È un’Arena di Verona molto diversa da come è apparsa ai melomani che l’hanno affollata a partire dal 1913. Nondimeno il colpo d’occhio è sempre formidabile. La cavea, priva di sedie e strutture metalliche, si impone in tutta la sua originaria bellezza. Al centro della platea spicca una grande pedana rossa con l’orchestra, mentre i coristi opportunamente distanziati sono collocati ellitticamente ai piedi delle gradinate. Il nuovo assetto, l’accesso all’anfiteatro, la disposizione del pubblico, l’ingresso e l’uscita degli artisti: tutto è adattato alle normative anti-Covid.
La sensazione è duplice: la gioia per il ritorno della musica in una cornice magnifica, dopo mesi difficili di incertezza e smarrimento, si contrappone a un senso di tristezza per la festa contingentata e l’immagine dell’esiguo numero di spettatori (poco più di 2000) sparpagliati sugli spalti. La speranza e la voglia di ripartenza sono simboleggiate da un bambino che, in apertura di concerto, sale sul podio per dirigere (ovviamente per gioco) l’inno di Mameli. Rappresenta “gli occhi del nostro futuro” dice Katia Ricciarelli, madrina della serata a cui sono affidati i ringraziamenti alle autorità, al sovrintendente Cecilia Gasdia, agli artisti e soprattutto agli operatori sanitari a cui l’evento è dedicato.
Il primo appuntamento areniano dopo l’emergenza Coronavirus è infatti dedicato a “Il cuore italiano della musica”. Italiane sono le pagine operistiche in programma e italiani sono i 20 cantanti protagonisti (due naturalizzati, Siri e Pirgu), come pure i quattro direttori che si alternano sul podio dell’Orchestra dell’Arena di Verona. Il concerto – due ore e mezza di durata senza intervalli – si apre con l’esibizione di un manipolo di veterani della lirica diretti dal giovane Andrea Battistoni. Spicca, in questa prima parte, la prova vocalmente sempre autorevole e scavata nel fraseggio di Michele Pertusi impegnato in “Ella giammai m’amò” dal Don Carlo. Anche Roberto Frontali figura bene nel Prologo dei Pagliacci: gli acuti fuori ordinanza di “Al pari di voi” e “Incominciate” risultano un po’ tirati, ma l’interprete è sensibile e analitico. Convince pure Sonia Ganassi che, pur non muovendosi nel suo elemento naturale, considerate le sue origini rossininane e belcantistiche, offre un’interpretazione di buon impatto drammatico di “Voi lo sapete, o mamma” da Cavalleria rusticana. Alessandro Corbelli fa quindi valere le sue doti di abile caratterista nell’aria di Dulcamara dall’Elisir d’amore, mentre Fabio Armiliato, nell’aria da Andrea Chénier “Un dì all’azzurro spazio” cerca di conciliare la durezza di alcune modulazioni con la definizione di un fraseggio vario e sfumato. Va anche detto che la direzione di Battistoni, notoriamente incline alle sonorità piene e agli scatti “garibaldini” (ben evidenti nel coro del Nabucco “Gli arredi festivi”), non supporta sempre al meglio le esigenze dei cantanti.
Una maggiore sintonia con le voci e lo spirito dei brani proposti emerge dalla direzione di Francesco Ivan Ciampa nel secondo gruppo di esibizioni, che si apre con la presenza di un giovanissimo e talentuoso violinista, Giovanni Andrea Zanon: la pur brillante esecuzione del funambolico Capriccio n. 24 di Paganini fa un effetto un po’ straniante, vuoi per la scelta di presentarlo in una improbabile versione orchestrale, vuoi per il carattere stesso di un pezzo poco adatto al contesto. È poi la volta di Annalisa Stroppa, briosa nel fraseggio e a suo agio nel dipanare le agilità dell’aria di Rosina dal Barbiere di Siviglia, e di Simone Piazzola che esibisce un timbro baritonale piuttosto chiaro, ma cesella con accento nobile e varietà di sfumature “Di Provenza il mar, il suol” dalla Traviata. La carrellata di arie celebri prosegue con “La mamma morta” da Andrea Chénier: Maria José Siri qui è nel suo repertorio d’elezione, canta con il pathos dovuto, ma sa trovare pure un adeguato gioco di colori e accenti, ulteriormente valorizzati dal pregevole accompagnamento orchestrale. Barbara Frittoli canta poi “Io son l’umile ancella” da Adriana Lecouvreur con una vocalità ben calibrata sul filo di un lirismo morbido e malinconico, fraseggiando con classe ed eleganza. Chiude le esibizioni accompagnate da Ciampa Fabio Sartori, che in “E lucean le stelle” sfoggia la sua pastosità da lirico pieno, ma non essendo evidentemente in forma ottimale lascia trapelare qualche sparsa incertezza.
