La passione che brucia, consuma e, a volte, uccide. È il filo conduttore scelto per il concerto lirico, diviso tra repertorio francese e Puccini, proposto dall’Arena di Verona in chiusura del Festival d’estate 2020. Protagonisti due cantanti dello star system internazionale, Sonya Yoncheva e Vittorio Grigolo, accompagnati da Plácido Domingo che ritorna, questa volta nelle vesti di direttore d’orchestra, dopo l’esibizione come baritono nel Gala per l’Arena con Saioa Hernández (vedi recensione).
Nell’opera lirica, si sa, l’innamoramento è sempre istantaneo. Bastano uno sguardo e un “bel sembiante”: nel giro di poche battute l’oggetto del desiderio si trasforma in supremo simbolo d’amore, e la passione divora rapidamente i protagonisti. Nel melodramma ottocentesco l’amore non è qualcosa di edificante che appartiene all’anima razionale. Aprirsi all’amore, per l’anima romantica e tardo romantica, significa andare al di là delle proprie intenzioni, sovvertire l’ordine costituito fino alla pazzia, o fino alla morte che proprio nell’amore ha la sua massima similitudine.
Nel concerto veronese, il percorso attraverso le passioni del grande melodramma francese e pucciniano inizia con Roméo et Juliette di Gounod: una “biografia d’amore”, secondo la definizione di Hanslick. La tragedia di Shakespeare è l’occasione per il grande melodista di dare sfogo a un lirismo elegiaco fluviale. Gounod inventa una recitazione melodica caratterizzata da linee vocali sinuose e sensuali, segnando la nascita di un melodismo che verrà recepito sia da Massenet che da Puccini, gli altri due autori su cui è imperniato il programma della serata arenaina. Solo che con Puccini la musica arriverà a esprimere il fuoco oscuro della passione e la potenza sovversiva dell’eros: nei suoi melodrammi, la sessualità irrompe come un rischio in cui l’individuo mette in gioco la sua identità e la società il suo ordine.
I protagonisti del concerto veronese hanno tutti, chi più chi meno, la capacità di far percepire queste caratteristiche del canto amoroso e passionale. Prendiamo Plácido Domingo. Come direttore, è evidente, non è certo un Kleiber o un Karajan, ma avendo alle spalle 60 anni di carriera da cantante, quando sale sul podio dimostra di conoscere le esigenze del palcoscenico e di saper respirare con le voci. Anche in questa occasione – tolto qualche tempo forse un po’ allentato – si segnala per una conduzione oculata e professionale. Ma fa anche qualcosa di più. In Roméo et Juliette, sia nell’ouverture che nell’accompagnamento dei cantanti, dirige con vigore appassionato e trova inoltre il giusto afflato lirico, sottolineando il carattere elegante e certe levità della partitura. In Massenet, gli ardori dei due amanti nel duetto del terzo atto di Manon si consumano con adeguato respiro, in un clima sonoro sensuale e seducente. Ancor più in Puccini. Domingo, che lo ha frequentato a lungo come tenore, sa benissimo che in Puccini l’eros è il motore di tutto: toglietegli la sensualità e tutto crolla. È quanto avvenuto nel Puccini Gala areniano della settimana precedente, con Battistoni sul podio, che di sensualità in orchestra non ne ha fatta circolare nemmeno un briciolo. Con Domingo invece tutto funziona, non solo nelle pagine pucciniane (fra cui l’Intermezzo di Manon Lescaut), ma anche nell’atmosfera sospesa e rarefatta della “Méditation” della Thaïs (con l’ottimo solo del primo violino Peter Szanto) e nell’Entr’acte di Carmen, di cui il Maestro coglie con finezza le atmosfere struggenti e crepuscolari.
Per fortuna, la sensualità circola anche sul versante vocale. Soprattutto nel canto di Sonya Yoncheva. La cantante bulgara ha il timbro pieno e vibrante di un vero soprano lirico. Con voce rotonda e morbida affronta le arcate melodiche di Massenet e Gounod imprimendovi il calore e l’incisività drammatica indispensabili. Nel duetto dal terzo atto di Manon, l’interprete – al di là delle peculiarità del timbro, che è bello ma di per sé non voluttuoso – fa vibrare con spontaneità la corda della seduzione e dell’erotismo. Capacità ancora più evidente in Puccini. Era da tempo che non capitava di sentire una Tosca in grado di mettere perfettamente a fuoco, nel duetto d’amore del primo atto, il ritratto dell’amante, della donna tenera e sensuale. Quasi tutte le interpreti che si ascoltano a teatro (compresa Netrebko nell’ultima edizione scaligera) fanno prevalere la dimensione della Tosca diva, gelosa, indagatrice, magari anche un po’ virago. Nessuna forzatura, nessun manierismo o affettazione, invece, nel canto e nell’espressione di Yoncheva. Tutto risulta naturale e fluido: l’emissione, il fraseggio, la cura dell’accento, la dizione. Il soprano si fa valere anche in tutti gli altri brani: dall’aria di Juliette “Amour, ranime mon courage” ai duetti da Roméo et Juliette e Manon, dall’estratto dal terzo atto di Bohème fino al bis: “Un bel dì vedremo” da Madama Butterfly. Certo, se qua e là gli estremi acuti fossero un po’ più fermi, Sonia Yoncheva sarebbe perfetta. Ma a parte il fatto che qui risulta molto più in forma rispetto al Pirata della Scala, va detto che nonostante qualche oscillazione in alto, il soprano bulgaro si conferma un’artista eccellente.
Quanto a Vittorio Grigolo, è noto che come interprete punta molto sul fraseggio vario, espressivo, e (qualche volta fin troppo) sulla comunicativa e la vivacità attoriale. Entra in scena e affronta l’ariosa declamazione sentimentale di Roméo con vocalità dal timbro sempre brillante, gradevole, ma anche con la tendenza a ingrossare e scurire il registro centrale e a spingere in alto. Il risultato è che gli acuti sono più voluminosi che squillanti. Sia in “L’amour…Ah, lève-toi, soleil!” di Gounod che nel duetto della Manon di Massenet, il tenore tende a enfatizzare il melos francese attraverso il filtro melodico dell’operismo italiano, risultando quindi molto appassionato ma non sempre rifinito stilisticamente. Va da sé che in Puccini Grigolo si trova nel suo elemento naturale. Come Cavaradossi e Rodolfo, gioca più agevolmente le carte dell’ardore e della passionalità, della scansione energica alternata ai coloriti dolci e affettuosi, ottenuti grazie a un fraseggio attento alle sfumature, ai piano e ai pianissimo (a costo di sconfinare in qualche falsetto). A tratti, come si sa, tende a esagerare negli slanci e nella gestualità. E proprio perché Grigolo è un gran professionista, un po’ più di misura non guasterebbe, specie in contesti in cui è libero di gestirsi come meglio crede. Inutile dire che il pubblico lo acclama in tutti i brani in programma (anche nel bis, “E lucevan le stelle”), così come acclama gli altri protagonisti di una serata complessivamente riuscita.
Da ricordare, nell’estratto da Bohème, i contributi di Davide Luciano, ottimo Marcello, e Mihaela Marcu, funzionale Musetta.
Arena di Verona – Festival d’estate 2020
OPERA E PASSIONE IN ARENA
Musiche di Charles Gounod, Jules Massenet,
Giacomo Puccini, Georges Bizet
Orchestra dell’Arena di Verona
Direttore Plácido Domingo
Soprano Sonya Yoncheva
Tenore Vittorio Grigolo
Verona, 29 agosto 2020