Per presentare questo album di due Cd, curato della casa discografica Bongiovanni di Bologna per la benemerita collana “Il mito dell’opera” – una delle poche rimaste che hanno ancora a cuore di tramandare, attraverso pubblicazioni come questa, il meglio della nostra tradizione vocale operistica – si deve partire da una considerazione, prima ancora di analizzare quelle che sono state la tappe della carriera del baritono bolognese Franco Bordoni, mancato all’età di ottantotto anni, il 13 febbraio 2020, dopo una lunga carriera che si è sviluppata nell’arco di ben 47 anni, con 15 anni di gavetta che l’hanno visto impegnato in ruoli minori.
La notazione riguarda il percorso stesso di questo valente baritono, che lontano dai riflettori della pubblicità e del marketing, sui quali oggi vengono spesso e volentieri sviluppate carriere dai meriti ben inferiori ai suoi, si è imposto a livello internazionale nei più importanti teatri del mondo in tempi in cui, alla fine degli anni Sessanta del ‘900, di baritoni come lui ve ne erano davvero molti, dotati di voci accomunate da caratteristiche ben precise: la qualità dello strumento vocale, solido e impavido in acuto, unito alla morbidezza d’emissione non del tutto aliena – contrariamente a quanto è in uso credere – ai baritoni di quei tempi, il cui colore era ben distinguibile per corposità di suono e non induceva mai a dubbi circa la connotazione vocale ben precisa che nel tempo ha imposto Bordoni nel repertorio più attinente alla sua voce, quello verdiano.
Il primo dei due figli di Bordoni, Alberto, narra nelle belle note di accompagnamento al libretto (non agiografiche ma limpide e chiare) i punti cardine che hanno segnato la carriera del padre. Di origini umili e autodidatta per formazione vocale, dopo iniziali studi al Conservatorio di Bologna, il giovane Franco Bordoni debuttò a Imola nel 1953 come Schaunard ne La bohème. La sua fonte di ispirazione fu inizialmente Gino Bechi, che spesso ascoltava da piccolo per radio, seguito forse più per ammirazione della sua fama che per reale attinenza artistica, riscontrata invece dal baritono bolognese in Carlo Tagliabue (modello, insieme a Beniamino Gigli, per gli studi svolti prevalentemente da autodidatta); lo incontrò a uno dei tanti concorsi che vinse, nel quale si presentò dopo aver preparato l’aria “Eri tu” da Un ballo in maschera ascoltando una delle tante registrazioni del baritono lombardo da subito preso ad esempio. Il lancio verso una carriera internazionale avvenne il 23 dicembre 1967, quando Bordoni sostituì l’indisposto baritono inglese Peter Glossop come protagonista in Rigoletto al Teatro Comunale di Bologna che ebbe come interpreti Giacomo Aragall e Margherita Guglielmi diretti da Carlo Franci. Fu proprio con questo personaggio, affrontato sulle scene più di 400 volte, che Bordoni costruì la sua fama di baritono dal “cuore verdiano”, affiancandolo con altri personaggi divenuti simbolo del suo cammino artistico, come Renato in Un ballo in maschera, che cantò anche assieme a Luciano Pavarotti nel 1971 a San Francisco. Solcò i palcoscenici di molti teatri d’Europa e d’America, amatissimo e assai attivo al Liceu di Barcellona, dove si esibì al fianco di grandissimi cantanti. Da ricordare, fra le sue tante recite in questo teatro, la partecipazione, come Escamillo, alla Carmen che vide Richard Tucker nei panni di Don José nel 1974, lo stesso anno in cui fu Monforte in una leggendaria edizione de I vespri siciliani con Montserrat Caballé, Placido Domingo e Justino Diaz.
Il ritiro dalle scene avvenne nel 2000, al Teatro di Maribor, quando sessantottenne cantò Rodrigo in Don Carlo. Dodici anni dopo, il Teatro Comunale e l’Università di Bologna gli resero omaggio con una esposizione fotografica e un Dvd biografico, preparato con la cura che è tipica al Professor Marco Beghelli, che intervistò l’artista. Seguì un lento e progressivo oblio, ahimè destinato a molti di quei professionisti che hanno fatto la storia del canto lirico italiano del dopoguerra e, lontano dai riflettori del mondo dello star system, si sono imposti solo e unicamente in virtù delle proprie capacità sfoggiate sulla scena, perseguendo l’arte vocale vera, non l’effimera notorietà. Il pubblico lo ha premiato, la fama mediatica meno, ma poco importa alla luce dell’ascolto, da ritenersi indispensabile, di questo cofanetto di 2 Cd nei quali, con il contributo di Bruno Lazzaretti per la collaborazione tecnico musicale, si ha una fotografia esaustiva della sua arte ed eredità canora.
