Dopo circa cinquant’anni di assenza, è tornato al Teatro La Fenice Roberto Devereux di Gaetano Donizetti. La tragedia lirica in tre atti del compositore bergamasco ha segnato anche un nuovo passo verso la normalità: l’orchestra è stata riposizionata in buca mentre in platea sono state rimontate le poltrone. Naturalmente, a causa della pandemia i posti sono di fatto dimezzati, ma la programmazione a Venezia è proficuamente ripresa a differenza di quanto ancora accade in molti teatri internazionali. A farne le spese sono comunque soprattutto i registi. Le norme sul distanziamento e l’utilizzo delle mascherine limitano i movimenti, specie delle masse, e spesso gli allestimenti sono in forma semiscenica. È il caso per esempio del Devereux della Fenice che utilizza la struttura lignea, ideata da Massimo Checchetto, che ha fatto da cornice a tutti gli spettacoli realizzati a partire da luglio, con un sapiente gioco di luci di Fabio Barettin e i movimenti puntualmente curati dal cantante-regista Alfonso Antoniozzi. Pochi ma chiari elementi – il trono e più semplici sedili – definiscono i luoghi dell’azione: le stanze della regina, quelle della rivale (la duchessa Sara) e la prigione di Devereux.
Donizetti scrisse quest’opera nel 1837. Si trovava a Napoli e aveva appena perso il figlio e la moglie. Nel Roberto Devereux la tragica vicenda della relazione amorosa della regina Elisabetta con il suo favorito diviene l’emblema dello scorrere implacabile del tempo che rovinosamente tutto travolge. La sovrana è vittima della sua stessa autorità e nel conflitto tra pubblico e privato la donna di governo ferisce i propri sentimenti. Ne scaturisce un personaggio femminile quanto mai ricco e variegato, sotto il profilo psicologico e vocale. La protagonista deve possedere un temperamento drammatico e doti virtuosistiche; deve dominare il canto sbalzato e di forza; deve sprigionare un’intrinseca energia tra accenti e volate, fino all’approdo della cabaletta conclusiva. Tutto questo per dire che se anche l’opera s’intitola Roberto Devereux il ruolo più complesso è quello di Elisabetta, che richiede un soprano in grado di sviscerare ogni aspetto del testo, ogni sfumatura di quella che Verdi chiamerà “parola scenica”.
La palermitana Roberta Mantegna, già ascoltata alla Fenice quale Aida, ha una voce brillante. Accortamente evita di avventurarsi nel registro sovracuto aggiungendo note non scritte e sfoggia così suoni sicuri e saldi. Il timbro non è sempre accattivante, ma la tecnica è sicura. Il personaggio, però, per le ragioni suesposte, richiede ancora una maturazione artistica. La rivale, la duchessa Sara, è il mezzosoprano Lilly Jørstad, molto elegante e convincente in scena; si capisce poco, però, del testo cantato e la voce tende ad assottigliarsi nel settore acuto. Sul fronte maschile si fa valere Alessandro Luongo, duca di Nottingham, baritono dal colore nobile e dalle pregevoli intenzioni. Quale sfortunato Devereux, il tenore Enea Scala offre una prova in crescendo che nella sua grande scena del terzo atto, nell’“orrida prigione”, strappa un sentito e meritato applauso. Ben definito il resto della compagnia con il tenore Enrico Iviglia, Lord Cecil, il basso Luca Dall’Amico, Sir Gualtiero, Emanuele Pedrini, un paggio, e Carlo Agostini, un familiare.
Sul podio, ritroviamo Riccardo Frizza, che ci offre una versione pressoché integrale del capolavoro donizettiano: pochissime battute tagliate e tutte le cabalette col da capo. Il direttore bresciano conosce a fondo la produzione dedicata alle sovrane Tudor, compreso Il castello di Kenilworth; ci farebbe piacere che continuasse a ricercare e scavare nelle partiture con immutato entusiasmo, senza farsi tentare mai dall’abitudine. Sempre prezioso l’apporto del coro preparato da Claudio Marino Moretti. Caldo successo di pubblico.
Teatro La Fenice – Stagione Lirica e Balletto 2019/20
ROBERTO DEVEREUX
Tragedia lirica in tre atti
in forma semiscenica
Libretto di Salvatore Cammarano
Musica di Gaetano Donizetti
Elisabetta Roberta Mantegna
Sara Lilly Jørstad
Roberto Devereux Enea Scala
Il duca di Nottingham Alessandro Luongo
Lord Cecil Enrico Iviglia
Sir Gualtiero Raleigh Luca Dall’Amico
Un paggio Emanuele Pedrini
Un familiare di Nottingham Carlo Agostini
Orchestra e Coro del Teatro La Fenice
Direttore Riccardo Frizza
Maestro del coro Claudio Marino Moretti
Regia Alfonso Antoniozzi
Light designer Fabio Barettin
Venezia, 15 settembre 2020