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Novara, Teatro Coccia – Donna di Veleni

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È da qualche stagione che il Teatro Coccia di Novara propone nell’ambito del suo cartellone un nuovo titolo operistico in prima assoluta, lo commissiona e ne cura la messa in scena. Una consuetudine che, anche quest’anno, non ha mancato di rivelare sorprese nella Donna di Veleni, su musica di Marco Podda e libretto di Emilio Jona.

Musica e testo procedono in sintonia d’intenti per approdare a un risultato che va oltre il contesto di una drammaturgia vera e propria; così facendo si travalica la dimensione teatrale, pur rispettata nella componente narrativa, per addivenire a un’opera che si fa carico di una metafora sapienziale, così da assumere le sembianze, nella struttura come nelle finalità, di una cantata più che di un melodramma vero e proprio. La presenza stessa di un’ampia sezione corale, concepita come parte integrante della vicenda (proprio come avveniva nelle tragedie greche), indica un percorso in tal senso. Ogni parte del coro ha infatti una funzione ben precisa in rappresentanza della popolazione che partecipa allo sviluppo del soggetto: gli uomini neri incarnano l’invadenza del potere ecclesiastico, con i suoi dogmi repressivi, gli innocenti richiamano alla mente i bambini abbandonati dalle madri, i paesani le privazioni e la difficoltà del vivere in una Sicilia ancestrale e senza connotazione di tempo realmente individuabile. Tutti, dai coristi ai protagonisti stessi dell’opera, fanno riferimento alla Donna di Veleni, si raffrontano e chiedono consigli e soluzioni a lei, la temono e si comportano insomma come farebbe un indigeno nei confronti del santone del proprio villaggio. Maria e Ruggero, gli unici personaggi che hanno un nome nell’economia del libretto, danno sostanza drammatica alla vicenda. La prima è innamorata di un uomo al quale non si ricongiungerà mai (l’Amante) ed è per di più costretta a vivere, per una colpa passata, nell’orbita della pubblica carità, in un ospedale degli innocenti; Ruggero è un nobile, che si innamora di lei e la desidera a tutti i costi strappandola forzatamente dalle braccia del suo Amante, abusa di lei e la costringe a sposarlo. A questi punti interviene la Donna di Veleni, la figura attorno alla quale, nell’universo ambientale oscuro di questa Sicilia arcaica, gira ogni cosa. Non è una strega, né una maga, ma una donna che passa per essere la sapiente che risolve ogni problema. A lei si rivolgono anche i due sposi: sia Maria, la donna che è vittima di violenza e vuole pertanto vendetta chiedendo una pozione che avveleni il suo persecutore, sia Ruggero, il violento che non riuscendo a esprimere il proprio amore se non con la sopraffazione e la possessività pur desiderando che Maria si innamori di lui, vuole un filtro che induca la donna ad amarlo veramente. Due richieste opposte, alle quali la Donna di Veleni risponde così: “nulla di per sé è veleno, ogni veleno porta il suo contrario, ora è il male ora è il bene, spetta a voi sceverarlo”; ossia li spinge a cercare una soluzione che si avrà bevendo da una medesima coppa, spingendoli in tal modo a guardarsi dentro per analizzare ciò che realmente si desidera e che veramente si è, al fine di sancire la “scelta tra la morte e la vita”. Alla soluzione dei consigli richiesti questa “maga” sapiente risponde quindi con una cura che guarda oltre la contingenza pratica. Questa metafora introspettiva porta l’uomo, Ruggero, a decidere di avvelenarsi pur di rinunciare al suo amore e la donna, Maria, a veder il seduttore morire lasciandola per nulla appagata dal realizzato desiderio di vendetta, bensì in uno stato di prostrazione che la condurrà, svuotata di ogni forza, verso la Donna di Veleni che la prende per mano e l’accompagna verso un nuovo futuro che non ci è dato sapere quale sarà, certo non quello dell’unione coll’Amante al quale era stata strappata e che, non a caso, assiste attonito alla sua uscita di scena. Un finale sospeso, perfettamente rispondente alla metafora che il libretto intende trasmettere nel dire che ciascuno di noi non segue un percorso di conoscenza idealmente sapienziale ma mira a raggiungere finalità personali secondo i propri desideri e aspirazioni, senza che essi siano necessariamente vicini alla vera essenza dell’esistenza. In questo contesto la Donna di Veleni diviene una sorta di sacerdotessa dello spirito e dell’esistenza stessa, una Dea Madre connessa alla natura e all’origine di ogni cosa, “carica d’anni e di esperienza”, come dice il libretto stesso. Un essere senza tempo e un personaggio forse più spirituale che concreto, attorno al quale tutto ruota, a partire dalla concezione musicale stessa che è alla base della partitura di Marco Podda, poliedrica figura di cantante, medico-foniatra e compositore la cui musica, assai ecclettica nell’utilizzo delle forme e di una comunicazione sonora da lui stesso definita metalinguistica, guarda a diversi generi musicali e li reinterpreta con singolare personalità. L’ascolto che ne deriva è quello di un impianto per lo più tonale, con un’orchestrazione abilissima e meditata, che sembra procedere secondo un percorso frammentato e a fasci di particelle strumentali attente al particolare timbrico, pur lasciando che il canto liberi una cantabilità riconoscibile nei caratteri di un naturalismo che sfocia nel verismo e rende spesso la vocalità tesa, di non facile risoluzione nell’alternanza fra dissonanze e sonorità suadenti, ma sempre rispettosa della parola intonata. Uno stile che sembra richiamare suggestioni compositive che furono proprie a taluni lavori teatrali dei compositori italiani della cosiddetta generazione dell’Ottanta, ma che cela anche inaspettati puccinismi.

