La nuovissima incisione de Il Pirata consente di ascoltare in versione integrale il capolavoro forse più enigmatico di Vincenzo Bellini. Enigmatico poiché il ruolo di Gualtiero fu scritto su misura delle straordinarie capacità vocali di Giovanni Battista Rubini, forse il tenore più amato e idealizzato dell’Ottocento. La parte di Gualtiero, infatti, richiede notevole estensione nel registro acuto, all’epoca di Bellini risolto con un accorto uso del falsettone rinforzato (ovvero suoni misti di testa e petto), modalità vocale di cui oggi si è praticamente persa la tecnica. Fra i pochi tentativi di ricreare i suoni “angelicati” del grande Rubini, capaci di commuovere e affascinare gli ascoltatori dell’epoca, vi fu l’esperimento di Martina Franca del 1987, quando il ruolo di Gualtiero fu affidato, pronubo il mai abbastanza rimpianto Rodolfo Celletti, a Giuseppe Morino diretto da Alberto Zedda. L’edizione, che vantava la presenza anche di Lucia Aliberti nel ruolo di Imogene e Giorgio Surjan in quello di Ernesto, è oggi finalmente visibile in un documento di ottimo suono su YouTube (video). Tenore discusso e forse discutibile, Giuseppe Morino alternando emissioni dolcissime ad altre veementi riuscì in qualche modo a ricreare la malia di un canto soave e stilizzato, lontanissimo da qualsiasi forzatura “verista” o tardo ottocentesca. È sufficiente in tal senso ascoltare il sublime “Tu vedrai la sventurata” forse la pagina più ispirata affidata a Gualtiero. Purtroppo Morino non seppe nel prosieguo della carriera ripetere un simile exploit. A parte lui, fondamentale negli ultimi decenni fu anche l’interpretazione di Rockwell Blake, più “eroica” quella di Morino ma comunque in grado di coniugare languori e furori in egual misura. La sua bellissima interpretazione si può ascoltare in un video ripreso a Saint-Étienne nel 1993 (video). Al suo fianco ancora Lucia Aliberti, scenicamente e vocalmente in serata di grazia. Quel poco che ci ha lasciato in questo ruolo Alfredo Kraus, infine, ci fa solo ipotizzare quale splendido Gualtiero avrebbe potuto essere. Oggi che l’opera sembra definitivamente tornata in repertorio, altri tenori hanno tentato il difficile cimento, non sempre venendone a capo degnamente. Il senso di costante sforzo, considerata l’astrale tessitura, inquina infatti quella che è la prerogativa de Il Pirata, da molti considerata la prima opera romantica della storia del melodramma: la capacità cioè di tradurre in musica le lacerazioni di anime in bilico fra passione, onore, dovere e rimpianto.
Javier Camarena, protagonista dei tre Cd pubblicati da Prima Classic, riesce nell’ardua impresa di regalarci un Gualtiero che non indietreggia di fronte alle difficili richieste belliniane in fatto di tessitura. Il timbro non vanta particolari attrattive, ma la voce è agile, capace di sfruttare il suo esteso registro acuto con sicurezza. Gli mancano però quelle inflessioni languide e patetiche, ad esempio in “Vieni; cerchiam pe’ mari” e in “Cedo al destin orribile”, che sole sembrano poter evocare il canto del primo interprete dell’opera (non così nella sua esecuzione dal vivo a Madrid nel 2019, dove si mostra interprete sensibile – video). I passi di agilità sono comunque ben eseguiti, così come le numerose variazioni nelle riprese.
Variazioni concertate, si immagina, insieme a Fabrizio Maria Carminati, direttore degli ottimi Orchestra e Coro del Teatro Massimo Bellini di Catania. Carminati sigla una direzione cangiante, capace di sostenere le voci nei momenti più difficili, integrale inoltre poiché in questa incisione è presente anche il cosiddetto Finaletto, posto a conclusione dell’opera e sempre tagliato nelle esecuzioni teatrali, probabilmente lo fu anche all’epoca di Bellini, preferendo chiudere Il Pirata con la vertiginosa cabaletta di Imogene “Oh, sole! Ti vela”, come ci spiega Domenico De Meo nel bel testo che accompagna il libretto allegato ai Cd.
Parlando di Imogene è inevitabile citare Maria Callas. Fu merito suo se Il Pirata tornò in repertorio nel 1958 quando l’opera fece la sua ricomparsa al Teatro alla Scala. All’epoca l’attenzione fu tutta accentrata dall’eccezionale interpretazione della Callas la quale, in qualche modo, rubò i riflettori al giovane Franco Corelli. Di quella serata scaligera non resta testimonianza sonora, ma le successive esecuzioni callasiane fanno capire chiaramente perché da allora quest’opera fu sempre identificata con il ruolo di Imogene, figura che nella scena finale acquista connotazioni addirittura tragiche. Marina Rebeka affronta l’impegnativo ruolo con ottima vocalità e buona agilità. Le manca forse la capacità di fraseggiare con perentorietà, di scovare quegli accenti che ti si imprimono per sempre nella memoria. Anche a lei fa difetto, come a Camarena, la capacità di differenziare con autorità la dimensione angelicata da quella drammatica. Ciò è particolarmente avvertibile nel finale dove il sublime “Col sorriso d’innocenza” non riesce a esprimere quella lacerazione intima che lo caratterizza. I suoi momenti migliori sono da cercare nei duetti con Gualtiero e nel bellissimo quintetto “Parlarti ancor per poco”. Franco Vassallo tratteggia con autorità l’ingrato ruolo di Ernesto, il meno rifinito in partitura, nonostante qualche impaccio nelle agilità. Antonio Di Matteo (Goffredo), Gustavo De Gennaro (Itulbo) e Sonia Fortunato (Adele) completano degnamente il cast.