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Trieste, Teatro Verdi – Lucrezia Borgia

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Assente dalle scene triestine dal 1871, vi fa finalmente ritorno Lucrezia Borgia, una delle grandi riscoperte della Donizetti Renaissance e uno dei titoli di maggior interesse dell’intero corpus donizettiano. Non a caso, infatti, data al 1833, nel mezzo del quinquennio che vide venire alla luce alcuni dei capolavori del bergamasco: da Anna Bolena nel 1830 a Lucia di Lammermoor nel 1835 passando per L’elisir d’amore e Maria Stuarda. La forza dell’opera risiede nella maestria e nella vena melodica di Donizetti, il quale affina qui la sua drammaturgia musicale: il finale del prologo, il magnifico terzetto del secondo “Guai se ti sfugge un moto”, che nella scrittura e negli incisi di Alfonso traduce appieno la sadica minaccia che rivolge a Lucrezia, il brindisi del secondo atto, interrotto dai cupi canti dietro le quinte, come pure il magnifico duetto finale “Tu pur qui?” testimoniano l’ormai piena maturità del Maestro, in grado di riscattare un libretto che annovera, al contrario, alcune situazioni fra le più inverosimili del melodramma.

In questa direzione di riscatto dall’improbabile, sembra andare anche la regia di Andrea Bernard, che firma, con lo scenografo Alberto Beltrame e la costumista Elena Beccaro, lo spettacolo coprodotto dalla Fondazione Teatro Lirico Giuseppe Verdi di Trieste con la Fondazione Teatro Donizetti di Bergamo, la Fondazione I Teatri di Reggio Emilia, la Fondazione Teatri di Piacenza e la Fondazione Ravenna Manifestazioni e che è già stato qui recensito relativamente alle recite di Bergamo e Reggio Emila. Avvertendo forse in parte l’esigenza di una rilettura del personaggio che andasse oltre il mito, come fece Dario Fo in La figlia del Papa ricercando la verità (scrive infatti Fo: “in tutte le storie famose … si trovano sempre diverse versioni del dramma. Nella maggior parte dei casi, però, si scopre un intento deformante, soprattutto dal punto di vista storico”), Andrea Bernard più che alla Storia, guarda all’introspezione psicologica, scandagliando il rapporto madre-figlio, la separazione, la maternità negata che si tinge di tentazioni edipiche nei duetti Lucrezia-Gennaro. Rimando alle impressioni di chi ha già scritto dello spettacolo, limitandomi qui a sottolineare come la realizzazione di questa lettura, che ridisegna di fatto l’impianto drammaturgico del dramma, sia rigorosa e convincente, motivata e ben strutturata. Resta, tuttavia, il dubbio su come essa si traduce in gesto scenico, spingendosi a tratti la recitazione, specie quella della protagonista, verso un realismo che pare stridere con quanto la musica suggerisce. L’impressione, a volte, è di ascoltare una cosa e assistere a un’altra; che l’attore si muova un po’ sopra le righe. Il secondo atto persuade maggiormente, depurato da talune allusioni simboliche dei precedenti, come la presenza del Papa, padre di Lucrezia, il cui figurante appare anche in veste di Morte, per esempio. Intendiamoci, sono riflessioni, queste, e appunti che nulla tolgono a uno spettacolo realizzato con intelligenza e gusto e che certo non meritava neppure i pochi dissensi di alcuni spettatori insoddisfatti a fine serata.

