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Pisa, Teatro Verdi – Don Giovanni

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Dopo aver aperto la stagione con L’empio punito di Alessandro Melani, il Teatro Verdi propone anche la versione più famosa del mito del libertino. Il Don Giovanni mozartiano ritorna dunque a Pisa dopo soli cinque anni, ma fa comunque incetta di pubblico, che non si fa cogliere troppo di sorpresa dalla veste contemporanea del nuovo allestimento presentato.
Cristina Pezzoli infatti cala la vicenda in un Circo Nero, ben evocato dalle scene e costumi firmati entrambi da Giacomo Andrico: al centro del palco troviamo una semplice pedana, cui fanno da sfondo una serie di fondali intercambiabili, illuminati dalle efficaci luci di Valerio Alfieri. A seconda delle esigenze vengono aggiunte sedie di foggia antiquata, mentre lampadari kitsch si alternano a nude lampadine sopra la testa dei personaggi. Nel secondo atto fanno il loro ingresso anche una serie di lugubri oggetti per connotare le scene più dark: notevole infatti è l’uso della grande croce usata prima per l’allestimento del cimitero, e poi come tavola del banchetto finale. Due microfoni rétro compaiono talvolta ai lati del proscenio durante i recitativi, così da aumentare la percezione sonora, come accade per il breve racconto di Donna Elvira dopo la sua entrata – “Cosa puoi dire dopo azion sì nera?” – trasformato in una sorta di piccola aria da dive jazz di altri tempi; meno efficaci nella resa teatrale, in quanto poco si legano con il dettato mozartiano, appaiono invece certe intrusioni registrate di musica elettronica per connotare le situazioni più distorte e tragiche. A ciò si aggiungono anche le coreografie ideate da Arianna Benedetti ed eseguite dal Nuovo BallettO di ToscanA, che dovrebbero simboleggiare le diverse caratteristiche del protagonista, ma finiscono spesso per sembrare superflue: ad esempio, vedere il tentato stupro di Donna Anna ballato sulle note dell’Ouverture, per quanto ben eseguito, poco aggiunge alla narrazione dato che pochi minuti dopo, nella apposita scena, viene ripetuto tale e quale ma recitato dagli interpreti.
La regia vera e propria alterna connotazioni e movimenti piuttosto tradizionali, soprattutto nel tratteggiare i personaggi nobili, a idee più riuscite con gli altri, a partire dalla figura del protagonista, la cui carica sensuale ed eversiva è accentuata dalla spregiudicatezza del suo guardaroba, di cui è esempio perfetto il corsetto degno del Dottor Frank-N-Furter del Rocky Horror Picture Show. A lui e a una Zerlina in abiti gitani spetta uno dei momenti più teatralmente efficaci dello spettacolo, quando il loro primo duetto – “Là ci darem la mano” – diventa un piccolo show interrotto da Donna Elvira che esce dal sipario dietro di loro puntandogli una pistola alla testa, come in un film poliziesco americano degli anni ’80. In sostanza si tratta di uno spettacolo ben realizzato, con molti pregi ma anche qualche eccesso discutibile.

Altalenante risulta la parte musicale a partire da una direzione di Erina Yashima che si contraddistingue per una discreta politezza del suono e una ricerca fin troppo puntigliosa dei particolari. A tale ossessione di correttezza corrisponde una resa teatrale poco pregnante, anche a causa dei tempi spesso molto dilatati con cui vengono affrontate le parti più distese. Le voci appaiono comunque piuttosto ben supportate e l’Orchestra Arché risponde al gesto sempre con la dovuta prontezza. Ben a fuoco risultano anche gli interventi del Coro Ars Lyrica preparato da Marco Bargagna.

Il cast è caratterizzato da una generale correttezza. Daniele Antonangeli ricopre le vesti del protagonista con scioltezza vocale e buona presenza scenica. La voce si distingue per un bel timbro scuro e una adeguata proiezione, anche se poco incline a particolari sfumature coloristiche, mentre il fraseggio appare un po’ monocorde, soprattutto all’inizio della recita. Nicola Ziccardi disegna un Leporello convincente, in linea con la tradizione. Risulta perfettamente a suo agio nella parte, grazie a uno strumento ben sostenuto, connotato da un bel timbro baritonale e da una linea piuttosto omogenea.
Sonia Ciani riveste i panni di Donna Anna con un timbro chiaro, un po’ aspro, e una vocalità non debordante ma che si espande bene alla sala pisana. Le agilità vengono prese con cautela mentre poco incisivo appare il fraseggio. Positiva è la prova di Diego Godoy come Don Ottavio, voce omogenea, leggermente ambrata e consistente, che ben si dispiega nella prima aria “Dalla sua pace”, cesellata con i giusti accenti. Raffaella Milanesi costruisce il personaggio di Donna Elvira come se fosse l’ultima delle eroine abbandonate del periodo barocco. Si notano alcune asprezze della linea vocale, ma il fraseggio è ben rifinito, e convince in particolare la resa molto efficace di “Mi tradì quell’alma ingrata”.
Francesco Vultaggio è un discreto Masetto, sia dal punto di vista vocale, dato il bel volume e il timbro brunito, sia da quello interpretativo. Federica Livi appare invece una Zerlina adeguata, anche se vocalmente un po’ esile. Paolo Pecchioli ben ritaglia i tonanti interventi del Commendatore, grazie allo strumento scuro e corposo.
Il pubblico segue con curiosità ed entusiasmo la recita pomeridiana e tributa alla fine un buon successo per tutti.

Teatro Verdi – Stagione 2019/20
DON GIOVANNI
Dramma giocoso in due atti K527
Libretto di Lorenzo Da Ponte
di Wolfgang Amadeus Mozart

Don Giovanni Daniele Antonangeli
Il Commendatore Paolo Pecchioli
Donna Anna Sonia Ciani
Don Ottavio Diego Godoy
Donna Elvira Raffaella Milanesi
Leporello Nicola Ziccardi
Masetto Francesco Vultaggio
Zerlina Federica Livi

Orchestra Arché
Coro Ars Lyrica
Compagnia Nuovo BallettO di ToscanA
Direttore Erina Yashima
Maestro del coro Marco Bargagna
Regia Cristina Pezzoli
Scene e costumi Giacomo Andrico
Light designer Valerio Alfieri
Coreografa Arianna Benedetti
Nuovo allestimento Teatro di Pisa
Coproduzione Teatro di Pisa, Fondazione Stiftung Haydn di Bolzano e Trento,
Teatro Goldoni di Livorno, Teatro del Giglio di Lucca
Pisa, 26 gennaio 2020

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