A fare le spese di una vocalità spesso assai complessa sono la Maria del soprano Júlia Farrés-Llongueras e il Ruggero del tenore Danilo Formaggia, entrambi assai bravi sul versante scenico ma in possesso di vocalità non del tutto rispondenti alle esigenze delle parti; lei per un timbro ingrato e un peso specifico vocale alquanto ridotto e privo della necessaria espansione lirica, lui per una declamazione che avrebbe richiesto un tenore più scolpito e robusto che abile nelle tenerezze amorose che comunque, quando riescono a farsi strada, lo mettono a proprio agio assai più che nella martellante incisività degli accenti richiesti. Giganteggia su tutti Paoletta Marrocu, che per temperamento, pienezza di mezzi vocali e perfetta adesione al carattere del personaggio fa della Donna di Veleni una creazione interpretativa e vocale illuminante; evita opportunamente ogni esteriore gestualità per trasmettere, attraverso gesti calibrati e consapevolmente assimilati, il significato altamente archetipo di una figura che sulla scena rappresenta la forza e il respiro della vita, incarnando in ogni femminino l’origine e l’essenza stessa di ogni cosa. Il cast si completa con l’eccellente prova del tenore Matteo Mezzaro nei panni dell’Amante. Ottimo il contributo della parte corale, con il Coro San Gregorio Magno, il Coro di voci bianche del Teatro Coccia e i solisti della Accademia AMO del Teatro Coccia che danno voce ai paesani, ai giovani e ai ragazzi, così come quella orchestrale affidata al Dèdalo Ensemble diretto con concentrazione e pulizia di suono da Vittorio Parisi.

A dare completezza al valore dell’operazione contribuisce il raffinato spettacolo curato dalla regia di Alberto Jona, fondatore del Controluce Teatro d’Ombre. L’immaginario visivo di Cora De Maria e Jenaro Meléndrez Chas, la scenografia di Alice Delorenzi e le sagome originali di Cora De Maria offrono una quadro visivo che ben declina la poca azione dell’opera, svolta su un praticabile che funge prima da letto e poi da altare dove appare la Donna di Veleni da una porta aperta al centro di un grande cerchio zodiacale, con velari e riquadri dove invece, attraverso un suggestivo gioco di ombre, viene sviluppato il secondo piano narrativo dell’opera, quello che trascende il reale e racconta il non detto, i pregiudizi, i ricordi e le memorie che affastellano la mente dei personaggi e l’ambiente stesso di una Sicilia senza tempo, luogo dei fantasmi del nostro subconscio. Un doppio versante narrativo che mai disturba, anzi valorizza la dimensione nascosta ed emozionale che è poi la vera anima di questo racconto e del libretto stesso, divenendo riflesso psicologico delle ansie che vivono i personaggi, vittime di loro stessi ma anche di un ambiente corroso dal pregiudizio e da una diffusa paura collettiva che ha radici antiche.
Pubblico numeroso e attento, che al termine dello spettacolo, la cui durata si aggira attorno ad un’ora e mezza senza intervalli, ha lungamente applaudito gli interpreti e gli autori di questa prima assoluta.

Teatro Coccia Novara – Stagione 2019/20
DONNA DI VELENI
Opera in un atto
Libretto di Emilio Jona
Musica di Marco Podda
Prima esecuzione assoluta

Maria Júlia Farrés-Llongueras
Ruggero Danilo Formaggia
Donna di Veleni Paoletta Marrocu
Amante Matteo Mezzaro
Paesani, giovani, ragazzi Solisti dell’Accademia AMO del Teatro Coccia
Ombristi Alice De Bacco, Anna Guazzotti, Pierre Jacquemin

Dèdalo Ensemble
Coro San Gregorio Magno
Direttore Vittorio Parisi
Maestro del coro Mauro Rolfi
Coro delle voci bianche del Teatro Coccia
Maestri del coro Paolo Beretta e Alberto Veggiotti
Regia Alberto Jona
Immaginario visivo Cora De Maria e Jenaro Meléndrez Chas
Scenografia Alice Delorenzi
Sagome originali Cora De Maria
Produzione Fondazione Teatro Coccia in collaborazione con
Controluce Teatro d’Ombre
Con il sostegno di Clinians
Teatro Coccia Novara, 14 febbraio 2020

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