Incastonato tra concerti e serate di gala con stelle della lirica, l’unico titolo operistico proposto in versione semiscenica dall’Arena di Verona, per il Festival d’estate 2020, è Gianni Schicchi. Una scelta anomala, per il contesto areniano: il terzo pannello del Trittico di Giacomo Puccini è infatti una commedia musicale sui generis che fluttua tra idillio sentimentale e caricatura vernacola. Non mancano gli ariosi e gli slanci melodici, ma l’asse portante è rappresentato soprattutto dal canto di conversazione, dal declamato e dal parlato. Da questo punto di vista, Gianni Schicchi può essere considerato uno spartiacque dell’opera comica del Novecento. Un punto di riferimento perfino sorprendente, se si considera il talento eminentemente tragico di Puccini. Il quale si rifà alla tecnica di conversazione inaugurata da Verdi nel Falstaff e la aggiorna incorporando gli espedienti armonici caratteristici della sua produzione più tarda. L’orchestra conduce il gioco ininterrottamente e si potrebbe quasi parlare di un “concertato continuo” con quindici personaggi. Una tecnica combinatoria fra voci e strumenti che richiede da un lato una direzione attenta e analitica, dall’altro un accurato lavoro sulla parola da parte dei cantanti che in un ampio spazio come quello areniano rischia di essere in parte penalizzato.
Ed è quello che comprensibilmente accade nella pur apprezzabile edizione veronese. Il gioco di squadra è senza dubbio pregevole: a imprimere all’eterogenea compagnia omogeneità espressiva, piegandola alle esigenze del ritmo teatrale, concorrono sia la direzione di Francesco Ivan Ciampa che il contributo di Leo Nucci, curatore della ideazione scenica, oltre che protagonista nel ruolo del titolo. Ciampa garantisce un ritmo fluido, una narrazione spigliata e ricca di movimento, senza cadute di gusto, più incline all’humour e all’ironia che ai toni grotteschi e agli accenti corrosivi. Il suono orchestrale è quasi sempre ben tornito, espressivo, la dimensione dell’idillio amoroso sottolineata a dovere. La direzione è precisa nel contrappunto ritmico, le voci sono ben sostenute, e tutto insomma procede per il meglio.
Che dire dell’immarcescibile e ancora una volta acclamato Leo Nucci? La vocalità non è più integra, come logico che sia a 78 anni. Soprattutto il registro centrale risulta meno incisivo e, in una parte come quella di Schicchi costruita sulla parola, qualcosa inevitabilmente si perde sul terreno della sillabazione e della chiarezza della dizione (a maggior ragione in Arena). Gli acuti invece sono tuttora robusti, sostenuti con sicurezza e ben proiettati. Va da sé che il personaggio viene scolpito da un fraseggio comunicativo, con tutta la vivacità istrionica che si addice ai tratti dell’astuto beffatore dantesco.
Vera sorpresa della serata è Lavinia Bini, una Lauretta esemplare per freschezza di mezzi vocali, piacevolezza timbrica, misura. Il giovane soprano fraseggia con spontaneità e affronta con abbandono e linea di canto luminosa la celeberrima “O mio babbino caro”, festeggiatissima dal pubblico. Molti applausi anche per Enea Scala, che a rigore non ha il timbro adatto alle parti di amoroso pucciniano, ma canta con slancio giovanile, adeguata leggerezza, e regge con disinvoltura e l’indispensabile squillo la tessitura acuta della temibile aria di Rinuccio, rispettandone il carattere di stornello.
Quanto ai personaggi di contorno, che lo stesso Puccini concepisce come un gruppo un po’ anonimo, risultano nel complesso tutti efficacemente caratterizzati, a partire dalla Zita di Rossana Rinaldi e, soprattutto, dal Simone di Giorgio Giuseppini. Spicca per la vocalità ben timbrata anche Biagio Pizzuti (Betto di Signa). Gli altri, a ogni modo, sono tutti encomiabili: Marcello Nardis (Gherardo), Rosanna Lo Greco (Nella), Gianfranco Montresor (Marco), Alice Marini (La Ciesca), Dario Giorgelè (Maestro Spinelloccio), Nicolò Ceriani (Ser Amantio di Nicolao), Maurizio Pantò (Pinellino) e Nicolò Rigano (Guccio), più il giovanissimo Zeno Barbarotto nella parte di Gherardino.
Se nessuno ricorre a vezzi, tic e sbracature di moda un tempo, il merito è anche della funzionale messinscena di Leo Nucci. Lo spettacolo non viene montato come una commedia in musica vera e propria, anche perché deve fare i conti con le limitazioni anti-Covid. Gli interpreti, in abiti contemporanei, entrano in scena con la mascherina e se la tolgono per cantare. L’azione – tolto l’ingresso del protagonista in bicicletta dal fondo della platea – si concentra davanti all’orchestra. L’unico elemento scenico è il letto con la salma-fantoccio di Buoso Donati collocata davanti al podio del direttore. Con queste premesse, la “regia” di Nucci fa il possibile per imprimere vivacità al gioco scenico e, pur con gag non sempre originali, dare sapidità alla caratterizzazione dei diversi personaggi, assecondando gli improvvisi cambiamenti di atmosfera dell’opera.
Per ricambiare gli applausi calorosissimi del pubblico e allungare un po’ la durata della serata, al termine dell’opera vengono bissate le arie di Rinuccio e Lauretta, mentre Nucci a sorpresa propone “Largo al factoum” dal Barbiere di Siviglia. Scelta poco “filologica” e discutibile, ma che il pubblico gradisce decretando al vecchio leone un autentico trionfo.
Arena di Verona – Festival d’estate 2020
GIANNI SCHICCHI
Opera comica in un atto
Libretto di Giovacchino Forzano
Musica di Giacomo Puccini
Gianni Schicchi Leo Nucci
Lauretta Lavinia Bini
Rinuccio Enea Scala
Gherardo Marcello Nardis
Nella Rosanna Lo Greco
Gherardino Zeno Barbarotto
Betto di Signa Biagio Pizzuti
Simone Giorgio Giuseppini
Marco Gianfranco Montresor
La Ciesca Alice Marini
Maestro Spinelloccio Dario Giorgelè
Ser Amantio di Nicolao Nicolò Ceriani
Pinellino Maurizio Pantò
Guccio Nicolò Rigano
Orchestra dell’Arena di Verona
Direttore Francesco Ivan Ciampa
Ideazione scenica Leo Nucci
Verona, 21 agosto 2020