La staffetta passa quindi alla bacchetta di Marco Armiliato, che si dimostra puntuale nell’assecondare i cantanti. Riccardo Zanellato offre un’interpretazione sostanzialmente misurata e corretta di “Come dal ciel precipita” dal Macbeth, mentre Saimir Pirgu esegue l’aria di Riccardo dal terzo atto di Un ballo in maschera con emissioni disomogenee e generico senso del lirismo. Convince “Un bel dì vedremo” cantata da Eleonora Buratto, che fa leva non solo sul bel timbro brunito e la morbidezza della cavata, ma anche sulla proprietà dell’accento e il fraseggio chiaroscurato. Infine, Francesco Meli offre la prova tenorile più precisa del concerto, riproponendo il suo collaudato “Ah sì, ben mio” dal Trovatore, con la consueta attenzione alla varietà dinamica e coloristica, e (a costo di qualche falsetto) all’espressione sfumata.
Per dirigere l’ultimo gruppo di artisti sale sul podio Riccardo Frizza, che svolge al meglio il suo compito di accompagnatore. Donata D’Annunzio Lombardi canta “Vissi d’arte” calibrando bene drammaticità e lirismo, dimostrandosi abile nel ricorrere a piani e pianissimi levigati. Brillantezza e ironia, sostenute da un canto ben impostato, contraddistinguono l’aria del catalogo di Leporello eseguita da Carlo Lepore, mentre a un clima decisamente più drammatico riporta Anna Maria Chiuri con “Stride la vampa” dal Trovatore: i trilli sono risolti in modo sui generis, ma l’adeguato impasto timbrico, l’attenzione ai contrasti dinamici e l’espressione rendono nel complesso giustizia al carattere della ballata. Alex Esposito affronta quindi l’aria di Procida dai Vespri Siciliani, “O tu, Palermo”, con apprezzabili intenzioni, musicalità e fraseggio espressivo, anche se il peso vocale, le arcate di suono e la compattezza non sono quelle che si richiedono a un basso in questo splendido brano verdiano. Rimarchevole la prova di Daniela Barcellona, che esegue “O mio Fernando” dalla Favorita con esemplare dominio stilistico e una vocalità che, al netto di qualche suono meno timbrato in basso, risulta ancora incisiva e autorevole. Chiude la parata di arie il glorioso Leo Nucci con l’invettiva di Rigoletto “Cortigiani, vil razza dannata”: vale a dire il ruolo-feticcio del 78enne baritono, una specie di seconda pelle di fronte alla quale i rilievi sull’usura dello strumento vocale contano nulla per il pubblico. Nucci “è” Rigoletto e l’ovazione scontata.
Da ricordare i contributi del coro preparato da Vito Lombardi, penalizzato acusticamente dalla collocazione, ma nondimeno convincente in “Patria oppressa” da Macbeth e nei due brani da Nabucco: il già citato “Gli arredi festivi” e l’immancabile “Va’ pensiero”. A rendere ulteriormente suggestiva la cornice visiva ha contributo il bel gioco di luci che ha accompagnato le diverse pagine proposte, mentre si fa dimenticare – tra gli interventi poco incisivi delle voci femminili e le gag degli interpreti maschili (con tanto di assembramento) – l’esecuzione collettiva di “O sole mio” proposta (ahimè due volte) come festoso bis conclusivo.
Arena di Verona – Festival d’estate 2020
IL CUORE ITALIANO DELLA MUSICA
Serata dedicata agli operatori sanitari
Direttori
Marco Armiliato, Andrea Battistoni,
Francesco Ivan Ciampa, Riccardo Frizza
Artisti
Fabio Armiliato, Daniela Barcellona, Eleonora Buratto, Annamaria Chiuri, Alessandro Corbelli, Donata D’Annunzio Lombardi, Alex Esposito, Barbara Frittoli, Roberto Frontali, Sonia Ganassi, Carlo Lepore, Francesco Meli, Leo Nucci, Michele Pertusi, Simone Piazzola, Saimir Pirgu, Katia Ricciarelli, Fabio Sartori, Maria José Siri, Annalisa Stroppa, Riccardo Zanellato, Giovanni Andrea Zanon
Orchestra e coro dell’Arena di Verona
Maestro del coro Vito Lombardi
Verona, 25 luglio 2020