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Ferrara, Teatro Comunale – Norma

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Dopo quasi un anno di silenzio a causa dell’emergenza pandemica, è tornata l’opera al Teatro Comunale “Claudio Abbado” di Ferrara. Inaugurata da una rappresentazione delle Nozze di Figaro in collaborazione con il Conservatorio “Frescobaldi” della città, la stagione estiva è proseguita con la messa in scena di Norma, capolavoro belliniano, che ha avuto luogo il 15 giugno in data unica.

Grazie a una collaborazione di prim’ordine tra letteratura e musica, la “tragedia lirica” creata a Milano da Romani e Bellini nel 1831 riesce a raggiungere uno degli esiti più alti del nostro melodramma: gli elementi classici ereditati dalla Medea euripidea (mediati musicalmente dal capolavoro neoclassico di Cherubini, ma anche da un altro modello illustre come La Vestale di Spontini e, ovviamente, dal Rossini serio), vengono aggiornati dalla componente ossianica, che, in clima romantico, filtra l’antichità grazie al “barbarismo” esotico del mondo gallico. Non mancano suggestioni squisitamente romantiche, come l’amore contrastato da appartenenze etniche opposte o il triangolo amoroso. Corona questa ricerca di una drammaturgia rigorosa e scandita lo spostamento del Finale concertato alla fine dell’opera stessa, che avvicina davvero Norma alla sobrietà inesorabile della tragedia antica.

Non è un caso dunque che la regista Maria Cristina Osti ravvisi in questa parabola ineluttabile verso il compimento della tragedia un percorso di crescita umana della protagonista e la sua lotta interiore con i propri fantasmi: un vero e proprio Purgatorio interiore. È qui che nasce l’inedito collegamento con la Commedia dantesca proposto dalla regista in occasione dei 700 anni dalla morte del Sommo Poeta: Norma diviene un poema sul femminile e sul percorso di iniziazione della problematica protagonista. Quest’ultima, tentata da un demone che imperversa sulla scena (accostato a Loki, il dio degli inganni della mitologia nordica), riesce a distaccarsi dai suoi fantasmi grazie alla rinuncia finale e alla conseguente catarsi.
Va detto che, in realtà, fatte salve l’azione pantomimica un po’ confusa nel corso della Sinfonia, l’effettiva presenza di un demone-pantomimo in alcuni momenti salienti dell’opera (come prima del coro “Guerra, guerra”) e, nel finale, di una figura angelica a testimonianza dell’avvenuta redenzione, questa impostazione teorica non interferisce in modo incisivo con la resa scenica, che, in fin dei conti, si mostra anzi decisamente tradizionale.
Le scenografie minimaliste di Alessandro Ramin, ammantate di simbolismo, partecipano a questo progetto interpretativo tutto teso verso l’interiore: un albero, un disco lunare, qualche rovina richiamano ovviamente “la sacra selva” dei Druidi, ma, nelle intenzioni della regista, anche archetipi universali; discrete anche le luci (a cura di Marco Cazzola) che illuminano in modo astratto la scena. L’ambientazione storica si trasla in un non-luogo atemporale e ibrido, dove i Romani indossano effettivamente divise da legionari, ma, ad esempio, Oroveso veste come un religioso orientale.

Dopo un periodo di così lunga assenza forzata dalle scene, il cast si disimpegna in modo alterno nel rendimento vocale, ma con indubbia serietà e professionalità. Renata Campanella delinea una Norma interessante, cercando di far quadrare i conti con l’enorme varietà psicologica del ruolo. Il risultato è decisamente buono: il soprano si distingue nel recitativo “Sediziose voci” e, soprattutto, in quello di apertura del secondo atto “Dormono entrambi”; l’esecuzione di “Casta Diva” viene salutata con entusiasmo dal pubblico, mentre i duetti con Adalgisa sono cantati con perfetta sintonia con Yulia Merkudinova. La quale riesce a delineare psicologicamente il personaggio di Adalgisa al meglio, sin dal recitativo “Sgomba è la sacra selva” fino ai duetti con Norma sopracitati (riuscitissimo il tono elegiaco di “Sola furtiva al tempio”). Molto partecipe nella recitazione, Merkudinova crea finemente il personaggio grazie anche a una vocalità elegante, delicatamente brunita.
Non in piena forma e un po’ affaticato risulta il tenore Fabio Armiliato, che riesce tuttavia a farsi valere per il fraseggio scolpito e la profonda conoscenza del ruolo di Pollione, oltre che per la sua capacità attoriale. Il basso Alberto Bianchi Lanzoni conferisce al personaggio di Oroveso una credibile impronta sacrale e austera: gli manca un po’ di emozionalità nel momento del commiato con la figlia. Bene l’interpretazione di Clotilde di Vittoria Brugnolo e quella di Flavio da parte del tenore Stefano Colucci.

L’Orchestra Città di Ferrara si disimpegna discretamente pur con qualche clangore di troppo: la direzione di Lorenzo Bizzarri non indulge nello scavo drammatico e psicologico, ma procede a passo sostenuto conferendo all’opera ritmo teatrale e un senso di visione unitaria. Il Coro “Giuseppe Verdi” di Ferrara preparato da Mirko Banzato canta correttamente anche se si dimostra poco valorizzato scenicamente e decisamente statico.
Nel complesso lo spettacolo soddisfa pienamente il numeroso pubblico presente, che applaude ogni numero e, alla fine, riserva a tutti accoglienze calorose.

Teatro Comunale “Claudio Abbado” di Ferrara – Stagione estiva 2021
NORMA
Tragedia lirica in due atti di Felice Romani
Musica di Vincenzo Bellini

Norma Renata Campanella
Pollione Fabio Armiliato
Adalgisa Yulia Merkudinova
Oroveso Alberto Bianchi Lanzoni
Clotilde Vittoria Brugnolo
Flavio Stefano Colucci
Due Fanciulli Diana RivaroliFrancesco Ferri
Mimi Daniela Patroncini, Paolo Garbini
Attori Operiamo – Casa Della Musica E Delle Arti

Orchestra Città di Ferrara
Coro “Giuseppe Verdi” Ferrara
Direttore Lorenzo Bizzarri
Maestro del coro Mirko Banzato
Regia Maria Cristina Osti
Scene Alessandro Ramin
Direttore di scena Kaori Suzuki
Luci Marco Cazzola
Produzione del Teatro Comunale “Claudio Abbado” di Ferrara
in coproduzione con Teatro G. Borgatti – Cento
e con Associazione Parma OperArt APS

Ferrara, 15 giugno 2021

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