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Su Rai5, il Fidelio della Scala diretto da Barenboim

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È lo spettacolo che ha inaugurato la stagione del Teatro alla Scala il 7 dicembre 2014 il Fidelio di Ludwig van Beethoven che Rai Cultura propone su Rai5 (canale 23) mercoledì 16 dicembre in prima serata alle 21.15. Dirige Daniel Barenboim, alla sua ultima stagione da Direttore musicale della Scala. La regia è firmata dalla britannica Deborah Warner, che dopo essersi imposta nella prosa grazie alla sua collaborazione con la Royal Shakespeare Company si è dedicata con sempre maggiore assiduità all’opera. Scene e costumi sono di Chloe Obolenski, allieva di Lila De Nobili e storica collaboratrice di Peter Brook, le luci di Jan Kalman. Il cast capitanato da Anja Kampe (Leonore) e Klaus Florian Vogt (Florestan) comprende Falk Struckmann (Don Pizarro), Kwangchoul Youn (Rocco), Peter Mattei (Don Fernando), Mojca Erdmann (Marzelline) e Florian Hoffmann (Jaquino). Proponiamo qui la recensione dello spettacolo a firma Giancarlo Arnaboldi

Viene trasmessa da Rai5 l’edizione del Fidelio che il 7 dicembre 2014 ha suggellato il regno di Daniel Barenboim, amato (e discusso) direttore musicale del Teatro alla Scala per un decennio. Se a Barenboim è sempre stata rimproverata una certa “insofferenza” nei confronti del repertorio italiano, lo stesso non può certo dirsi per quello tedesco: la sua interpretazione della Tetralogia wagneriana e del Tristano e Isotta in particolare, rimangono fra i più luminosi momenti scaligeri degli ultimi anni. Inevitabile quindi attendersi da Barenboim una grande esecuzione dell’eccelso (e quanto mai problematico) capolavoro beethoveniano, vero ponte fra Mozart e il melodramma germanico più rappresentativo, anticipatore di quella temperie Romantica che esploderà di li a poco (la prima stesura della partitura risale al 1805) in tutta Europa. I problemi interpretativi di Fidelio, in fondo, risiedono proprio in questo, nel voler a tutti i costi leggere l’opera in chiave iperdrammatica dimenticandone le radici che affondano nell’olimpica tradizione che trova in Mozart il suo più alto artefice. Le radici mozartiane dell’opera, del resto, vennero messe in luce anche alla Scala nell’ormai lontano 1978 dal grandissimo Leonard Bernstein il quale eseguì, con meravigliosa intensità emotiva, un Fidelio di portata storica, anticonvenzionale già nella scelta della protagonista, una liricissima Gundula Janowitz.

L’unico capolavoro teatrale del genio di Bonn trova in Barenboim un interprete attento ai valori musicali e teatrali della nobile partitura, esaltati attraverso una concertazione fedele a ogni particolare espressivo. Raramente il linguaggio composito di questo melodramma è apparso scandagliato con tale cura. Dal duetto iniziale fra Marcellina e Jaquino, ancora così carico di echi mozartiani, al velenoso tratteggio dell’odioso Pizzarro, fino all’epico scioglimento della vicenda è tutto un susseguirsi di emozionanti vertigini musicali, magistralmente concatenate fra loro. Barenboim sceglie di iniziare con la seconda ouverture composta da Beethoven (oggi chiamata Leonore II) a suo avviso più adatta a introdurre la vicenda rispetto all’ultima ouverture creata appositamente dal compositore per Fidelio e solitamente eseguita. Scelta discutibile, l’unica della serata, ma che si giustifica nel voler porre l’accento sul coraggioso gesto sacrificale di Leonora travestita da Fidelio, disposta a tutto pur di salvare il marito dall’infame carcere nel quale è stato gettato. Non per questo l’interpretazione “politica” della vicenda, il suo farsi emblema di tutte le ingiustizie esercitate dal potere nei confronti di qualunque voce si levi a denunciarne gli abusi, viene disattesa. Nel finale, anzi, complice anche il bell’allestimento firmato da Deborah Warner, deflagra prepotentemente. La regista inglese calibra al millesimo il gioco scenico che lega fra loro i vari personaggi, sposta l’azione  in un’epoca vicina a noi senza per questo turbare (grande merito) l’esecuzione musicale. La scenografia di Chloe Obolensky crea lugubri e squallidi spazi, che da soli evocano angoscia e smarrimento. Geniale l’idea di ambientare la scena della prigione dove è stato rinchiuso Florestano in una miniera dismessa, le cui pareti crolleranno nel finale liberatorio.

Discreto, nel suo complesso il cast prescelto. Kwangchul Youn è un carezzevole e ben cantato Rocco, giustamente premiato dal pubblico a fine serata. Sensata la scelta di affidare il personaggio di Florestano a una voce più lirica del consueto, “mozartiana” nella sua luminosità, quale quella del tenore Klaus Florian Vogt. Anche Anja Kampe in Leonora punta più sul versante lirico che su quello drammatico. L’interprete è scenicamente del tutto immedesimata con il ruolo, raramente una donna travestita da uomo è apparsa così credibile, e se qualche acuto si tramuta in strillo nei momenti più concitati non importa più di tanto (e forse è anche un po’ colpa della massacrante scrittura vocale di Beethoven). Interpreti più convenzionali, ma comunque corretti, Mojca Erdmann in Marcellina e Florian Hoffmann in Jaquino. Giustamente truce e violento il Pizarro di Falk Struckmann. Peter Mattei, infine, sigla da par suo il breve, ma bellissimo, ruolo di Don Ferrando.

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