Si tratta di registrazioni riprese dal vivo che lo ritraggono per lo più alle prese col repertorio che abbiamo ricordato essere quello che più l’ha contraddistinto sulle scene, quello verdiano (ne affrontò sulla scena 15 titoli), partendo proprio dall’amato Rigoletto, per proseguire con Macbeth, Il trovatore, I due Foscari, I vespri siciliani, Falstaff, Ernani, Nabucco, Un ballo in maschera, Don Carlo, Otello, La traviata, La forza del destino e Aida. Cantò, oltre a Ford, la parte del protagonista in Falstaff e Simon Boccanegra a Berlino, con la direzione di Giuseppe Sinopoli. Il secondo Cd si completa con pagine altrettanto note tratte da un repertorio che comprendeva anche Donizetti (Lucia di Lammermoor e Roberto Devereux) e Bellini (I puritani), per passare poi a Puccini, con Michele da Il tabarro, a Ponchielli, col Barnaba da La Gioconda e, infine, a Giordano, con Gérard da Andrea Chénier.
L’ascolto, c’è da credersi, è sorprendente, almeno per chi non conosce ancora questa voce, o peggio sarebbe portato a snobbarla catalogandola stoltamente in quell’ambito vocale al quale una certa critica, superficiale nell’analizzare le voci, ritiene appartenga, considerando il modo di eseguire Verdi come lo propone Franco Bordoni ormai superato e vetusto. Valutate voi se possa considerarsi superato possedere, innanzitutto, una voce baritonale autentica, rotonda, piena, solida, di alta qualità timbrica e colore giusto per affrontare le opere del “Cigno di Busseto”, con quella sprezzante sicurezza nella salita all’acuto che subito si ammira e colpisce nell’arco di tutti gli ascolti. Basta sentirlo in “Cortigiani, vil razza dannata” per rimanere colpiti dall’ampiezza di armonici di una voce salda e svettante. Addirittura, dopo “Dei Faraoni tu sei la schiava”, nel duetto di Aida cantato con Maria Parazzini, il pubblico non trattiene l’entusiasmo e subito scatta all’applauso. Se c’è una cosa che viene mitigata da questa voce d’altri tempi è la spasmodica ricerca del dettato espressivo, oggi perseguita da molti baritoni (spesso per compensare debolezze vocali e tecniche) fino a spezzare talvolta la scorrevolezza della linea: ascoltando Bordoni, questo non avviene mai. Censurabile, almeno secondo alcuni, potrebbe apparire la lunga corona tenuta su “Un vindice avrai” prima dell’attacco di “Sì, vendetta”, chiosato da un la bemolle conclusivo che, diciamolo, è corroborante per potenza e facilità, così come lo è l’acuto a perdifiato che chiude la cabaletta di Enrico da Lucia di Lammermoor. Bordoni possiede una voce baritonale appunto “facile”, che s’impone per la ricchezza delle qualità proprie allo strumento stesso più che per le sfumature da ricercare nelle pagine da Macbeth e Don Carlo, senza tuttavia inficiare minimamente l’eccellenza di un risultato che oggi lo porrebbe ai vertici nel panorama dei baritoni del suo stesso repertorio.
Ovviamente è figlio del suo tempo e canta come si cantava in quegli anni, con attenzione alla voce più che all’espressione. Ma non si commetta, tuttavia, il grave errore di scambiarlo per un baritono dagli acuti facili e basta, come il prodotto di una scuola vocale che antepone la voce all’interpretazione. Il canto di Bordoni è omogeneo e sonoro su tutta la gamma, all’occorrenza capace di una morbidezza che non manca spesso di sfoggiare, come nell’aria di Riccardo da I puritani, dove nel legato si disimpegna da par suo. Anche l’ascolto dell’aria del Conte di Luna da Il trovatore, che lo mette dinanzi a una tessitura acuta come ben sappiamo assai complessa, non lo spinge a cantare a mezza voce e a modulare i suoni, piuttosto lo vede adoperarsi in un canto d’amore di severa e composta virilità, pronta a non fargli perdere neanche per un attimo il controllo dell’emissione, con un approccio alla pagina nobilmente gagliardo e con l’acuto della “tempesta” scagliato come una vera saetta sonora; qualità che mai lo allontanano da quel colore baritonale di timbratura autenticamente verdiana, mantenuto anche su sfere acute con un canto rotondo e virile (Bordoni stesso sostiene, nella citata intervista in Dvd al Comunale di Bologna, che il “piano” verdiano deve essere sempre virile, per non far perdere alla voce di baritono il suono brunito che gli compete).
