Giovedì 30 luglio alle 21.15 su Rai5 va in onda “L’elisir d’amore” di Gaetano Donizetti rappresentato al Macerata Opera Festival nell’allestimento firmato da Damiano Michieletto. Protagonisti Mariangela Sicilia (Adina), John Osborn (Nemorino), Iurii Samoilov (Belcore), Alex Esposito (Dulcamara), Francesca Benitez (Giannetta). Sul podio Francesco Lanzillotta. Riproponiamo qui la recensione di Fabio Larovere
Damiano Michieletto e il lato oscuro dell’Elisir d’amore. Colpisce nel segno l’(ormai ex) enfant terrible del teatro d’opera italiano che a Macerata riporta in scena un fortunato l’allestimento del capolavoro di Donizetti, nato per i teatri spagnoli e visto anche a Palermo e Bruxelles. Ma per la prima volta all’aperto, nello spazio immenso dello Sferisterio, apportando necessarie modifiche e adattamenti. Un allestimento frizzante, fresco, vivace… estivo. La vicenda si svolge su un’affollata spiaggia italiana, con tanto di sabbia dorata, sdraio, ombrelloni, campo da beach volley e palme. Adina è la volitiva proprietaria di un moderno chiosco in riva al mare, che gestisce con l’amica Giannetta; Nemorino è un bagnino un po’ goffo, addetto soprattutto alla raccolta dei rifiuti; Belcore il classico palestrato che in spiaggia esibisce i propri muscoli e ama il gioco della seduzione con ogni donna che si muova nel raggio di pochi metri; Dulcamara infine è un furbo venditore di bevande che arriva a scompaginare il tranquillo tran tran della spiaggia con la pretesa di regalare a poco prezzo un’effimera felicità.
Tuttavia, dietro i colori laccati delle belle scene di Paolo Fantin, si nasconde qualcosa di oscuro, che Michieletto, qui coadiuvato nella regia da Eleonora Gravagnola, concentra soprattutto nella figura di Dulcamara. Il Bordeaux del libretto di Felice Romani si trasforma in droga e così il personaggio che ricordavamo essere una “simpatica canaglia” assume riflessi addirittura luciferini quando maltratta Adina, che rifiuta di assumere la droga da lui offerta, e quando, nel finale, se la svigna incensurato facendo cadere la colpa dello spaccio su degli ignari bagnanti intenti ad amoreggiare.
Ma c’è dell’altro, forse ancor più inquietante. E riguarda Nemorino, fatto oggetto di quello che oggi si chiamerebbe bullismo da parte dei frequentatori della spiaggia. Fa tenerezza e lascia un po’ a disagio il gesto di Adina che, nel primo duetto, dopo aver ricevuto in dono da Nemorino un orsacchiotto, getta il peluche in un cestino, dal quale poi uscirà più tardi per cadere, insieme ad altri rifiuti, sulla testa del povero bagnino maltrattato in questa caso da Belcore. Piccole grandi cattiverie, non lontane dalla realtà, e che in un animo sensibile possono provocare ferite profonde. Una certa qual godereccia volgarità dell’insieme dei bagnanti e di alcuni personaggi in particolare traspare anche da alcuni altri gesti e situazioni: lo schiuma party durante la festa di nozze del secondo atto dentro una enorme torta gonfiabile; Belcore che facendosi la doccia si massaggia vistosamente i “gioielli di famiglia”; Dulcamara che, attorniato da modelle ammiccanti, apre la lattina del “magico liquore” facendo fuoriuscire abbondanti spruzzi bianchi… Non mancano tuttavia immagini di delicata e intensa poesia, come nella “Furtiva lagrima”, peraltro bissata a furor di popolo da un John Osborn in stato di grazia: il tenore la canta di notte, sul piccolo terrazzo del bar dell’amata e, al termine del brano, accarezza la scritta luminosa che si accende componendo il nome di Adina. Semplicemente magico. Così come toccanti sono alcuni momenti disegnati dal regista come tableaux vivant: mentre tutti sono immobili e avvolti da una morbida oscurità, le luci si concentrano sui protagonisti e ne illuminano non solo la figura e il canto, ma in un centro qual modo i moti dell’animo, i sentimenti, le speranze e le paure. Un tocco di profonda umanità che riscatta il cinismo respirato altrove e ci riconferma nel convincimento circa l’assoluta statura di un capolavoro sì comico, ma che ha pure la capacità di raccontare la vita tutta intera, con i suoi colori e le sue ombre, con la semplice, talvolta banale, ferialità del quotidiano, con il desiderio costante d’amare ed essere amati. Di raggiungere la felicità, in fondo. Magari anche con l’ausilio della magia o, come suggerisce Michieletto, di una qualche droga.
Lo spettacolo è pressoché perfetto. Anche per la qualità complessiva sul fronte musicale che conta sulla guida precisa, pulita e scattante di Francesco Lanzillotta, direttore musicale del Macerata Opera Festival, capace di cucire un racconto coinvolgente e vibrante. Eccellente il cast, capitanato dal Nemorino di John Osborn, la cui voce ampia, chiara e duttile è utilizzata con gusto e misura, nel segno di quello che alle mie orecchie è risuonato come vero e proprio belcanto. Mariangela Sicilia, che ho ascoltato quale ottima Micaela nella Carmen areniana a Verona, conferma qui la qualità del suo canto, coniugata a una indubbia verve da attrice, complice la bellezza della figura e la disinvoltura con cui si muove in scena. Caratteristiche che non mancano neppure alla vivace Giannetta di Francesca Benitez. Belcore ha il fisico aitante e il bel timbro del baritono Iurii Samoilov, dalla voce potente e ben utilizzata. Alex Esposito, infine, è un autentico animale da palcoscenico e il suo Dulcamara è vocalmente e scenicamente ineccepibile. Nonostante qualche lieve scollamento con la buca dovuto alle dimensioni del palco, è stata ottima anche la resa del coro istruito da Martino Faggiani e Massimo Fiocchi Malaspina. Bellissimi i costumi di Silvia Aymonino e le luci di Alessandro Carletti. Vivissimo successo da parte del pubblico.