Dopo mesi di annunci e proclami, è entrata in funzione ITsART, la nuova piattaforma multimediale voluta dal ministro della cultura Dario Franceschini già nei primi mesi di pandemia, quando invocava una “Netflix della cultura” da cui offrire il patrimonio italiano al mondo. Attraverso un’interfaccia piuttosto semplice è possibile registrarsi al sito in pochissimi passaggi per poi acquistare o noleggiare i contenuti che interessano in modo alquanto intuitivo. Senza addentrarci in questioni politiche e finanziarie, in cui rientra anche la più che lecita domanda sul perché non sfruttare una piattaforma di una azienda pubblica come Raiplay invece di fare una cosa nuova da zero, rimane da capire una questione tecnica non secondaria: perché ispirarsi dichiaratamente a un format internazionale, in questo caso Netflix, se poi non se ne ripropongono le formule? Netflix offre infatti contenuti illimitati attraverso un abbonamento; mentre ITsART funziona ad acquisto singolo, con prezzi che vanno da pochi euro a una decina, più alcuni eventi gratuiti. Ciò va in controtendenza anche rispetto a piattaforme internazionali con le stesse finalità come Medici.tv o Marquee.tv, anche queste con contenuti in abbonamento, e si avvicina più ai siti di streaming dei singoli teatri, i quali tuttavia offrono spesso entrambe le soluzioni, come il portale Met Opera on Demand dell’omonimo teatro newyorkese. Tra le novità assolute di cui la piattaforma può fregiarsi, c’è il video del nuovo allestimento di Rigoletto registrato a Firenze lo scorso febbraio, a cui alcuni giornalisti, noi compresi, hanno assistito in presenza.
Davide Livermore firma questa nuova produzione del classico titolo verdiano, andando a sostituire, si suppone, quella assai più scarna di Francesco Micheli, nata due anni fa. Il regista torinese dichiara di volere rendere la vicenda ancora più cruda e impietosa dell’originale, ambientandola in luoghi di passaggio privi di qualunque felicità, come le fermate della metropolitana, dove non esiste compassione o solidarietà, ma tutti si ignorano, spettatori impassibili anche di fronte ai peggiori misfatti. Così il rumore dello sferragliare dei treni invade la sala poco prima che gli ottoni intonino il tema della maledizione. Tre persone in un antro oscuro osservano impassibili un cadavere femminile a terra, mentre una quarta se ne sta scostata; i tre guardano ripetutamente il corpo esanime prima di andarsene e lasciare il vivo a colloquio con la morte; ma la ragazza sull’ultima esplosione orchestrale si rianima come un fantasma, agitando un costume da giullare e sparisce. L’uomo, che a questo punto capiamo essere Rigoletto, si gira verso il pubblico per poi immergersi nella festa alle sue spalle. La corte mantovana viene quindi sostituita da interni lussuosi e algidi dove il Duca organizza festini mascherati sospesi tra temi cinquecenteschi e richiami al film Eyes Wide Shut, in cui le minacce al Conte di Ceprano diventano sadiche roulette russe, mentre il buffone sembra già ossessionato da incubi di persecuzione; gli altri personaggi popolano invece squallidi bassifondi come la lavanderia sotterranea vicino alla metropolitana dove Gilda lavora, o il sordido nightclub dove la ragazza trova la morte. Nell’ultima scena infatti il protagonista piange sul cadavere di Gilda, mentre questa canta totalmente straniata, e si aggira trasfigurata sul palco sempre più vuoto, in una immagine che ricorda vagamente l’ultimo allestimento romano di Michieletto. Non è comunque l’unico rimando palese fatto da Livermore, dato che tutta l’atmosfera ricorda il Rigoletto da gangster che Jonathan Miller allestì alla English National Opera di Londra quasi 40 anni fa, soprattutto nell’ultimo atto, dove predominano le belle luci da film noir firmate da Antonio Castro. Alcuni espedienti tecnici risultano un po’ abusati, ad esempio il continuo ricorso a colpi di pistola, spesso poco motivati, o alle controscene al rallentatore, così come le proiezioni sullo sfondo, assai ben realizzate, ma sospese tra la sfilata di quadri e il mero ambientalismo; tuttavia lo spettacolo funziona senza essere rivoluzionario nei contenuti, né tanto meno nell’estetica.
