effeminato di Ciro Masella, attore formidabile, al Barone Mirko Zeta di Filippo Morace, che intona divertito la sua aria “Stanotte faccio il parigin” ballando lungo tutto il palcoscenico con cilindro e mantello, e lo fa davvero bene.
Funziona pure la coppia di amanti formata da Valencienne e Camille de Rossillon, anche se la voce svettante ma un po’ asprigna di lei, Francesca Benitez, e l’emissione alquanto ingolata di lui, Pietro Adaini, creano qualche problema nella romanza e duetto del pavillon. Eppure recitano bene, come tutti gli altri, dai bravissimi Claudio Ottino (Visconte de Cascada) e Manuel Pierattelli (Raoul de St. Brioche), così come Giuseppe Palasciano (Kromow), Maria Grazia Stante (Olga), Luigi Maria Barilone (Bogdanowitsch), Kamelia Kader (Sylviane), Alessandro Busi (Pritschitsch), Letizia Bertoldi (Praskowia), Valter Schiavone (Maître Chez Maxim) e Federica Sardella (Zozo).
Le controscene di danza, con valletti, maschere e grisettes, aiutano sempre, anche quando non previsti, tanto da render lo spettacolo scoppiettante e a vivacissima centrifuga teatrale. Quando poi sulla scena c’è Luca Micheletti si rasenta l’ideale. La presenza disinvolta e la voce di baritono bella e timbrata, con l’abilità di girare i suoni acuti rendendoli all’occorrenza quasi tenorili, fanno del suo Danilo un elemento di attrattiva sicuro. Vederlo recitare la parte dello spensierato sciupafemmine che si goda la vita sempre, con il disincanto del vero blagueur, spesso alticcio, è una vera gioia, perché lo fa con classe e fascino irresistibili. Ma anche Elisa Balbo, pur con voce certo meno preziosa, per timbro e proiezione sonora, canta con gusto e regge la scena con una bellezza che finisce per conquistare. La sua non è la solita vedova, un po’ attempata e ancora capace di sedurre, ma giovane e fresca. Nella canzone della Vilja amministra i propri mezzi vocali con saggezza provando a girare i suoni nei filati al meglio delle sue possibilità. Una coppia perfetta e affiatatissima la loro, così come eccellente è la bacchetta di Asher Fisch, che dirige l’Orchestra del Teatro Carlo Felice con sapida brillantezza e nell’interludio che per l’occasione serve da passaggio fra il secondo atto e la scena del terzo Chez Maxim condensa tutti i temi principali dell’operetta e li amalgama con classe e svaporata scioltezza, in equilibrio perfetto fra ritmi scatenati e languori nostalgici.
Tutto funziona a meraviglia in questa Vedova allegra genovese e non guasta la festa di uno spettacolo accolto da trionfali applausi finali neanche la breve interruzione per un piccolo incidente tecnico che per poco blocca il cambio scena fra il secondo e il terzo atto dopo che la grande giostra si è inabissata sui ponti mobili del Carlo Felice per dar spazio all’ultimo quadro: qualcosa appunto non funziona e, per una decima di minuti, lo spettacolo si ferma per poi fortunatamente riprendere senza conseguenze.
Produzione da non perdere (si replica fino al 5 gennaio) e pubblico molto numeroso. Segno che il teatro d’opera genovese comincia e riprendere vita e ad attrarre pubblico. Buon Anno, quindi, concluso nel teatro del capoluogo ligure auguralmente così bene.
Teatro Carlo Felice – Stagione autunno 2021
LA VEDOVA ALLEGRA
Operetta in tre atti
Libretto di Victor Léon e Leo Stein
dalla commedia L’Attaché d’ambassade di Henri Meilhac
Musica di Franz Lehár
Prima assoluta della nuova traduzione italiana
e adattamento drammaturgico di Luca Micheletti
Versione ritmica realizzata in collaborazione con Elisa Balbo
Hanna Glawari Elisa Balbo
Conte Danilo Danilowitsch Luca Micheletti
Valencienne Francesca Benitez
Camille de Rossillon Pietro Adaini
Barone Mirko Zeta Filippo Morace
Njegus Ciro Masella
Visconte de Cascada Claudio Ottino
Raoul de St. Brioche Manuel Pierattelli
Kromow Giuseppe Palasciano
Olga Maria Grazia Stante
Bogdanowitsch Luigi Maria Barilone
Sylviane Kamelia Kader
Pritschitsch Alessandro Busi
Praskowia Letizia Bertoldi
Maître Chez Maxim Valter Schiavone
Zozo Federica Sardella
Les Grisettes: Michela Delle Chiaie, Ginevra Grossi,
Erika Mariniello, Marta Melchiorre,
Matilde Pellegri, Monica Ruggeri
Danzatori: Cristian Catto, Giovanni Enani Di Tizio,
Tiziano Edini, Robert Ediogu, Matteo Francia,
Samuel Moretti, Andrea Spata
Orchestra e Coro Teatro Carlo Felice
Direttore Asher Fisch
Maestro del coro Francesco Aliberti
Regia Luca Micheletti
Scene e costumi Leila Fteita
Coreografo Fabrizio Angelini
Progetto luci Luciano Novelli
Luci realizzate da Fabrizio Ballini
Nuovo allestimento Fondazione Teatro Carlo Felice
Genova, 30 dicembre 2021