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Napoli, Teatro San Carlo – Gala Mozart e Belcanto

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Ben venga nei teatri lirici il format in streaming della serata di gran Gala, sorta di ascolto in snippet dal grande repertorio, se la sfilata con alcune delle migliori voci dello star-system internazionale ha il doppio merito di accordarsi alla storia identitaria del contenitore e di riuscire a fare spettacolo concentrando le proprie luci sulla potenza assoluta dei pentagrammi, esaltandone il fuoco dello stile e della tecnica, gli accenti, le emozioni. Al di là delle prove più o meno centrate e dunque convincenti nel percorso specifico. È quanto emerge dal Gala Mozart e Belcanto proposto in streaming sulla pagina Facebook dal Teatro San Carlo di Napoli, dopo l’ampio successo della Cavalleria rusticana di Mascagni in forma di concerto, dal 10 al 13 dicembre e parimenti al costo simbolico di 1 euro e 9 centesimi, totalizzando in prima serata poco più di 2000 visualizzazioni.

Pertanto non un’opera, stavolta, ma una carrellata di Sinfonie d’opera, arie e duetti più un Coro per un totale di quindici numeri ritagliati d’un fiato tra l’ultimo Settecento del Mozart tratto dai primi due titoli della Trilogia dapontiana e il Belcanto italiano del primo Ottocento diviso entro l’aurea terna Rossini, Bellini (finalmente in primo piano) e Donizetti. Implicitamente non dimenticando la presenza ai vertici musicali del primo e dell’ultimo al San Carlo, anche ben oltre la fondamentale tradizione delle opere in cartello, quindi ricordando del compositore catanese la formazione partenopea presso il Real Collegio di Musica di San Sebastiano (poi “San Pietro a Majella”), nell’elenco degli allievi-maestri di cappella con il nome di “Bellino” e con profitto “ottimo” come da documento manoscritto del 1825 conservato tra i fasci dell’Archivio di Stato di Napoli. A completare forma e forza del programma, le voci in primo piano – Maria Agresta, Ildar Abdrazakov, Nadine Sierra, Pretty Yende, Francesco Demuro – al fianco di Orchestra e Coro della Fondazione diretti da Giacomo Sagripanti nel migliore stile, va detto e sottolineato, dell’opera italiana. Il tutto registrato una settimana prima, in data 3 dicembre.

Sia pur al vaglio di una qualità sonora e percettiva solo di massima, considerata l’inevitabile distanza dalle prospettive di suono e relativi dettagli di un’acustica dal vivo, s’intende subito con chiarezza che a garantire il filo di coesione e tensione dell’intera impresa è il gesto musicale di Giacomo Sagripanti che dal podio, con competenza di stile e briglie sempre ben strette, spinge, colora e governa al contempo le singole tessere e la sapiente cornice d’insieme. Bastano già solo gli esiti posti in debita evidenza e in diversa esposizione nel restituire le tre prescelte Sinfonie d’opera: la vitalissima Sinfonia d’apertura dalle Nozze di Figaro di Mozart, scolpita con affilata precisione degli attacchi, piglio ritmico serrato e concertazione dal sapido scontorno dinamico; la Sinfonia della Norma di Bellini che incanta per la dolcezza purissima unita alla rapinosa plasticità in crescendo delle sortite drammatiche; la Sinfonia da I Capuleti e i Montecchi, di pari autore, dallo slancio e dagli equilibri esatti. A ciò si aggiunga l’intesa magnifica con cui accompagna il canto, siglandone con rara cura e sapienza la cifra, così come nelle pregevoli sortite del Coro (in unione alla Preghiera “Casta diva”, in prima linea con l’estratto dall’atto II del Don Pasquale, “Che interminabile andirivieni”, o nel finale dell’ultima cabaletta di Lucia) istruito da Gea Garatti Ansini. Nell’organico dell’Orchestra della Fondazione si apprezza l’intera fila delle prime parti dei legni e si loda, in particolare, la prova eccellente di Bernard Labiausse, al primo flauto.