L’emissione a fior di labbro, soprattutto nelle pagine da I due Foscari, “O vecchio cor che batti”, e nel “Sogno” da Otello (cantò Jago anche con Mario Del Monaco), non trovano nel suo canto sempre generoso, solido, composto e omogeneo quelle sottigliezze, quell’attenzione alla parola in funzione interpretativa talvolta messa in secondo piano rispetto alla rigogliosità di un suono baritonale tanto ricco e, comunque, sempre carico di emozioni, anche nella capacità di legare i suoni, come dimostrano l’ascolto dell’aria “Dio di Giuda” da Nabucco e la morte di Rodrigo da Don Carlo, eseguita, quest’ultima, con composta e signorile levigatezza e con un dominio dei fiati da fuoriclasse.
Non si trascuri mai, dunque, quando si parla di voci d’“altri tempi” come questa, l’importanza del canto in se stesso prima ancora del dettato espressivo, tanto determinante, nel suo caso, da farsi perdonare qualche distrazione di fraseggio ampiamente compensata da una ricchezza vocale che, diciamolo, oggi rimpiangiamo nei baritoni dei nostri tempi, anche fra i più affermati, taluni ormai votati a un percorso che, in ambito verdiano, ha previlegiato una vena lirica portata a eccessi estremizzanti, o a una ricerca dell’accento che arriva talvolta a scarnificare l’omogeneità della linea. Bordoni, pur essendo figlio del suo tempo, canta con gusto; privilegia sì la voce, ma conosce l’arte dell’emissione giusta e, soprattutto, equilibrata, anche nel gusto che, non a caso, lo rese estimatore del già citato Carlo Tagliabue, facendosi a sua volta ammirare da un illustre collega a lui contemporaneo, quel Giuseppe Taddei che mai gli nascose la sua stima, egualmente ricambiato da Bordoni.
Altra immagine che traspare ascoltando le tracce di questi due fondamentali Cd in omaggio a Franco Bordoni è quella che il figlio stesso, nelle sue note, definisce il “rispetto sacrale” per una impostazione melodrammatica di matrice verdiana fatta di un mix perfetto fra voce, accento e dizione chiara, netta e scolpita, fra qualità vocali e desiderio di sbalzare i caratteri dei personaggi con onestà e franca immediatezza musicale che traspaiono da ogni pagina ascoltata. Immergersi in questi ascolti significa dunque fare un’utile retrospettiva su un modo di eseguire Verdi dal quale ci si è allontanati e che, in qualche modo, si deve lottare per recuperare nei suoi valori più autentici: quelli di un vocalità capace di infiammare il pubblico, di corroborarlo ponendolo dinanzi all’evidenza di voci che, come questa, fugano ogni dubbio sul fatto che si debba guardare al futuro sempre consapevoli degli insegnamenti che ci vengono dalla nostra migliore tradizione operistica, segnata da solidi e sani professionisti come fu appunto Franco Bordoni.
Le registrazioni, per quanto tutte dal vivo, sono davvero ben curate, spaziate e rifinite nelle resa sonora, come sa ben fare la casa discografica bolognese Bongiovanni, che stampa anche un libretto con alcune belle immagini del baritono, nei cui tratti di nobile fierezza, velati di romantica nostalgia nel bel ritratto in costume del Conte di Luna che lo ritrae in copertina, si comprende tutta l’importanza di un passato vocale che non va dimenticato, ma studiato e tramandato nel tempo per riflettere sull’evolversi della prassi esecutiva baritonale verdiana. Per questo sarebbe opportuno non ignorare il significativo contributo lasciato da Franco Bordoni, la cui eredità è ben documentata in questi ascolti.
Collana “Il mito dell’opera”
FRANCO BORDONI
Pagine da: Rigoletto, Macbeth, Il trovatore, I due Foscari,
I vespri siciliani, Falstaff, Ernani, Nabucco, Un ballo in maschera,
Don Carlo, Otello, La traviata, La forza del destino,
Lucia di Lammermoor, Roberto Devereux, I puritani, Il tabarro,
La Gioconda, Andrea Chénier
Etichetta: Bongiovanni
Formato: CD
Registrazioni dal vivo dal 1971 al 1993