Sul lato musicale Riccardo Frizza cerca di dare slancio alla narrazione mediante tempi perlopiù spediti, ma deve tenere conto delle esigenze dei cantanti e di quelle di distanziamento in buca e sul palco, dove un’orchestra e un coro in ottima forma non bastano a evitare alcuni cali di tensione drammatica nei concertati. Va comunque segnalato come il direttore opti per scelte testuali mirate a fare piazza pulita della maggior parte degli acuti di tradizione, soprattutto nelle pagine riservate al protagonista.
Il cast offre sostanzialmente una buona prova complessiva. Luca Salsi è un Rigoletto altalenante: mostra di aver pensato e cesellato buona parte del personaggio: ne sono prova momenti come il primo dialogo col Duca sulla sorte del Conte di Ceprano, o il “Pari siamo”, in cui la varietà di accenti è perfettamente congeniale ai moti dell’animo del protagonista. Tuttavia non mancano passaggi più generici che risultano modulati in modo uniforme, ad esempio nello scambio di battute in cui partecipa al rapimento della figlia, oppure piatti come nel “Cortigiani, vil razza dannata”. Enkeleda Kamani, dotata di uno strumento non debordante, ma ben proiettato, tratteggia una Gilda eterea e sognante, soprattutto grazie alle mezze voci e ai pianissimi distillati con sapienza, di cui è esempio un “Caro nome” quasi impalpabile, pur a fronte di qualche acuto un po’ tirato. Javier Camarena affronta il ruolo del Duca di Mantova con una notevole spavalderia vocale, e già nella ballata di apertura sfodera acuti facili e ben dosati. Non mancano le rifiniture, e il “T’amo” iniziale del duetto con Gilda eseguito in un seducentissimo e piacevole piano basterebbe da solo per capire tutto il mondo dietro a tale personaggio, che il tenore comunque sa anche impersonare senza problemi dal punto di vista attoriale.
Alessio Cacciamani è uno Sparafucile dal timbro chiaro ma assai efficace in ogni suo intervento, così come la Maddalena di Caterina Piva, che a partire dal quartetto, dosa la sua bella voce scura con sicurezza e disegna un personaggio molto centrato. A fronte di un Conte di Monterone un po’ piatto, anche se ben cantato da Roman Lyulkin, nel fronte dei comprimari si distingue l’azzeccatissima Giovanna di Valentina Corò, mentre Francesco Samuele Venuti (Marullo), Antonio Garès (Borsa) e Davide Piva (Conte di Ceprano) sono dei cortigiani efficaci e ben affiatati.
Teatro del Maggio – Stagione Lirica 2020/21
RIGOLETTO
Melodramma in tre atti di Francesco Maria Piave
Musica di Giuseppe Verdi
Duca di Mantova Javier Camarena
Rigoletto Luca Salsi
Gilda Enkeleda Kamani
Sparafucile Alessio Cacciamani
Maddalena Caterina Piva
Giovanna Valentina Corò
Conte di Monterone Roman Lyulkin
Marullo Francesco Samuele Venuti
Matteo Borsa Antonio Garés
Conte di Ceprano Davide Piva
Contessa di Ceprano Rosalia Cid
Un usciere di corte Amin Ahangaran
Paggio della Duchessa Greta Doveri
Coro e Orchestra del Maggio Musicale Fiorentino
Direttore Riccardo Frizza
Maestro del coro Lorenzo Fratini
Regia Davide Livermore
Scene Giò Forma
Costumi Gianluca Falaschi
Luci Antonio Castro
Video D-Wok
Nuovo allestimento
Firenze, 23 febbraio 2021
Spettacolo visibile a pagamento su:
https://www.itsart.tv/it/