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Bologna, Teatro Comunale – La Cenerentola

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Mettere in scena il Rossini comico è una delle trappole più pericolose per un regista: si rischia sempre di sovrabbondare e di cadere nei cliché più abusati, quindi anche solo evitarli e adottare soluzioni non scontate può essere un trionfo, ed è un po’ quello che accade in questa situazione
Il Teatro Comunale di Bologna chiude la sua piccola stagione autunnale importando da Roma la produzione di Cenerentola con la regia di Emma Dante datata 2016, qui ripresa da Federico Gagliardi. Sebbene tale lavoro non sia preciso al millimetro come dovrebbe (e su questo i tempi rossiniani non perdonano), la forza dell’allestimento rimane immutata. La Dante vede l’opera rossiniana come un concentrato di comico e grottesco, non privo di risvolti violenti. La scena fissa pensata da Carmine Maringola (una parete bianca con paraste e cornici architettoniche eventualmente apribili come un calendario dell’avvento) comunica un senso di claustrofobia, stemperato però dalle belle e cangianti luci di Cristian Zucaro e dai fantasiosi costumi di Vanessa Sannino ispirati al Pop Surrealismo, in particolare a Ray Ceasar.

Anche se non ci si distacca dal Rossini comico visto come macchina, qui enfatizzato dai mimi caricati a molla per aiutare Ramiro e la protagonista, gli squarci dissonanti che si aprono, soprattutto nelle controscene, creano un netto straniamento di cui è fondamentale esempio il finale primo: i figuranti vestiti in abiti da sposa, pronti al matrimonio col principe, nascondono tutti un’arma che puntano prima di nascosto verso Cenerentola velata, poi l’un contro l’altro e infine verso sé stessi in una danza macabra di suicidi sulla stretta, a rappresentare le speranze di nozze ormai defunte.
Anche le due sorellastre sono costantemente in abiti nuziali. Il lavoro registico su di loro è quello più approfondito (gli altri talvolta tengono a soffrire di una certa fissità) in un profluvio di controscene memorabili: durante la prima aria di Don Magnifico si cimentano in una pantomima del sogno per poi far finta di sgravare “bamboli” a ripetizione, oppure nel finale, durante l’aria della protagonista si siedono sui troni prima guardinghe e poi sempre più concupiscenti e vogliose finché non vengono rialzate a forza. La loro caratterizzazione, come quella di Magnifico, non manca poi di atteggiamenti crudeli nei confronti della protagonista, com’è visibile in un temporale dove i rombi e i tuoni della musica si fanno colpi e calci inferti alla povera Angelina. La vendetta finale è una trasformazione della famiglia di origine in carillon come gli altri servitori, pronti ad aiutare i buoni al momento del bisogno.
Non mancano momenti veramente comici, come l’aria del vino di Magnifico, in cui il coro e i mimi scrivono con le penne tolte dai loro cappelli su dei quaderni appesi al collo, o il duetto tra il padre e Dandini al secondo atto, quando quest’ultimo si spoglia degli abiti regali dietro un paravento lanciandoli all’altro. In sostanza, un allestimento magari non rivoluzionario, ma assai bello da vedere e con delle soluzioni talmente originali che compensano momenti più statici o tradizionali.

Dalla buca Nikolas Nägele sa tenere le redini della narrazione con sicurezza. Dopo una sinfonia prudente, i tempi si fanno sempre più spediti, in un sapiente gioco di dinamiche, tra crescendo effettivamente sentiti e oasi liriche più distese e assaporate. I cantanti non sono mai prevaricati, e il direttore sa recuperare prontamente anche alcuni attacchi sporchi nei momenti più difficili, lasciando comunque spazio a variazioni e a qualche nota più esibita, quando c’è la possibilità. Tra i momenti da incorniciare, sicuramente il sestetto “Questo è un nodo avviluppato” eseguito con una forte carica ipnotica che diventa via via sempre più vertiginosa.

Il cast risulta di buon livello e ben amalgamato. Chiara Amarù è una protagonista nel solco della tradizione, dotata di mezzi canori assai apprezzabili. Il timbro brunito conferisce un certo fascino alla voce, di volume discreto; la linea omogenea e le agilità sempre ben a fuoco aiutano il mezzosoprano a imporsi lungo tutta la durata dell’opera fino al rondò finale, che non è un trionfo di fuochi d’artificio ma viene eseguito con i giusti accenti e un adeguato sfoggio di coloratura. Antonino Siragusa è un Don Ramiro sicurissimo che mette in mostra i muscoli: voce che ben si espande nella sala del Bibbiena, sciorina acuti nella sua aria con facilità e un pizzico di spavalderia, ma sa anche piegare lo strumento, sempre ben timbrato e omogeneo, ad accenti più leggeri e finezze da primo della classe.
Andrea Vincenzo Bonsignore scolpisce il ruolo di Dandini puntando soprattutto su una voce dal bel timbro baritonale con una ottima proiezione e sul fraseggio curato, senza aggiungere troppi vezzi espressivi di buffo carattere. Gestisce con sapienza l’uso dei colori e non ha problemi a far sfogare la voce in zone più alte della tessitura, grazie a una bella linea di canto. Vincenzo Taormina disegna un Don Magnifico molto personale, dalla sapiente e mai esagerata vis comica, espressa attraverso un canto sfaccettato ma perfettamente a fuoco, come dimostra soprattutto nei suoi interventi del secondo atto. Gabriele Sagona è un Alidoro autoritario quanto basta, dotato di ottimo strumento e un bel fraseggio ben esibiti sia nella sua unica aria, che in tutti gli interventi dell’opera.
Assai ben assortite le due sorellastre. Sonia Ciani, Clorinda, si distingue per un registro acuto consistente, mentre Aloisa Aisemberg, Tisbe, spicca per il fraseggio variegato e la buona proiezione dello strumento: entrambe non si fanno mai soverchiare dagli altri dal punto di vista vocale ed esibiscono una perfetta immedesimazione scenica aderente al disegno registico.
Una nota di merito va infine al Coro, ben preparato da Gea Garatti Ansini, qui impegnato solo con il reparto maschile,
Alla seconda recita, un foltissimo pubblico si gode lo spettacolo come raramente capita, e non lesina applausi a scena aperta, decretando a fine opera un grandissimo successo per tutti i cantanti e per il direttore. Non si potrebbe auspicare miglior chiusura, in attesa di una stagione 2022 che si preannuncia già ricchissima.

Teatro Comunale – Stagione 2022
LA CENERENTOLA
Dramma giocoso in due atti su libretto di Jacopo Ferretti
Musica di Gioachino Rossini

Angelina Chiara Amarù
Don Ramiro Antonino Siragusa
Dandini Andrea Vincenzo Bonsignore
Don Magnifico Vincenzo Taormina
Clorinda Sonia Ciani
Tisbe Aloisa Aisemberg
Alidoro Gabriele Sagona

Orchestra, coro e tecnici del Teatro Comunale di Bologna
Direttore Nikolas Nägele
Maestro del coro Gea Garatti Ansini
Regia Emma Dante
Scene Carmine Maringola
Costumi Vanessa Sannino
Luci Cristian Zucaro
Movimenti coreografici Manuela Lo Sicco
Regia ripresa da Federico Gagliardi
In collaborazione con la Scuola di Teatro Alessandra Garante Garrone
Produzione del Teatro dell’Opera di Roma

Bologna, 18 dicembre 2021

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