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Festival di Salisburgo 2021 – Elektra

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Una luce gialla illumina il fascinoso spazio della Felsenreitschule all’ingresso dello spettatore in sala. Le arcate della scuola estiva della cavallerizza degli arcivescovi sono tutte chiuse; sul palco si vedono una grande scatola violacea e un’area adibita a bagno con docce e una piscina. Lo spettacolo inizia dal nulla, gli applausi non accompagnano l’entrata del direttore. Una donna arriva al proscenio e inizia a recitare in tedesco il monologo dell’uccisione di Agamennone tratto direttamente da Eschilo. Clitemnestra declama le ragioni della sua uccisione, mentre Elettra la osserva costernata a un lato del palco. La regina poi cade a terra e il tema di Agamennone divampa in sala. Così inizia Elektra di Richard Strauss secondo Krzysztof Warlikowski, produzione che ha debuttato nell’edizione 2020 del celebre festival estivo e che viene ripresa quest’anno con un cast leggermente variato in alcune sue principali componenti.

Questo inizio serve a Warlikowski, supportato dal suo fedele Dramaturg Christian Longchamp, a mettere in evidenza il parallelo tra madre e figlia: l’ossessione di Elettra per la vendetta del padre da compiersi mediante l’omicidio di Egisto e Clitemnestra, è la stessa di quest’ultima quando vuole vendicare la morte di Ifigenia, sacrificata da Agamennone per salpare verso Troia. La saga degli Atridi si presenta quindi come un baratro di sangue e vendetta senza fondo, ma il monologo di Eschilo in apertura appare anche come una visione della protagonista che rivive costantemente il momento in cui venne compiuto l’omicidio. Tale scelta può effettivamente risultare arbitraria, dato che fa perdere pregnanza a quell’incredibile accordo iniziale, eppure, nella forzatura, non si può negare che abbia una certa presa sullo spettatore.
A parte questa intrusione e l’ambientazione attualizzata, Warlikowski è assai fedele al libretto nel tessere i rapporti tra i personaggi, che appaiono totalmente disfunzionali, ognuno perso nel proprio universo di solitudine, accentuato tra l’altro dalle solite asettiche e modernissime scenografie di Małgorzata Szczęśniak. Quando questi uomini e donne provano a interagire, i risultati si fanno ancora più disastrosi e disarmanti, tanto che il finale è tutto tranne che una catarsi: Elettra impazzisce definitivamente, Oreste riesce solo a uccidere la madre, così che il resto del lavoro sporco tocca a Chrysothemis. Incredibile è infatti lo scavo fatto su questo personaggio, presentato inizialmente come avulso dall’inferno familiare e desideroso di riscatto, ma che risulta alla fine il vero collante di tutto: uccide Egisto, sistema i cadaveri dopo la mattanza, e salva Elettra dal suicidio, mentre il fratello fugge ossessionato dalle Erinni sotto forma di mosche, particolare dissonante in una scena pervasa dall’ossessione della pulizia tipica della nostra epoca. L’elemento scenico del bagno sottolinea infatti la voglia di purificazione dei personaggi, ma è allo stesso tempo simbolo del luogo dove fu ucciso Agamennone, così che il lavarsi sembra anche prefigurare le abluzioni delle vittime sacrificali.
Inutile dire che si tratta di uno spettacolo che si apprezza molto più dal vivo che in video, data la forte ricchezza di controscene e l’abilità incredibile di sfruttare uno spazio larghissimo come la Felsenreitschule, dove gli elementi scenici si muovono senza un rumore (come lo spettacolare il cubo/casa durante la mattanza), le luci cambiano a ritmi vertiginosi, e tutti gli interpreti sono calati nella propria parte alla perfezione.

