Il Teatro Carlo Felice di Genova tenta, con la stagione d’autunno, di recuperare il terreno perduto a causa del Covid e a scongiurare lo spettro di quella mancanza di pubblico che sembra essere ormai una costante di molti teatri d’opera italiani. Dopo un’edizione di Pagliacci, affiancata da la prima assoluta della nuova versione dell’opera Sull’essere angeli di Francesco Filidei, il pezzo forte del cartellone viene dalla prima ripresa in tempi moderni di Bianca e Fernando di Vincenzo Bellini nella versione di Genova del 1828. Per la verità il capoluogo ligure già accolse l’opera nel 1978 al Politeama Margherita, con Cristina Deutekom e Werner Hollweg come protagonisti, ma ora propone appunto la versione che si avvale del recupero di quelle parti attualmente al vaglio per la realizzazione dell’edizione critica.
Questa partitura è legata alla storia genovese perché al giovane Bellini, che nel frattempo avevo conquistato la Scala con Il pirata nel 1827, venne chiesto di rielaborare, per l’apertura del nuovo teatro, il Bianca e Gernando che aveva visto la luce al San Carlo di Napoli nel 1826 con tre interpreti leggendari: Henriette Méric-Lalande (Bianca), Giovanni Battista Rubini (Gernando) e Luigi Lablache (Filippo). Col nuovo titolo Bianca e Fernando e la revisione del libretto affidata a Felice Romani, l’opera inaugurò il Teatro Carlo Felice il 7 aprile 1828, alla presenza dei sovrani del Regno di Sardegna. Ne furono interpreti altrettanto prestigiosi Adelaide Tosi (Bianca), Giovanni David (Fernando) e Antonio Tamburini (Filippo). Bellini lavorò alla stesura della nuova versione della partitura a Genova, dove si trasferì da metà marzo 1828. Oltre all’ampliata Sinfonia d’apertura, venne variata la cabaletta della scena d’ingresso di Fernando, così come nuova fu la cabaletta di Filippo del primo atto e la cavatina di sortita di Bianca. Nel secondo atto venne aggiunta un’altra aria per Fernando e modificato il terzetto tra Bianca, Fernando e Carlo, mentre rimasero invariati due pezzi portanti: la splendida romanza di Bianca “Sorgi, o padre” e il lungo duetto fra Bianca e Fernando. Il finale della versione genovese acquistò poi maggior respiro grazie all’aggiunta della cabaletta di contento di Bianca dopo che il figlioletto Enrico viene liberato dalle minacce vendicative di Filippo.
Strano a dirsi, ma l’opera non parla, come avveniva spesso nei soggetti melodrammatici romantici di quel tempo, di amori infelici o impossibili, bensì la trama è declinata sulla volontà che i due fratelli Bianca e Fernando – divisi dal tempo della giovinezza ma ricongiunti al momento del bisogno – hanno di liberare il padre Carlo, spodestato dal trono ducale d’Agrigento dalle mire di potere dell’ambizioso Filippo. A quest’ultimo Bianca ha deciso di andare in sposa, nonostante sia già vedova e madre del piccolo Enrico, ignorando le di lui losche trame di potere. L’opera ha un lieto fine. I figli riescono a liberare il padre e a rimpossessarsi del trono, tanto che l’opera si conclude con una gioiosa cabaletta del soprano.
La musica di Bellini, utilizzando il declamato e le sue tipiche melodie lunghe lunghe, fa sentire pagine poi utilizzate in altre opere. Non sarà difficile, per l’ascoltatore smaliziato, riconoscere nella cabaletta dell’aria di ingresso di Bianca, “Contenta appien quest’anima”, un embrione di quella di Norma “Ah bello a me ritorna”, così come altri richiami a future partiture del Cigno di Catania (vedasi il coro di congiura “Tutti siam” del secondo atto, che si riascolterà in Norma).
