Dopo il successo del debutto tv lo scorso 10 marzo, torna su Rai5 l’Adriana Lecouvreur di Francesco Cilea, realizzata in versione film-opera dal Teatro Comunale di Bologna e da Rai Cultura, mercoledì 7 aprile alle 21.15. Lo spettacolo, che ha aperto in maniera inedita l’anno operistico 2021 del teatro felsineo, è firmato da Rosetta Cucchi, affiancata da Arnalda Canali per la regia televisiva, e diretto da Asher Fisch. Riproponiamo la recensione di Giancarlo Arnaboldi.
È congiuntamente la celebrazione del ruolo della “primadonna” nei secoli e delle eccezionali capacità di attrice di Kristine Opolais la versione film-opera di Adriana Lecouvreur, trasmessa da Rai5 mercoledì 10 marzo coprodotta dal Comunale di Bologna e Rai Cultura e interamente girata nel teatro felsineo. Edizione dal notevole sforzo produttivo, affidata alla direzione d’orchestra di Asher Fisch e alla regia di Rosetta Cucchi.
La regista italiana ha immaginato che la vicenda della celebre attrice settecentesca si dilatasse in un arco temporale di oltre due secoli, a partire da quel 1730 alla Comédie Française dove inizia la vicenda. Nel secondo atto ci troviamo catapultati nel 1860, epoca nella quale trionfò Sarah Bernhardt, nel terzo intorno al 1920 poco dopo la nascita del cinematografo, per planare infine in pieno ’68 parigino all’epoca della Nouvelle Vague. Il progetto ambizioso, non privo di fascino e di rischi, nonostante abbia mostrato qualche ingenuità nei primi due atti (con costumi e scene dal taglio più televisivo che cinematografico) è parso pienamente riuscito negli atti seguenti, soprattutto nell’ultimo, raramente eseguito con tale partecipazione e pathos. Rosetta Cucchi, infatti, trasforma il lungo finale quasi in una scena di pazzia tipica del melodramma italiano: Adriana, avvelenata dai fatidici fiori, vaneggia e, in preda alle allucinazioni, crede di vedere nel fido amico Michonnet l’amato Maurizio. A lui dunque si rivolge nello struggente duetto finale (la pagina forse musicalmente più pregevole della partitura di Francesco Cilea), con il suo fantasma lei crede di parlare. Geniale scelta della regista, che sfruttando in tal momento le possibilità offerte da un montaggio di tipo cinematografico, crea davvero qualcosa di nuovo e coinvolgente, supportata nella difficile impresa dalle sensazionali doti di immedesimazione di Kristine Opolais.
Debuttando in un ruolo insidioso, in cui è facile cadere nella caricatura della “Diva che si attacca alle tende”, la cantante lettone sottolinea, con un gioco mimico da consumata attrice, tutti i trapassi emotivi di Adriana. Senza dubbio la sua bellezza l’aiuta, ma non sarebbe sufficiente per arrivare a tali risultati se non fosse congiunta a una estrema sensibilità. La voce non presenta particolari velluti né virtuosismi quali messe di voce o smorzando, da lei realizzati con parsimonia, ma l’interprete è vocalmente molto corretta. Anche il difficilissimo monologo di Fedra, momento nel quale nove cantanti su dieci rischiano di scivolare nel ridicolo, è ben eseguito. Suo degno partner sulla scena e nel canto è Nicola Alaimo nel ruolo del fido Michonnet. Parte ingrata, che non offre pagine musicali soggioganti, ma che pretende dall’interprete grande emotività e capacità di fraseggio. Alaimo assolve l’impegno con assoluta dedizione, ed è anche merito suo se il finale dell’opera risulta così struggente, un vero inno all’amicizia e alla solidarietà fra colleghi d’arte.
L’antipatico ruolo di Maurizio, personaggio tenorile fra i più sciocchi della storia dell’Opera, è cantato con discreto valore e perfettibile musicalità da Luciano Ganci. Accettabile la Principessa di Bouillon, Veronica Simenoni, ma carente di sensualità e delle note gravi necessarie al ruolo. Sottolineato l’impegno degli altri interpreti (il Principe di Romano Dal Zovo e l’Abate di Gianluca Sorrentino), occorre elogiare la direzione di Asher Fisch. Per quanto l’ascolto televisivo non consenta una valutazione completa, il suo mantenere saldamente in pugno l’orchestra bolognese, il suo saper narrare la vicenda con sicurezza e bei chiaroscuri espressivi, sono assolutamente encomiabili.
Photo credit: Rocco Casaluci