Le stelle ospiti, come prevedibile, filano e brillano una dopo l’altra, singolarmente o in duetto, sfoderando in pari misura il proprio peculiare arsenale fatto di pirotecnìe e prodigi vocali, fra volumi, estensioni, fiati e legati, colori e colorature, mezze tinte e virtuosismi di ogni respiro e sorta. Ciascuna sale in vetta, però, con precisi cammei, ovvero laddove l’estrema facilità e qualità del canto incontra oltre il guizzo fiorito o il salto acrobatico la più felice coscienza dello stile e della parola intonata.
A tal merito sorprendenti tutti gli interventi della bellissima americana Nadine Sierra, soprano di origini portoricane nata in Florida, oggi poco più che trentenne e artista dotata di una voce non solo ampia ma ricca e suadente come il velluto, morbida, perfettamente intonata e tecnicamente salda nel distillare tanto i diversi affetti quanto le agilità. La sua Zerlina accanto al Don Giovanni di Ildar Abdrazakov è scandita al contempo con smalto timbrico vivo e arrendevole dolcezza, svetta nel duetto dalle Nozze di Figaro con Pretty Yende e superlativa si rivela in chiusura di spettacolo nella grande scena ed aria della pazzia (“Ardon gl’incensi … Spargi d’amaro pianto”). Il rapporto tra realtà e follia, memoria e volo smarrito verso lidi lontani, così come gli incanti timbrici e di bravura della sua voce, si specchiano con perfezione teatrale e musicale assoluta. Fra il Larghetto e il Finale, la Sierra immensa Lucia costruisce infatti un unico, grande affresco entro cui sciogliere con fluido e romanticissimo sentire un delirio fatto di abbandoni lirici e di giovani ricordi spezzati, sfidando in dialogo serrato con il flauto pause e slanci all’acuto, trilli, appoggiature, acciaccature, vertigini e brividi, esatti passaggi e puntature in zona sovracuta, scale ascendenti, discendenti e un’imprevista, ultima volatina con fresca originalità presa dalla nota superiore. Al termine del suo mozzafiato “Spargi l’amaro pianto” si è avvertita come non mai la triste assenza di un meritatissimo scroscio di applausi.

Particolare è poi il caso di Pretty Yende, soprano sudafricano forte di un’estrema facilità nelle colorature all’acuto e di un’estensione tale da ricoprire non pochi ruoli da contralto o mezzosoprano d’agilità fra i quali, in via emblematica, quello di Rosina nel Barbiere di Siviglia di Rossini. La Cavatina “Una voce poco fa” è, nell’occasione, una presentazione efficace e diretta non solo della scaltra pupilla, ma della stessa voce della Yende, avvicinatasi alla lirica dopo un comprensibile colpo di fulmine per il Duetto dei fiori di Dèlibes, ampiamente pubblicizzato in sigla da uno spot della British Airways. Ferma restando infatti la disinvoltura con cui stacca e condisce entrambi i tempi di cavatina e cabaletta, lanciandosi nella libera farcitura di prodezze in linea con il funambolismo richiesto in passerella se il gala diventa gara di belcanto, diverge in realtà eccessivamente dallo stile e dalla scrittura del compositore attento comunque, è ben noto, a evitare attraverso la scrittura le fioriture centrifughe. Della serie, passi il potenziamento di acciaccature, note trillate, scalette, sospensioni e arpeggi, ma Pretty Yende arriva a sfidare le cento trappole di una pagina rossiniana già di per sé autoimprestito e riciclo su percorso analogo a quanto già toccato alla Sinfonia (dall’Aureliano in Palmira al Barbiere, passando con disinvoltura dal serio al comico nonché per l’opera di esordio sui palcoscenici napoletani, Elisabetta regina d’Inghilterra) portandola fin verso il tardo Ottocento: quello dei meccanici picchettati dell’aria dei campanelli dalla Lakmé o alla Offenbach (aria della bambola Olympia), innestandovi all’acuto note fuori tonalità (praticamente ultrasuoni) e persino la scaletta ascendente di Musetta quando finge nel suo Valzer il bruciore “Al piè”. Molto più centrata per lei, invece, risulta l’Adina del duetto “Esulti pur la barbara” dall’Elisir d’amore di Donizetti al fianco al tenore Francesco Demuro: brillante, luminosa e civettuola, perfetta per timbro e tempra. Significativo anche il confronto dei due soprani nella “Canzonetta d’amore” dalle Nozze di Mozart: deliziosamente a bersaglio la Susanna centrata dalla Sierra, così come tendenzialmente siderale nei suoi suoni la Yende.

