Chiudi

Piacenza, Teatro Municipale – Aci, Galatea e Polifemo

Condivisioni

Ecco un altro teatro, il Municipale di Piacenza, che ha deciso di non rimanere con le mani in mano in questo periodo di chiusura. E sarebbe piaggeria lodare Cristina Ferrari, perché già sapevamo che è brava e, per di più, ama il barocco che non manca di proporre periodicamente, ai massimi livelli, nel teatro piacentino del quale è direttore artistico ormai da anni. Pertanto il già previsto nuovo allestimento della serenata di Händel Aci, Galatea e Polifemo è stato registrato a porte chiuse e poi trasmesso in streaming gratuitamente sul canale YouTube Opera Streaming, dove rimarrà in visione per tutti.

Le sorprese non si limitano ai buoni ingredienti musicali e visivi di questa produzione, c’è anche la novità della prima esecuzione in tempi moderni di una versione presumibilmente pensata da Händel per il cantore evirato Francesco Bernardi detto Senesino, senza ombra di dubbio il castrato che il “Caro Sassone” amò più di agni altro, almeno a giudicare dal mare di musica che compose per lui, facendolo partecipare a diverse prime londinesi delle sue opere.
Per Aci, Galatea e Polifemo, che vide la luce a Napoli nel luglio 1708 per celebrare il matrimonio di Tolomeo III, Duca d’Alvito, con Beatrice Sanseverino, Händel si avvalse dell’abate napoletano Niccolò Giuvo per la stesura di un libretto che rispettasse le regole arcadiche della favola pastorale e che, attraverso la metafora delle arie, intessesse l’elogio della fedeltà e della costanza in amore. Questo soggetto venne poi ripreso innumerevoli volte dal compositore per altre versioni, nel 1718, sotto forma di masque in due atti, nel 1732, come serenata in tre parti, realizzate quando Händel aveva già lasciato l’Italia alla volta di Londra. Si contano poi ulteriori riprese, fino al 1739, fra le quali le napoletane del 1711 e 1713. Quella oggi proposta a Piacenza è costruita in base ad alcuni frammenti reperiti nel faldone manoscritto Ms. Egerton 2953 conservato nella British Library di Londra, strumento di lavoro utile a chiunque voglia studiare tutte le possibili alternative a questo titolo, che sono molte e non facilmente organizzabili per dare forma precisa a tutte le diverse variabili fra una esecuzione e l’altra. L’attuale edizione piacentina fa riferimento ad alcuni frammenti inseriti nella struttura del libretto napoletano della prima (dell’ultima ripresa partenopea del 1713 non ci è pervenuto il libretto) e ai nuovi cantanti per i quali si suppone fossero pensati perché assai attivi sulle scene napoletane nell’anno 1713: il Senesino nei panni di Aci e Anna Maria Strada del Pò, altra cantante händeliana di riferimento, come Galatea. Quindi una ipotesi di studio sull’evoluzione delle varie forme in cui si presenta quest’opera con numeri aggiunti o riscritti più che una certezza che si possa concretamente parlare di una versione che coinvolse il Senesino.

Il controtenore Raffaele Pe, con la collaborazione di Fabrizio Longo e Luca Guglielmi hanno così pensato a una ricostruzione della partitura che, per i due protagonisti, vede sostanziali cambi di registro rispetto alla prima assoluta napoletana: Aci passa da soprano a contralto, mentre Galatea da contralto a soprano, accentuandone così la femminilità; Polifemo resta un basso profondo, ma con recitativi accompagnati e arie che i curatori della revisione ritengono donino al personaggio una configurazione meno solenne e greve, come l’ascolto conferma. Anche sul piano strumentale si nota un utilizzo maggiore di flauti e legni, a favore di un tratto espressivo più tenue ed emotivamente legato a una poetica degli affetti pur sempre sostanziata da risvolti allegorici attinenti alla debole consistenza drammatica del soggetto tratto dalle Metamorfosi di Ovidio. Vi si narra dell’amore fra il pastore Aci e la ninfa Galatea, contrastato dal geloso e sanguinario gigante Polifemo, il cui pressante amore per Galatea non è corrisposto fino a scatenare in lui il desiderio omicida nei confronti del rivale, ucciso scagliandogli addosso un grande masso. Il sangue di Aci, per intercessione di Nereo, padre di Galatea, verrà trasformato nelle acque di un fiume che, sfociando nel mare, permetterà alla ninfa di riunirsi idealmente all’amato in un abbraccio eterno.

