Un’altra sfida vinta da parte del Teatro Municipale di Piacenza, che in questi mesi non si è fermato e, dopo la felice proposta händeliana di Aci, Galatea e Polifemo, mette oggi in scena Il barbiere di Siviglia di Rossini in un allestimento non nuovo ma rimodulato secondo le esigenze dettate dalle norme di sicurezza anti Covid-19. È lo stesso Renato Bonajuto che ne firma la regia riprendendo uno spettacolo nato al Teatro Regio di Parma nel 2005 dall’idea del suo maestro, Beppe de Tomasi. Un Barbiere arioso, dinamico, elegante e fresco, con l’impianto scenico, di Poppi Ranchetti, formato da una selva di gigantesche cancellate in ferro che paiono fatte in pizzo e delimitano interni e esterni della casa di don Bartolo (come una sorta di prigione per la povera Rosina, soggetta alle grinfie del proprio del tutore), sapientemente illuminate dal fondo palcoscenico da Michele Cremona, mentre i costumi, bellissimi e in stile, sono di Artemio Cabassi. La regia, per chi ricordava lo spettacolo, è quella di sempre: consapevole di un modo di far teatro musicale comico che rispetta la tradizione, pulita dalle incrostazioni più deteriori per offrire una ventata di rinnovata freschezza alla verve che le è propria.
Il vero problema che Bonajuto ha dovuto affrontare, di non poco conto, è stato quello delle distanze fra i personaggi, che potevano mettere a repentaglio l’anima fondante dello spettacolo, fatto d’interazioni e di gioco continuo fra gli interpreti. Lo ricorda lo stesso Bonajuto nelle note di regia quando scrive: “ho quindi costruito una regia in accordo con i responsabili della sicurezza che non avesse a soffrire di tutti quei limiti, bensì ne traesse ispirazione per proporsi con un nuovo modo di rappresentare il gesto che non viene eseguito ma indicato, giocando sulla platealità ma anche sull’errore, sul fraintendimento, sull’equivoco ed anche sulla mimica. Una forma di metateatro che ha richiesto lo studio ed un lavoro approfondito su ogni singolo personaggio”. Detto, fatto! Se non avessimo letto le note quasi non ci saremmo resi conto dei tanti sforzi fatti, dal momento che la visione dello spettacolo, registrato e poi trasmesso in streaming, non ha dato adito a nessuna soluzione mortificante per la recitazione o per lo sviluppo di una narrazione ben consapevole di cosa significhi far teatro comico, rispettando le imposizioni del presente ma, come si diceva, non trascurando il retaggio della tradizione passata, ripulita sì, quanto più possibile, dai quei vezzi e da quelle gag che non vengono tuttavia del tutto dimenticate, per intingere la penna dell’ironia in vizi e virtù, prendendosi gioco con cinico disincanto delle debolezze umane.
Alla gradevolezza confortante dello spettacolo, che conferma come si possa ancora fare oggi teatro musicale comico senza gratuite forzature innovative, corrisponde una resa musicale sicura, garantita dalla bacchetta del giovane direttore tedesco Nikolas Nägele, Kapellmeister alla Deutsche Oper di Berlino, del quale si ammira non solo la coerente scelta dei tempi (forse un po’ rilassati nella sinfonia) e il bel respiro rossiniano, ma anche quella scorrevolezza che garantisce buon sostegno a una compagnia di canto ottimamente assortita.
In forma purtroppo non proporzionale alle promettenti qualità che farebbero di lui una voce giusta per la parte del Conte d’Almaviva è Manuel Amati, così come ruvido ma sostanzialmente solido il Don Basilio di Mattia Denti. Per il resto, il cast presenta la Rosina stilisticamente impeccabile di Giuseppina Bridelli, ammirata nel repertorio barocco e in Mozart, ma che anche in Rossini sfoggia una vocalizzazione giusta e una bella fantasia in agilità e variazioni, pur non emergendo per particolare personalità vocale e interpretativa.
Roberto de Candia, nei panni di Figaro, e Marco Filippo Romano, in quelli di Don Bartolo, sono due giganti dell’opera comica rossiniana. Il primo non si impone forse, da subito, in una cavatina d’ingresso cantata bene ma con un filo di preoccupata attenzione di troppo per le note (seppur tutte giuste), più che allo spirito del personaggio. Poi via via si capisce di trovarsi dinanzi al cantante che ha la classe di sempre (impeccabili le agilità di “Oh, che volpe sopraffina, ma l’avrà da far con me”), capace di cantare sul significato della parola più che sull’esteriorità vocale, nel segno di quell’eleganza e di quel garbo che da sempre contraddistinguono questo cantante di alta scuola. La stessa attenzione alla parola, la giustezza nei sillabati dell’aria e tutto quanto occorre per fare del suo Don Bartolo un personaggio a tutto tondo è garantito da un bravissimo Marco Filippo Romano, che ancora una volta si conferma punto di riferimento fra gli interpreti italiani di questa parte. Funzionali gli altri: Stefania Ferrari (Berta), Francesco Cascione (Fiorello), Michele Zaccaria (Ambrogio) e Simone Tansini (Un Ufficiale).
Un bel pomeriggio rossiniano, fra l’altro assai gradito dal pubblico virtuale, che ha seguito lo spettacolo da tutto il mondo, con entusiastici apprezzamenti nella chat dal vivo durante la trasmissione dell’opera sul canale You Tube di OperaStreaming. Segno, forse, di quanto lo streaming potrebbe in futuro ritagliarsi uno spazio affiancando lo spettacolo in presenza, sia ben inteso senza sostituirlo, allargando così l’opera a fasce di pubblico sempre più ampie.
Teatro Municipale di Piacenza
IL BARBIERE DI SIVIGLIA
Melodramma buffo in due atti di Cesare Sterbini
Musica di Gioachino Rossini
Conte d’Almaviva Manuel Amati
Don Bartolo Marco Filippo Romano
Rosina Giuseppina Bridelli
Figaro Roberto de Candia
Don Basilio Mattia Denti
Berta Stefania Ferrari
Fiorello Francesco Cascione
Ambrogio Michele Zaccaria
Un ufficiale Simone Tansini
Orchestra dell’Emilia-Romagna Arturo Toscanini
Coro del Teatro Municipale di Piacenza
Direttore Nikolas Nägele
Maestro del coro Corrado Casati
Regia Beppe de Tomasi
Ripresa da Renato Bonajuto
Scene Poppi Ranchetti
Costumi Artemio Cabassi
Luci Michele Cremona
Streaming da Piacenza, 20 dicembre 2020