Chiudi

Verona, Festival d’estate 2020 – Plácido Domingo per L’Arena

Condivisioni

Il temporale, violentissimo, sorprende Verona nel bel mezzo del pomeriggio. E negli occhi di tutti ci sono le drammatiche immagini della domenica precedente, con la città rovesciata da acqua, grandine e vento. Ma il coraggio del pubblico e la determinazione di Plácido Domingo a entrare in scena (“darò il massimo per testimoniare la vicinanza a tutti voi” aveva commentato pochi giorni fa) hanno avuto la meglio: la buona stella guarda sul gala della star.

L’elettricità, a onor del vero, non è solo quella del meteo. L’arrivo di Plácido Domingo per il doppio gala areniano è puntellato da nuove puntate del caso #metoo. Dopo la lunga intervista rilasciata dal maestro a Repubblica il 6 agosto (“Non sono il Weinstein della lirica”), una delle sue accusatrici, il soprano Luz del Alba Rubio ha chiesto e ottenuto una dettagliata replica, pubblicata il giorno del gala areniano. Nello stesso giorno una nota dello staff di Domingo replica duramente alle dichiarazioni della cantante. “Da un anno a questa parte il Maestro Domingo è stato fatto oggetto di un processo mediatico, fondato su dichiarazioni gravemente lesive e mai comprovate che ne hanno minato la serenità oltre che la gloriosa carriera. Troviamo estremamente pericolosi tali comportamenti, idonei a ledere la vita di una persona che non è mai stata giudicata colpevole da alcun tribunale. Questo è un principio di civiltà ancor prima che di diritto, in quanto solo un tribunale pubblico e statale, con tutte le garanzie di legge per accusato ed accusatore, può stabilire la certezza e la verità di fatti che, altrimenti, rimangono solo parole. Sul punto è opportuno ricordare, ancora una volta, come il Maestro Domingo non sia mai stato denunciato per alcun reato, non sia mai stato sotto processo e non abbia mai subito alcuna condanna – penale o civile – in nessun Paese al mondo”. Ma ogni vicenda ha il suo tribunale, e l’ascoltatore che varca le porte dell’Arcovolo attende di ascoltare un’istituzione della lirica mondiale, e lascia le osservazioni di opportunità o inopportunità etica ad altri scenari.

Cosa ci si aspetta in un’occasione di questo livello? Di cogliere il segreto di una carriera così lunga e costellata di successi. Poi c’è la curiosità professionale: come riuscirà ancora una volta l’artista a combinare freschezza fisica, mestiere, tenuta, in un repertorio che ha cavalcato (anche se su altre tessiture) per oltre un cinquantennio? Se Domingo è Domingo il perché esiste. E si chiama dizione, scavo della parola, pulizia musicale e ritmica, sintonia assoluta con il fraseggio. Vibra tutto dentro la sua voce. Vibra la confidenza con autori che hanno segnato la sua vita artistica, e quella con il pubblico delle arene en plein air. Ma è come se l’artista cantasse anche per sfidare se stesso, volendo trovare ancora quell’impegno che obnubila ogni tipo di routine. Il tempo, si sa, fa sconti a pochi. Ma a volte l’intelligenza musicale può più del tempo. Basta sapere a quali forze attingere, quali armi far valere. Anche la scelta di invertire i brani in programma e di aprire con “Nemico della patria” si è rivelata azzeccata: la cocente invettiva di Gérard ha rotto il ghiaccio consentendo al maestro di dare la sua carica d’impeto, per lasciare posto alla commozione della morte del Marchese di Posa e cesellare “Io morrò” con un legato morbido e sostenuto.

Saioa Hernández appare, luminosissima in un infinito manto di pailettes bianche, con “Tacea la notte placida”. La voce è quella bella e scura di sempre, qualche leggero tentennamento d’intonazione nell’ottava centrale si sistema subito. Il presagio di Leonora lascia il posto al duetto “Udiste?…Mira, d’acerbe lagrime”: la concitazione richiesta dal direttore Jordi Bernàcer non sempre è funzionale alla drammaticità richiesta da questa pagina. E nel complesso un equilibrio migliore viene trovato nel duetto Violetta e Germont del II atto di Traviata in cui Hernández esibisce acuti luminosi e una pasta morbidissima nel centro. Plácido Domingo dà una connotazione perfetta a Germont: un padre umano, che impone con nobiltà e una certa sofferenza l’allontanamento. Hernández chiude il programma ritornando a Chénier e al tragico racconto di Maddalena: “La mamma morta” è emozionante e vera. La parola, il perfetto dominio delle tessiture (resta un po’ la tendenza a scendere in petto abbastanza presto ma qui con un suono immascherato e nobile) in un crescendo di emozioni che entusiasma il pubblico. L’ultimo atto ufficiale del concerto è Don Carlo: Domingo tratteggia in maniera solenne la morte di Rodrigo con un cantabile di autentica bellezza.

Il programma, condotto con sicurezza ma a volte in maniera sin troppo spedita da Jordi Bernàcer è impreziosito da tre pagine strumentali, non molto eseguite. Una scelta felice che dà maggiore sostanza alla serata: si ascoltano la Sinfonia da Giovanna D’Arco, l’Intermezzo dal II atto di Fedora e il Preludio dei Masnadieri, dove si mette in luce il pregevole solo di Sara Airoldi, primo violoncello dell’orchestra dell’Arena.

Dopo il terzo cambio d’abito, Hernández esce indossando un manton de manila che da già il senso dei tre bis. È un’immersione nel mondo della zarzuela, chiusa da “No puede ser” da La tabernera del puerto di Pablo Sorozábal. Domingo saluta il pubblico dell’Arena con uno dei suoi cavalli di battaglia. Il pubblico è ancora una volta avvinto dall’allure e dalla freschezza interpretativa di questo grande artista. E, la sera dopo, cambio d’abito: al Domingo cantante si avvicenda il Domingo direttore.

Arena di Verona – Festival d’estate 2020
PLÁCIDO DOMINGO PER L’ARENA
Le più belle pagine di Giordano e Verdi

Pagine da: Giovanna d’Arco, Don Carlo, Il trovatore,
I masnadieri, La traviata, Fedora, Andrea Chénier

Direttore Jordi Bernàcer
Baritono Plácido Domingo
Soprano Saioa Hernández
Verona, 28 agosto 2020

image_print
Connessi all'Opera - Tutti i diritti riservati / Sullo sfondo: National Centre for the Performing Arts, Pechino