Ausrine Stundyte è una protagonista carismatica e dalla presenza scenica dirompente. Le manca tuttavia la voce per fare Elektra: i fiati sono corti, gli acuti sono assai pericolanti e spesso l’orchestra la sovrasta. Lotta con tutte le sue forze per stare a galla e alla fine certamente colpisce per la grinta con cui affronta un tale spettacolo, ma a conti fatti risulta alquanto affaticata, e per una volta si ringrazia che non vengano ripristinati i tagli di tradizione. Tanja Ariane Baumgartner è una Klytämnestra notevole: appartiene al filone delle madri di mezza età che fanno fatica ad ammettere che il tempo passa anche per loro, e si fa apprezzare nella sua scena grazie a un canto ben dispiegato ma mai forzato neanche nelle intenzioni.
La vera rivelazione di questa ripresa è tuttavia la Chrysothemis di Vida Miknevičiūtė, la quale non fa assolutamente rimpiangere la mancanza di Asmik Grigorian, che riprenderà il ruolo nelle ultime tre recite dopo averlo debuttato lo scorso anno in questa produzione. Miknevičiūtė non si fa intimorire dai costumi particolarmente succinti, vestendoli anzi con una disinvoltura unica, e al tempo stesso si mangia le difficoltà vocali della parte senza problemi. Non vi è salita all’acuto o parte più centralizzante che la metta in crisi, anzi la voce si espande in sala con facilità, connotata da un timbro leggermente metallico ma non privo di fascino.
Altro notevole cambio è l’Orest di Christopher Maltman, di cui ben si conoscono le doti attoriali, ma che qui mette in campo anche un bel registro basso, arricchito da una cura del fraseggio che dimostra ancora una volta la sua statura di artista. Ottimo poi è anche Michael Laurenz nel breve ma comunque non facile ruolo di Aegisth, affrontato senza cadere nel macchiettismo.
Tra i vari comprimari meritano di essere segnalati Jens Larsen, per il rilievo scenico dato al ruolo del vecchio servitore, e le ancelle di Monika Bohinec, Regine Hangler e Christina Gansch (quasi un lusso averla come quinta ancella), per la resa musicale assai cesellata.

Franz Welser-Möst dirige con perizia mettendo in evidenza ogni dettaglio della partitura, levigando il suono ma cercando di sostenere anche i cantanti laddove c’è bisogno. Tra una scena iniziale fin troppo adagiata, persa nella ricerca analitica dei particolari (meravigliosi ovviamente) e un finale tellurico, il direttore austriaco sa trovare una narrazione convincente tra scatti nervosi, come l’ingresso di Klytämnestra, che tuttavia viene poi stemperato in una cesellatura cameristica della prima parte della seguente scena, perfetta prefigurazione delle riflessioni di Rosenkavalier, mentre la parte che succede all’agnizione tra i due fratelli è venata di erotismo come se fosse uno strascico di Salome. Gran merito va ascritto ovviamente anche ai Wiener Philarmoniker, precisissimi in ogni sezione, che hanno questo repertorio nel dna. In sostanza, quella di Welser-Möst è una discreta direzione, che ben incasella quest’opera nel corpus straussiano, pur perdendosi talvolta in un sinfonismo fine a se stesso.
Quasi inutile dire che al termine della recita il pubblico entusiasta esplode in un vero e proprio trionfo.

Salzburger Festspiele 2021
ELEKTRA
Tragedia in un atto op. 58
Libretto di Hugo von Hofmannsthal dalla tragedia di Sofocle
Musica di Richard Strauss

Elektra Ausrine Stundyte
Klytämnestra Tanja Ariane Baumgartner
Chrysothemis Vida Miknevičiūtė
Orest Christopher Maltman
Aegisth Michael Laurenz
Der Pfleger des Orest Peter Kellner
Die Schleppträgerin Verity Wingate
Die Vertraute Evgenia Asanova
Ein junger Diener Matthäus Schmidlechner
Ein alter Diener Jens Larsen
Die Aufseherin Sinéad Campbell-Wallace
Erste Magd Monika Bohinec
Zweite Magd Noa Beinart
Dritte Magd Deniz Uzun
Vierte Magd Regine Hangler
Fünfte Magd Christina Gansch

Wiener Philarmoniker
Konzertvereinigung Wiener Staatsopernchor
Direttore Franz Welser-Möst
Maestro del coro Huw Rhys James
Regia Krzysztof Warlikowski
Scene e costumi Małgorzata Szczęśniak
Luci Felice Ross
Video Kamil Polak
Coreografie Claude Bardouil
Drammaturgia Christian Longchamp

Salisburgo, Felsenreitschule, 8 agosto 2021

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