Carmela Remigio veste i panni di Lucrezia, affrontando con proprietà stilistica la scrittura donizettiana; è forse quella che più aderisce alle intenzioni del regista, disegnando una donna spinta alla vendetta più dall’ambiente che da una propria autentica propensione al male, ma che, proprio in virtù di questa corrispondenza di intenti con Bernard, tende a calcare troppo la recitazione. Il timbro non è suadente, ma canta con eccellente dizione e fraseggio vario, a cui tuttavia non fa riscontro una varietà dinamica altrettanto ricca. La sua Lucrezia convince per analisi e realizzazione scenica, ma l’impressione che se ne ricava è che quanto trasmette passi più dall’attrice che dal canto in sé, come il belcanto vorrebbe.
Stefan Pop, che interpreta Gennaro, ha acuti squillanti, ben proiettati e voce possente il cui volume tuttavia sa bene controllare. Il timbro non è accattivante, specie nel registro medio dove alcuni suoni tendono a velarsi, ma fraseggia bene trovando i giusti accenti e superando le asperità disseminate da Donizetti, soprattutto nella zona del passaggio, come nel caso del finale secondo, grazie a una tecnica sicura. Maffio Orsini è affidato alla voce della giovane Cecilia Molinari che può contare su un timbro non personalissimo, ma bello e su una preparazione solida che le permette di affrontare la parte senza mai forzare, sebbene la voce non sia possente. Ottima nelle parti solistiche e nei duetti, sia per stile che per emissione, tende infatti a essere coperta nei concertati. Dongho Kim è, al contrario, un Alfonso granitico, forte di un bel timbro di basso omogeneo nell’estensione, crudele e subdolo, capace di passare dalla rabbia repressa di “Vieni, la mia vendetta” all’impeto arrogante di “Qualunque sia l’effetto” al sottile gioco psicologico di “Guai se ti sfugge un moto”, senza mai uscire dal dettato donizettiano o cedere a effetti esteriori.
A livello dei protagonisti tutti gli altri componenti del numeroso cast che concorrono a siglare la riuscita di questo bel ritorno di Lucrezia Borgia a Trieste: Motoharu Takei, Rustem Eminov, Dario Giorgelè, Dax Velenich, Giuliano Pelizon, Andrea Schifaudo, Giovanni Palumbo, senza dimenticare la bella prova del coro istruito, come sempre, con precisione e sensibilità da Francesca Tosi.

L’Orchestra del Teatro Verdi di Trieste è diretta da Roberto Gianola che stacca tempi alquanto serrati, mantenendo quindi sempre un ritmo narrativo ben orientato verso la tragica anagnorisis finale, ma forse troppo rigoroso, a tratti, nella scansione, povero di quel respiro che caratterizza certe pagine donizettiane, come, ad esempio, l’incipit di “Vedi, vedi, io non t’imploro” con quel suo incedere reiterato e supplicante che traduce l’ansia timorosa di Lucrezia nel rivelarsi al figlio. Tiene tuttavia saldamente le redini dell’orchestra e del palcoscenico, riuscendo a rendere l’architettura generale della partitura.
Il pubblico, non numeroso come in altre serate, spaventato forse anche dall’annunciato ritardo di trenta minuti sul previsto inizio a causa di uno sciopero sindacale, ha tributato calorosi applausi a tutta la compagnia.

Teatro Verdi di Trieste – Stagione lirica e balletto 2019/20
LUCREZIA BORGIA
Melodramma in un prologo e due atti dal libretto di Felice Romani
Musica di Gaetano Donizetti

Lucrezia Borgia Carmela Remigio
Don Alfonso Dongho Kim
Gennaro Stefan Pop
Maffio Orsini Cecilia Molinari
Jeppo Liverotto Motoharu Takei
Don Apostolo Gazella Rustem Eminov
Ascanio Petrucci Dario Giorgelè
Oloferno Vitellozzo Dax Velenich
Gubetta Giuliano Pelizon
Rustighello Andrea Schifaudo
Astolfo/Una voce da dentro Giovanni Palumbo
Un coppiere/Un usciere Roberto Miani

Orchestra, Coro e Tecnici della Fondazione Teatro Lirico Giuseppe Verdi di Trieste
Direttore Roberto Gianola
Maestro del coro Francesca Tosi
Regia Andrea Bernard
Scene Alberto Beltrame
Costumi Elena Beccaro
Coreografie e movimenti scenici Marta Negrini
Luci Marco Alba
Nuovo allestimento della Fondazione Teatro Lirico Giuseppe Verdi di Trieste
in coproduzione con la Fondazione Teatro Donizetti di Bergamo,
la Fondazione I Teatri di Reggio Emilia, la Fondazione Teatri di Piacenza
e la Fondazione Ravenna Manifestazioni
Trieste, 17 gennaio 2020

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