Tale epilogo viene esaltato, anzi caricato di significati che precedono l’evento stesso, dal regista Gianmaria Aliverta, al quale è affidato il non facile compito di risolvere la staticità di questa storia-non storia, per di più condizionata dalle restrizioni imposte dal Covid-19 che non concedono contatto fra i cantanti. Poco male. Aliverta si inventa uno spettacolo di meditata suggestione, che per di più appare ben congegnato anche per la visione su piccoli schermi per lo streaming. Comprende che la soluzione migliore sia far “parlare” la musica, dando spazio alla poetica degli affetti barocchi, ai sentimenti e alle emozioni di personaggi che divengono anche riflesso di visioni fra il cosmico e il naturalistico; immagini video che raccontano l’amore contrastato dei due innamorati osteggiati nel loro sogno fino al tragico epilogo che richiama subito alla mente il legame fra l’uomo e la natura, il suo fondersi in essa come unico modo per ottenere quella felicità che in vita non è possibile raggiungere (un vago intento tristaniano forse, se non fosse che nel finale wagneriano Isotta anela nel suo Liebestod al non essere nell’indefinitezza del nulla della notte come immateriale ricongiungimento con chi si ama, mentre Aci in qualche modo ritrova la sua Galatea riabbracciandola far le onde del mare). Ecco perché nel programma di sala di questa edizione balza subito all’occhio il sottotitolo dato dell’opera: “Ecologia di un amore eterno”.
Sarebbe stato facile, anche se rischioso, farne una storia realistica di amore stalkerizzato, ma Aliverta non è caduto in un trabocchetto così scontato. Sul piano visivo, con scene e costumi da lui stesso firmati, proiezioni video di Tokio Studio e accuratissime luci di Elisabetta Campanelli, realizza un impianto funzionale e agile, che mostra un corpo scenico fisso, formato da un piano inclinato e da due pareti dove vengono proiettati video che sembra commentino il sentire dei personaggi in rapporto all’ambiente che li circonda, come se queste immagini, molte delle quali evocano visioni acquatiche (ma anche lingue di fuoco che si muovono come disegnate sullo schermo di un elettrocardiogramma, grandi occhi, calotte di ghiaccio che si sciolgono, cieli carichi di nuvole tempestose e di scrosci di pioggia notturna, lampi, rossi tramonti sul mare che si confondono alla fine col colore del sangue di Aci, ecc.), rimandino all’idea del flusso naturale all’interno del quale gli amanti potranno ricongiungersi perché condizionati dal legame con esso. Nessuna concessione paesaggistica arcadica messa in luce a fini decorativi per sottolineare i luoghi dove si trovano i personaggi, che appaiono invece come sospesi in una dimensione della psiche che li ingloba e alla fine li sommerge riunendoli nonostante l’interferire del feroce gigante Polifemo, in conclusione pentito per aver voluto opporsi a un amore così ideale e, sotto certi aspetti, indistruttibile, perché cosmico e mentale, che celebra l’inseparabilità dell’amore vero ed eterno, quello che gli sposi, secondo le intenzioni dei committenti per i quali questa serenata fu originariamente composta, si giurano dinanzi ad un altare. Azzeccata anche la scelta dei costumi, moderni, semplici e da “bravi ragazzi” per i due innamorati, volutamente trash per Polifemo, che qui diventa una sorta di coatto con maglia forata verde smeraldo, catenazzo d’oro al collo e giubbotto di pelle a sottolineare la volgarità di modi del ruvido gigante monocolo. Originale poi l’idea di far indossare ad Aci dei guantoni da box come gesto di difesa nei confronti dell’amata, mentre invece il gigante lo guarda giocandosi di lui per poi stenderlo a terra con un sol fendente. Uno spettacolo davvero riuscito quello di Aliverta, forse fra i più suggestivi usciti da una mano registica ancora giovane, ma certo non priva di spiccato intuito teatrale, in altre occasioni portatrice di messaggi registici contro la tradizione, che vanno nel senso della provocazione. Questa volta, anche lui, è caduto nel “tranello” del rispetto, talvolta anche della sofisticazione visiva, sempre nel segno del buon gusto.

