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Festival Castell de Peralada 2021 – Tosca

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Il Teatro Real di Madrid ha proposto recentemente ben sedici recite della Tosca di Puccini, fra gli altri con Netrebko, Agresta, Eyvazov, Calleja, Salsi. Una di queste compagnie si è esibita anche al Festival Castell de Peralada con tutte le masse artistiche del teatro in una edizione in forma di concerto: scelta non certo adeguata per un festival, ma dopotutto siamo in epoca di pandemia e la situazione è ancora precaria (Lise Davidsen ha cancellato il suo atteso concerto perché le nuove norme sanitarie tedesche l’obbligavano a una quarantena che le avrebbe impedito di cantare a Bayreuth). Il Teatro all’aria aperta, con tanto di canti di uccelli, fra cui le simpatiche ma un po’ importune cicogne, era pieno al 70% della capienza.

Premetto che non condivido il coro di elogi riservati a questa produzione da gran parte dei critici, i cui giudizi sono spesso curiosamente divergenti rispetto ai commenti espressi a teatro (verba volant, scripta manent), e nemmeno l’entusiasmo del pubblico che, come a Madrid, ha ottenuto i bis di “Vissi d’arte” e di “E lucevan le stelle, anche se dopo il primo ci sono stati ancora applausi, dopo il secondo no.
L’artista più centrato mi è sembrato Carlos Álvarez nei panni del barone Scarpia. Certo chi ama un personaggio dall’impronta sanguigna e verista non avrà molto apprezzato la prova del baritono spagnolo, ma io sono convinto che da un approccio cerebrale e meno estroverso questo ruolo acquisti più forza e, curiosamente, più “verità”. È vero che la voce di Álvarez – meno risonante rispetto ad altre occasioni, forse per problemi di amplificazione – è oggi più adatta a Verdi, ma se questo vuol dire cantare bene e non indulgere in effettacci vocali o interpretativi, si tratta di un pregio più che di un limite.

Sondra Radvanovsky viene considerata uno dei più grandi soprani lirico-spinti odierni e la sua Floria Tosca un’interpretazione di riferimento. Per la verità, già quattro anni fa al Liceu non mi aveva fatto una grande impressione. La voce è tanta: con lei non ci sono mai problemi di volume nel rapporto con l’orchestra e pochi colleghi possono tenerle testa. La qualità tuttavia non mi pare allo stesso livello della quantità: si nota qua e là un tremolo poco piacevole; l’estensione in alto apparentemente non ha problemi ma negli estremi acuti trapelano suoni asprigni; i gravi poi (più dei centri) mi sembrano gestiti in modo artefatto. Un esempio su tutti, il do della famosa “lama” è sicuro e luminoso, ma nel successivo “gli piantai nel cor” le altre parole quasi non si sentono e il “cor” diventa quasi un ruggito. Nella recitazione, inoltre, Radvanovsky si avvale di una curiosa gestualità delle mani che ricorda le attrici di Hollywood degli anni quaranta e cinquanta del ‘900, e non sempre le migliori. Le va riconosciuta indubbiamente la capacità di filare i suoni, nel secondo e terzo atto. Nel primo, invece, niente sfumature, nemmeno in una frase come “ma falle gli occhi neri”. E poi i suoi ‘Giuro!’ e ‘Assassino!’ sono urlati, così come “E avanti a lui tremava tutta Roma” viene “intonato” in modo troppo melodrammatico.

Jonas Kaufmann ha sostenuto in varie interviste che per lui non è un problema cantare Cavaradossi nel bel mezzo delle recite del Tristano recentemente debuttato a Monaco. E infatti qui ne ha fornito decisamente una dimostrazione, ma in senso contrario. Poco in forma e in difficoltà fin dall’inizio, con una voce rigida e senza squillo che in più di un’occasione rischiava di spezzarsi, ha cantato con suoni ingolati e aperti, sostenendo la nota finale delle sue due arie in modo esagerato (per la gioia del pubblico che batteva mani e piedi e si lasciava andare a urla di “grande!”). Ha inoltre scherzato fuor di misura con il Sagrestano, mostrandosi seccato da Tosca nell’atto primo. In qualche momento “delicato” si è servito del singhiozzo. Naturalmente qualche frase lasciava intravedere pur sempre il talento del grande artista, ma le sue particolari mezzevoci, in realtà falsetti stimbrati, sono risultate poco efficaci nell’addio alla vita, e ancora meno in “O dolci mani”. Nella mia esperienza di ascolti dal vivo, solo un grande tenore mi aveva fatto soffrire di più nello stesso ruolo: Giuseppe Di Stefano, che nella sua unica prestazione al Colón di Buenos Aires nel lontano 1965, malgrado un timbro ancora solare, non riusciva a nascondere l’usura evidente dei mezzi.

Tutti i comprimari erano bravi, in particolare lo Spoletta di Mikeldi Atxalandabaso (un tenore che se non fosse per il particolare timbro avrebbe potuto fare qualcosa in più della carriera da caratterista) e l’Angelotti di Gerardo Bullón. Valeriano Lanchas si è quindi confermato una garanzia come Sagrestano, anche se questa volta è parso un po’ sopra le righe. Completavano decorosamente la locandina David Lagares, Sciarrone, e Inés Ballestreros, un pastorello. Invano ho cercato di sapere chi fosse il giovane basso dai mezzi importanti che sosteneva la parte del Carceriere.
L’ottimo coro, al solito istruito dall’eccellente Andrés Máspero, e la brillantissima orchestra si sono fatti onore sotto la bacchetta esperta di Nicola Luisotti, che con le masse artistiche del Teatro Real di Madrid ha un ottimo rapporto e una sintonia privilegiata. Vero è che più di una volta l’orchestra (amplificata) suonava troppo forte e alcuni tempi risultavano alquanto lenti, non so se per scelta espressiva del Maestro o per la volontà di andare incontro alle esigenze dei cantanti.

Festival Castell de Peralada 2021
TOSCA
Melodramma in tre atti
Libretto di Luigi Illica Giuseppe Giacosa
Musica di Giacomo Puccini

Floria Tosca Sondra Radvanovsky
Mario Cavaradossi Jonas Kaufmann
Il Barone Scarpia Carlos Álvarez
Cesare Angelotti Gerardo Bullón
Il Sagrestano Valeriano Lanchas
Spoletta Mikeldi Atxalandabaso
Sciarrone David Lagares
Pastorello Inés Ballestreros

Coro e Orchestra del Teatro Real di Madrid
Direttore Nicola Luisotti
Maestro del coro Andrés Máspero
Peralada, Teatre del Castell, 25 luglio 2021

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