A seguire c’è Ildar Abdrazakov, basso russo oggi all’apice delle classifiche mondiali in virtù di una voce immensa, non solo per estensione e sostanza, ma per la nobiltà di proiezione e ampiezza lungo l’intera linea del suo canto. Risulta ovvio che il personaggio che più gli si addice sia Don Giovanni (stando aall’alto rango da lui conferito al più celebre duetto della seduzione) e molto meno l’alter ego Leporello che, fedele com’è geneticamente alla maschera dello Sganarello di Molière, pur sempre servo e ruolo comico dovrebbe rimanere. Di conseguenza, nella sua ormai mitologica “Madamina, il catalogo è questo”, necessita di meno aria e di minore altisonanza fra i suoi decasillabi d’apertura dai quali salta fuori in parodia la diffrazione eroico-erotica delle imprese amorose del suo focoso padrone. Un capolavoro a sé è senz’altro la sua aria della calunnia di Don Basilio dal Barbiere di Siviglia di Rossini. A parte l’inspiegabile sostituzione dell’articolo determinativo “il” per “un colpo di cannone”, la subdola vertigine in crescendo prende forma tra fiati e risonanze impressionanti, deflagrando con qualità e corpo di suono persino esaltanti.

Per il registro tenorile la scelta è quindi caduta su un interprete ideale per il repertorio del primo Ottocento in esame: Francesco Demuro che, pur con qualche lieve segnale di affaticamento nella voce, ha dato conferma delle sue risorse molteplici già ampiamente apprezzate sul palco napoletano, a partire dal metallo pregiato, chiaro e pulito, dall’intonazione sempre ben ferma, dalle note lunghissime e dal vivo slancio di un fraseggio di grande scuola. I suoi nove, celebri do in “Ah! mes amis, quel jour de fête” dalla Fille du régiment di Donizetti sembrano in verità più di testa che di petto, ma le sonorità, le proiezioni e i passaggi sono condotti con una consapevolezza dei mezzi e dello stile che tanto raccolgono – in special modo nell’eccellente duetto tratto dall’Elisir – l’inossidabile eredità lasciata da Pavarotti. Analogamente mirabile è la Cavatina con Coro “A te, o cara” dai Puritani accanto alla Yende.

Notevolissima è poi la doppia lezione del soprano Maria Agresta, scesa in campo con il Donizetti del Roberto Devereux (“E Sara in questi orribili momenti….Vivi, ingrato, a lei d’accanto”), di tessitura assai impervia, e il Bellini della Norma, con “Casta diva”. Sia nel primo che nel secondo caso, il soprano campano si distingue per un’interpretazione che sa come far tesoro e restituire tutte le migliori gemme interne ai pentagrammi del Belcanto italiano, conferendo massimo scavo al testo poetico-drammatico per poi sublimarne significati e significanti attraverso un canto che è recitazione, espansione lirica e preghiera. Mille sono le sfumature di suono e colore, grande la forza espressiva in zona centrale, lunari la luce e le trasparenze all’acuto. Il suo controllo dell’emissione e delle dinamiche è straordinario, così come dimostra a ogni nota in una “Casta diva” tagliata a punta di diamante.
Infine, se si esclude un disguido minimo dello streaming con blackout e rinvio da uno schermo Mac durante la prima aria della Agresta, solo due stavolta i nei della ripresa: l’eccessivo buio per una delle sale più belle al mondo e il mancato accento in didascalia sulla preposizione “Là” per il duetto fra Don Giovanni e Zerlina. Applausi virtuali, per tutti, dai commenti postati al termine.

Teatro San Carlo di Napoli 
GALA MOZART E BELCANTO
Musiche di Wolfgang Amadeus Mozart, Gioachino Rossini,
Gaetano Donizetti, Vincenzo Bellini

Francesco Demuro, Maria Agresta, Ildar Abdrazakov,
Nadine Sierra, Pretty Yende

Orchestra e Coro del Teatro di San Carlo
Direttore Giacomo Sagripanti
Maestro del coro Gea Garatti Ansini

Registrato dal vivo il 3 dicembre 2020
in streaming Facebook il 10 dicembre 2020

 

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