Sul piano musicale l’Ensemble Barocco La Lira di Orfeo, che spesso suona quando sulla scena canta il controtenore Raffaele Pe, è un complesso che, sotto la direzione di Luca Guglielmi, suona bene, almeno a giudicare dall’ascolto in streaming, sfoggiando una pulizia di suono e un garbo degni di nota, valorizzando pure la morbidezza concessa agli strumenti originali quando ben suonati. La compagnia di canto è di livello. Partiamo di Raffaele Pe (Aci), in anni recenti impostosi come il controtenore italiano di riferimento per un registro vocale che finalmente ha in lui elementi vocali e stilistici in grado di competere, talvolta anche di vincere la sfida con i falsettisti anglosassoni, statunitensi e francesi, imponendosi, se non per lo slancio virtuosistico corroborante, almeno per la bellezza del timbro e per la cura dell’espressione. Pe ha dalla sua un timbro indubbiamente bello, un modo di porgere il suono carezzevole ed elegante, un’emissione che cerca sempre l’omogeneità e la naturalezza mai artefatta del suono a onta di qualche acuto sporadicamente affaticato. A questo si unisca la dizione chiara, la bella presenza scenica e tutto ciò che contribuisce a farne un cantante ormai giustamente affermato. Il suo capolavoro è l’aria “Verso già l’alma col sangue”, intonata prima di spirare dopo essere stato schiacciato dall’ira di Polifemo, uno di quei dolenti larghi händeliani che richiedono quella sospensione emotiva che la voce di Pe carica di calore e avvolgente commozione, davvero toccanti.
Giuseppina Bridelli (Galatea), con voce fresca e luminosa, appare fluida nel canto di agilità delle arie “Benché tuoni e l’etra avvampi” e “Del mar fra l’onde”, ma la si ammira anche nell’andamento lento e galante dell’aria “Se m’ami, o caro”, dove nel da capo sfoggia una nota presa in forte e poi subito elegantemente sfumata, confermandosi anche lei barocchista di valore in effetti belcantistici stilisticamente irreprensibili.
Andrea Mastroni è un Polifemo magnifico. La versione in questione lo priva dell’altisonante aria con trombe obbligate “Sibilar l’angui d’Aletto”, ben nota perché poi divenuta la sortita di Argante in Rinaldo. In compenso si ascolta il recitativo d’ingresso “Mi palpita il cor” seguito dall’aria “Affanno tiranno” dove già mette in mostra un registro grave ampio e sonoro. Anche nell’aria “Non sempre, no, crudele” è prodigo di bell’espressività e dell’utilizzo della mezzavoce sfoggiata anche nel recitativo accompagnato che sul finire dell’opera registra il pentimento di Polifemo, ma è ovviamente nella temibilissima “Fra l’ombre e gl’orrori”, una delle più suggestive arie per basso composte da Händel, che su andamento lento di sospensione quasi bachiana impone alla voce di basso di coprire un’estensione di due ottave, dove regala il meglio di sé, in quegli improvvisi, quasi irrisolvibili salti d’ottava che lo conducono, da vero virtuoso, nel risolvere il passaggio da un registro acuto raggiunto con una mezzavoce che arriva pure a sforare nel falsetto per poi sprofondare in quello grave, dove appare sonoro e timbratissimo.
Non resta che lodare l’altissima qualità sonora e visiva dello streaming che coronano un pomeriggio di musica händeliana da incorniciare fra i bei ricordi.

Teatro Municipale di Piacenza
ACI, GALATEA E POLIFEMO
Serenata su libretto di Niccolò Giuvo
Musica di Georg Friedrich Händel

Aci Raffaele Pe
Galatea Giuseppina Bridelli
Polifemo Andrea Mastroni

Ensemble Barocco La Lira di Orfeo
Maestro concertatore e clavicembalo Luca Guglielmi

Regia, scene e costumi Gianmaria Aliverta
Proiezioni video Tokio Studio
Disegno luci Elisabetta Campanelli
Streaming da Piacenza, 15 novembre 2020

image_print
Connessi all'Opera - Tutti i diritti riservati / Sullo sfondo: National Centre for the Performing Arts, Pechino