A Genova, dove il sovrintendente Claudio Orazi e il direttore artistico Pierangelo Conte hanno creduto molto in questo progetto di recupero, affiancato anche da un convegno di studi, Bianca e Fernando è andata in scena col nuovo allestimento curato da Hugo de Ana. Ci spiace non poter riferire al lettore dello spettacolo, che all’apparenza è parso connotato da una forte componente simbolica, ma che non ci è dato descrivere a causa di un guasto alla macchina scenica che ha costretto il teatro e mettere in scena la recita domenicale del 28 novembre, alla quale abbiamo assistito, utilizzando l’impianto fisso, privando l’elaborato apparato scenico della gran parte dei movimenti e dislocando il coro al proscenio. Ogni tentativo di descrivere una messa in scena in apparenza così complessa e suggestivamente stimolante non renderebbe onore all’operato del regista stesso e passiamo quindi subito alla parte musicale, che ha visto Donato Renzetti regalare una concertazione molto attenta alle voci e al respiro musicale di una partitura che, se capolavoro non è, regala momenti di grande bellezza e, come sempre capita in Bellini, scritture vocali davvero impervie, che mettono a dura prova le voci. Renzetti mantiene sempre sotto controllo le sonorità, avvolge le melodie in una guaina sonora elegante e dagli equilibri sonori perfetti.
Se ne avvantaggia anche chi offre una poco più che volenterosa resa vocale, come il tenore Giorgio Misseri, che nei panni di Fernando è chiamato a sostenere una parte forse al di sopra delle sue possibilità vocali. Non cerca di trovare soluzioni stilistiche che lo impegnino nell’utilizzo di suoni misti. Così, al momento di eseguire l’impervia cabaletta “Ascolta, o padre, i gemiti del figlio tuo dolente”, incorre in qualche incidente in acuto, meno evidente nella scena del secondo atto, prima nell’aria “All’udir del padre afflitto” e poi nella cabaletta “Odi il mio pianto o padre”, nelle quali si disimpegna con onore. Certo la voce è sempre guardinga e tesa, seppur limpida e chiara, a tratti sul punto di rompersi per non saper girare i suoni acuti utilizzando al meglio l’emissione di testa, ma gli manca soprattutto la dolcezza di quel canto paradisiaco attraverso il quale Bellini dona a molti ruoli tenorili la chiave di una poetica vocale tutta personale, aprendo la strada ad una vocalità romantica fatta di sospiri ed elegiache dolcezze nelle sfere della tessitura iperacuta.
Decisamente complessa anche la parte di Bianca, che trova nel soprano Salome Jicia una eccellente interprete, intensa e partecipe, oltre che in possesso di una voce lirica che disegna la melodia belliniana donandole un buon supporto espressivo. Ed eccola emergere nella grande aria del secondo atto, “Sorgi, o padre”, certo una delle pagine migliori dell’opera, nella quale mette in luce un buon legato e un fraseggio emotivamente pregnante, che si ritrova nel successivo duetto con il fratello. Non è una virtuosa assoluta, ma nella cabaletta che conclude l’opera riesce a risultare più che persuasiva.
Nicola Ulivieri dona a Filippo, il cattivo della situazione, un bel fraseggio e lo stile irreprensibile di sempre, ma patisce la tessitura un po’ acuta della parte e nelle cabalette del primo (“Oh contento desiato!”) e secondo atto (“Bramato momento, deh vieni, t’affretta”) è costretto a scendere a qualche compromesso vocale, a scapito dell’incisività oltre che del protervo slancio vocale richiesto. Ottimo il Carlo del basso Alessio Cacciamani, in bell’evidenza nell’arioso “Da gelido sudore…” e bravissimi, nei ruoli di contorno, Giovanni Battista Parodi (Clemente), Elena Belfiore (Viscardo), Carlotta Vichi (Eloisa) e Antonio Mannarino (Uggero).
Buon successo finale e pubblico sodisfatto nonostante l’inconveniente tecnico di scena abbia sacrificato la parte visiva ma non il buon risultato dell’esecuzione musicale. Appuntamento a dicembre per il nuovo allestimento de La vedova allegra di Franz Lehár.
Teatro Carlo Felice – Stagione 2021-22
BIANCA E FERNANDO
Opera in due atti
Libretto di Domenico Gilardoni revisionato da Felice Romani
Musica di Vincenzo Bellini
Bianca Salome Jicia
Fernando Giorgio Misseri
Filippo Nicola Ulivieri
Carlo Alessio Cacciamani
Clemente Giovanni Battista Parodi
Viscardo Elena Belfiore
Eloisa Carlotta Vichi
Uggero Antonio Mannarino
Orchestra e Coro Teatro Carlo Felice
Direttore Donato Renzetti
Maestro del coro Francesco Aliberti
Regia, scene e costumi Hugo de Ana
Assistente alla regia Filippo Tonon
Assistente alle scene Nathalie Deana
Assistente ai costumi Cristina Aceti
Luci Valerio Alfieri
Nuovo allestimento Fondazione Teatro Carlo Felice
Prima esecuzione moderna della edizione di Genova 1828
Genova, 28 novembre 2021