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Napoli, piazza del Plebiscito – Tosca

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Mira in alto e pensa in grande stile, fra organizzazione degli spazi, caratura stellare degli ospiti e potenza degli esiti nonostante la semplice forma di concerto con accenni semi-stage, la ripartenza dell’opera dal vivo per Napoli con targa Teatro San Carlo, proposta lungo l’ultimo scorcio del luglio 2020 e dalla più grande piazza della città, quella del Plebiscito, già Largo di Palazzo dalla gloriosa storia in termini di scettro e spettacolo fra parate, cerimoniali di corte, fiere firmate da Antonio Ioli, cori con illuminazione a giorno, gigantesche cuccagne e macchine di fuochi. Ripartenza staccata da una serrata terna di titoli (Tosca, Aida e Nona Sinfonia di Beethoven) a incipit del nuovo corso guidato da Stéphane Lissner e possibile dopo i mesi di chiusura forzata per l’emergenza Covid grazie al generoso contributo staccato dal governatore Vincenzo De Luca entro il milionario progetto Campania Regione Lirica. Ed è così che, nel rispetto delle previste distanze di sicurezza sanitaria fra gli artisti e le centinaia di spettatori, la Fondazione napoletana è scesa di nuovo in campo con le sue compagini artistiche restituendo in prima battuta, da un palcoscenico di dimensioni faraoniche e dinanzi alla maestosità del Palazzo Reale, una Tosca pucciniana per molti versi memorabile, se non altro per il pregio e l’impatto dei tre assi canori chiamati per la prima volta nei luoghi di Partenope a darvi forma: Netrebko, Eyvazov,Tézier.

A onor del vero, resta il rammarico di un tale, triplice colpo grosso d’esordio, al di fuori delle mura del teatro, con tutti i disagi acustici del caso: fuochi d’artificio alla prima, ambulanza a sirene spiegate alle spalle del coro in seconda serata, rumori di strada, filtro estraniante, se non distorcente, del sistema di amplificazione applicato a voci e strumenti, quindi, inevitabile distacco e appiattimento fra i suoni. Quanto all’assenza delle scene, invece, la straordinaria forza gestuale ed espressiva di tutti i protagonisti al proscenio ha tranquillamente sopperito all’esigenza di un eventuale contenitore registico e scenografico, soprattutto pensando alle disarticolazioni visive dell’ultima, recente Tosca sancarliana in stile “Gomorra” firmata dal cineasta Edoardo De Angelis, per quanto abbinata alle pregevoli installazioni d’arte di Mimmo Paladino.

Fonicamente scremando il metallo innaturale del medium sonoro dai diversi apporti delle voci sul palco e ben riconoscendo, alla base, il saldo regime orchestrale garantito dal sempre assai rigoroso Direttore musicale – purtroppo uscente – Juraj Valčuha, apprezzabile in special modo nel fuoco di una vivissima tensione metrico-ritmica e drammatica pur nell’impossibilità di cesellare e far emergere sfumature dinamiche o prossemiche dall’organico strumentale, e tanto meno dal Coro preparato da Gea Garatti Ansini, chiarissimo è risultato l’indirizzo interpretativo conferito al proprio personaggio da ciascun interprete, fra pentagramma e dramma.

