È disponibile su YouTube la registrazione del Werther di Jules Massenet che chiuse la stagione lirica 2016 del Teatro Comunale di Bologna (video). Il dramma lirico in quattro parti su libretto di Paul Milliet e Édouard Blau, ai quali si affiancò anche l’editore George Hartmann, fu ispirato a Massenet dalla lettura della traduzione francese di I dolori del giovane Werther di Goethe. Le difficoltà riscontrate per la rappresentazione in patria indussero l’autore a presentare l’opera, in lingua tedesca, alla Hofoper di Vienna, il 16 febbraio 1892. Nonostante l’ampio successo europeo arriso al lavoro, il vero banco di prova fu il debutto in Francia, dove la partitura ottenne festose accoglienze il 16 gennaio 1893 all’Opéra-Comique di Parigi.
Il profondo attaccamento del compositore nei confronti di questo lavoro è certamente individuabile nell’affinità con una tematica, quella dello spleen, divenuta popolare all’epoca e celebrata, con largo anticipo, dalla vicenda goethiana. Le emozioni suscitate dal romanzo (di cui Massenet parla con dovizia di particolari nell’autobiografia) presero le mosse dal compiuto approfondimento psicologico che trova espressione nella vena lirica, innata nell’autore, e nella sua capacità di rendere pienamente leggibile e fruibile un romanzo epistolare. Nella conduzione vocale, così come nelle gestione orchestrale, è ravvisabile l’impronta del compositore che partecipa all’angosciante dramma del protagonista. La dirompente carica decadente dell’opera fonde e veicola i messaggi, affidati a testo e musica, attraverso schemi non rigidamente legati alle convenzioni e alla tradizione. L’incalzante precipitare degli eventi è denunciato da una ciclicità narrativa che risolve il nodo drammaturgico con estrema efficacia, riuscendo a catalizzare l’attenzione sul pervasivo binomio amore/morte.
In questa direzione si muove l’allestimento ideato con geometrica precisione da Rosetta Cucchi. La regista, pur forzando la mano in taluni passaggi chiave, coglie con profondità i tormenti interiori di Werther che osserva il mondo reale attraverso il proprio onirico desiderio di purezza e fiducia. Il protagonista si rifugia nell’alcol per lenire tormenti insostenibili derivanti del cinismo del mondo circostante nel quale egli innesta una realtà parallela, ricreata ad arte con l’apparire in scena di un nucleo familiare idealizzato. Un sottile diaframma separa la sublimazione (che però il pubblico coglie nella sua vera essenza) dalla sconfortante autodistruzione cui il giovane va incontro. Questo spettacolo punta l’indice contro la pruderie ipocrita del piccolo mondo borghese fatto di scelte imposte e accettate con prona abnegazione. Chi tenta di opporsi viene inevitabilmente schiacciato. Le idee della Cucchi si avvalgono del prezioso contributo scenico di Tiziano Santi che via via toglie elementi fino a lasciare quasi completamente spoglio il palcoscenico, al cospetto della morte del protagonista che ha lottato contro gli schemi sociali, gli stessi cui Charlotte si è sacrificata. Fondamentale alla definizione spaziale è il valido disegno luci di Daniele Naldi.
L’attesa accumulatasi, da tempo, verso questa produzione è imputabile alla festeggiatissima presenza di Juan Diego Flórez che si è avvicinato recentemente al repertorio francese affrontando Roméo et Juliette, Les pêcheurs de perles, Les Huguenots e appunto Werther. Il tenore peruviano ha maturato le proprie abilità in vent’anni di carriera, sempre ai massimi livelli, con esecuzioni già entrate nel mito. La sua decisione di allargare gli orizzonti musicali, includendo lavori dell’Ottocento inoltrato, segue la naturale inclinazione vocale e interpretativa. Questa prova bolognese è tecnicamente agguerrita, con un’attenzione spasmodica per i dettagli, sparsi con gran copia nelle fitte maglie della struttura massenetiana. La perizia nella resa del ruolo protagonistico trova riscontro nella duttilità acquisita con anni di incessante approfondimento teso a valorizzare, al meglio, le qualità di uno strumento assai dotato. Suscita, tuttavia, qualche interrogativo la palpabile tensione del tenore al cospetto di una scrittura che sembra, attualmente, non del tutto consona ai suoi risvolti vocali: il confronto con un’orchestra di ampie dimensioni lo induce, a tratti, a gonfiare talune emissioni, rischiando un certo affaticamento, specie durante i primi due atti. Data l’intelligenza dell’artista, la prestazione non viene compromessa, eccetto per qualche manierismo scenico dettato, senza dubbio, dalle grandi pressioni riposte in un debutto. I calorosi e prolungati consensi del pubblico lo inducono, come già avvenuto alla recita di domenica, a concedere il bis della celebre “Pourquoi me réveiller” dove si addensano, in gran copia, le malie esecutive dell’accorto fraseggiatore.
Non è di minor rilevanza l’apporto di Isabel Leonard, Charlotte dall’intensa partecipazione emotiva. Il mezzosoprano statunitense è in possesso di un timbro brunito che non lesina di dar ampio risalto alle screziature umorali della giovane amata. Vengono resi convintamente tutti i passaggi che sollecitano un’adesione umana all’azione e ai tormenti di Werther. Lo stesso attrito tra il volere sociale e il proprio anelito alla libertà trova piena espressione nella prestazione della Leonard. Jean-François Lapoint non pare sempre ben rifinito al cospetto delle esigenze vocali di Albert, tuttavia l’ottima padronanza linguistica e la credibilità attoriale supportano la sua lettura. È, al contrario, del tutto a proprio agio la musicalissima Ruth Iniesta che della vitale Sophie offre un ritratto pienamente riuscito.
Apprezzabili le prestazioni sceniche di Luca Gallo, Le Bailli, Alessandro Luciano, Schmidt, e Lorenzo Malagola Barbieri, Johann. A completare il cast vi sono Tommaso Caramia, Brühlmann, Aloisa Aisemberg, Kätchen, Susanna Boninsegni, Clara, Carlo Alberto Brunelli, Fritz, Irene Cavalieri, Gretel, Diego Bolognesi, Hans, Pietro Bolognini, Karl, e Marco Conti, Max.
Michele Mariotti ottiene dall’Orchestra del Comunale di Bologna, che pur esibisce più di qualche imprecisione nell’arco di una serata complessivamente valida, un suono compatto e morbido, attento alle finezze della partitura. Il direttore accompagna facendo tesoro della lunga frequentazione dell’opera ottocentesca, con una costante attenzione rivolta al palcoscenico. L’arco narrativo viene evidenziato in tutta la sua portata: dall’idilliaco principio, attraverso la dibattuta presa di coscienza del protagonista, fino al tragico epilogo. Una menzione al Coro di voci bianche preparato con dovizia da Alhambra Superchi.