La Floria Tosca di Anna Netrebko, fin dal suo arrivo in abito lungo con velo in pizzo color perla, ricercando per tre volte a gran voce il suo “Mario!” e facendosi largo fra gli archi verso il proscenio con passo deciso e andatura di sdegno, scolpisce con sguardo di rimprovero e timbro scuro una donna gelosa e sanguigna, quasi una Santuzza del Sud, con ogni probabilità ben consapevole della fascinazione verista presente in filigrana nella Tosca pucciniana, per poi scavare tra le mille pieghe di un’estensione a due ottave piene, miste di recitazione e canto quanto in bilico fra il sacro e il profano. Il suo incontro con Cavaradossi, vocalmente, ne traduce la cifra e la tempra indomita, di forza rara. Così come la generosa emissione di canna, il legato morbidissimo e in particolare la lucentezza dei suoi acuti, belli, folgoranti ma sempre rotondi, di potenza inaudita. In zona medio-grave le tinte tendono invece a ispessirsi e a coprirsi, svelando del ruolo ombreggiature perfino più cupe. Mentre il rapporto con la parola drammatica, in assoluto, in lei resta costantemente catalizzato dall’elemento primo della musica. L’apice della Floria-Netrebko coincide senz’altro con l’intero atto centrale, a Palazzo Farnese, in abito di velo rosso a cinta alta, simil-impero, e allo scontro con la subdola lascivia di Scarpia. Un’arcata di alta densità lirico-drammatica che trova il suo coronamento espressivo in un “Vissi d’arte” dall’affondo intimo e profondamente dolente, vibrato attraverso un’impressionante gestione dei fiati. I colpi di pugnale, la lezione di recitazione al suo Mario condannato a morte e il salto giù in platea, in abito scuro anziché da Castel Sant’Angelo, ne hanno poi ribadito il carisma attoriale, fra gli accesi entusiasmi del pubblico.
Viceversa assai attento alla dizione e al peso delle parole sulla musica è stato il compagno di vita e di arte Yusif Eyvazov, un Cavaradossi dalla tinta chiara e persino da amante-eroe primo-romantico, propenso ad allargare i suoni e ad esaltarne il senso attraverso fiati interminabili. La sua aria di esordio prima dell’arrivo di Tosca, “Recondita armonia”, non entusiasma particolarmente ma in crescendo, ruolo e voce, prendono gran quota a seguire, con screziature anche in lui, qua e là, da Cavalleria. La sua romanza cult “E lucevan le stelle”, con pregevole assolo del primo clarinetto, avvolge “con grande sentimento” e lunghissimi accenti, come un immenso abbraccio d’antica memoria, l’ampio emiciclo stretto fra il Palazzo Reale e la chiesa di S. Francesco di Paola.
Un discorso a parte merita il baritono Ludovic Tézier, penalizzato solo marginalmente dal microfono poiché il suo canto è nobilmente e costantemente al riparo da forzature e azzardi, nonostante la natura violenta del personaggio e nonostante la performance di piazza. Grazie alla superba padronanza della sua tecnica e all’omogeneità del registro, Tézier mette perfettamente a segno, senza sbavature né eccessi superflui, un barone di perfidia sottile e, stilisticamente, pucciniano doc.
Completavano il cast il Sagrestano del bravo Sergio Vitale, l’Angelotti di un eccessivamente drammatico Riccardo Fassi, lo Spoletta del sempre affidabile Francesco Pittari e lo Sciarrone di Domenico Colaianni.
Una nota di merito spetta infine al Coro di voci bianche della Fondazione, istruito da Stefania Rinaldi, e al piccolo, rigoroso interprete dello stornello in dialetto al levarsi di una delicatissima alba romana, ma all’ombra del Vesuvio e stretta fra i luoghi più belli di Napoli.

Teatro San Carlo – Stagione Estiva 2020
TOSCA
Melodramma in tre atti
Libretto di Luigi Illica e Giuseppe Giacosa
Musica di Giacomo Puccini

Floria Tosca Anna Netrebko
Mario Cavaradossi Yusif Eyvazov
Il Barone Scarpia Ludovic Tézier
Cesare Angelotti Riccardo Fassi
Il Sagrestano Sergio Vitale
Spoletta Francesco Pittari
Sciarrone Domenico Colaianni

Orchestra e coro del Teatro di San Carlo
Coro di voci bianche del Teatro di San Carlo
Direttore Juraj Valčuha
Maestro del coro Gea Garatti Ansini
Esecuzione in forma di concerto
Napoli, 26 luglio 2020

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