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Napoli, piazza del Plebiscito – Nona Sinfonia di Beethoven

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Per quanto l’acustica amplificata all’aperto notoriamente non renda giustizia né alla lirica né tantomeno alla sinfonica o al genere sinfonico-corale, dunque alla classica in genere, restituendo un boomerang di suoni tappati, snaturati e talvolta mixati con immancabili distorsioni gracchianti, la lettura dei dettagli in partitura non arriva se alla fonte e alle spalle del medium fonico penalizzante lo scavo non c’è o in realtà è relativo, né si evince l’abituale lavoro di cesello data forse per scontata l’alta percentuale di dispersione acustica nell’aria.
La riflessione nasce spontanea ponendo inevitabilmente a confronto gli esiti messi a segno a stretto giro dal Teatro San Carlo di Napoli entro l’imponente terna di spettacoli (Tosca, Aida e Nona Sinfonia di Beethoven) al ritorno dal vivo post-Covid possibile grazie al lauto finanziamento della Regione Campania e in primo piano puntando sulle ugole d’oro, con due diverse bacchette ma dalla stessa piazza del Plebiscito e con le medesime maestranze interne alla Fondazione. Il che vale in special modo per l’opera 125 “Corale”, monumentale pagina di repertorio frequentemente giocata dalla formazione sancarliana nelle varie trasferte in esterna e qui spesa ancora una volta, in chiusura e a coronamento dell’impresa di piazza, con la direzione della guida principale uscente Juraj Valčuha accanto a un buon poker di voci soliste: il soprano Maria Agresta, il mezzosoprano Daniela Barcellona, il tenore Antonio Poli e il basso-baritono Roberto Tagliavini.

Vuoi la giornata dall’umidità impossibile e dalle temperature particolarmente elevate, vuoi la stretta serrata degli spettacoli fra Napoli e decentramenti vari in provincia, la Nona prodotta è per tre quarti scivolata dritta e a gran velocità tagliando il traguardo in sessanta sui circa settanta minuti canonici, fermi restando i venticinque, o quasi, per l’immenso finale. Le pulci al metro servono qui, in verità, per seguire e comprendere il taglio prevalentemente cinetico impresso all’intera architettura, attraversata pur con rigore di tenuta e attenzione agli incastri ma, nel complesso, pensata in stile brillante viennese mirando in via prioritaria verso un’unica mèta al climax, la Freudenmelodie, ossia quell’inno alla gioia schilleriano al quarto movimento enunciato in crescendo dall’orchestra e cantato nei passi scelti da Beethoven dalle voci soliste e dal coro, innalzandovi una massiccia doppia fuga con chiusura trionfale. Lungo il percorso, fino a quel momento, timbri, torniture dinamiche e accenti non lasciano più di tanto il segno, per quanto a fronte di una partitura “portale” che sin dalle prime battute apre spazi e orizzonti inediti consegnando, in formula sorprendente, le chiavi per il sinfonismo moderno, con quell’arcano caos sive natura presente nel pensiero nietzschiano e a rimbalzo negli altissimi poemi sinfonici del tedesco Strauss, al contempo sublimando in emblematica soluzione di sintesi trasversale forme, stilemi, concetti e linguaggi. Ossia innesto e interazione fra il canto dei soli e del coro entro l’impianto sinfonico secondo un format già comunque rodato nella Francia post-Rivoluzione ‘89, attivando un recitativo drammatico ma per assegnarlo agli archi gravi che teatralmente nel quarto tempo incorniciano, come a voltarsi indietro per guardare e riflettere rapidamente sui propri passi, le brevi reminiscenze o flashback della vita trascorsa nei primi tre movimenti appena ascoltati, l’ebrezza della danza dionisiaca e lo sfolgorìo della banda turca, la tecnica della variazione, la forma-sonata espansa, il canone e la fuga, la monumentalità oratoriale händeliana, lo stile chiesastico, il rivoluzionario afflato di libertà, gioia e fratellanza massonica. Un mondo impressionante, in pratica, che non può saltare fuori nella propria polidimensionalità se la restituzione vola veloce su strada univoca e orizzontale, seppure con pertinente chiarezza ben poggiata sul cardine di una gioia illuministicamente intesa quale slancio vitale. Ma nulla di più. D’altra parte, e non a caso, Wagner avrebbe scelto di far eseguire la Nona di Beethoven per celebrare la posa della prima pietra del suo Festspielhaus di Bayreuth, nell’anno 1872, idealmente agganciando attraverso il virtuale nesso drammaturgico l’estremo esperimento sinfonico classico all’avveniristica totalità del Wort-Ton-Drama.

I primi minuti della serata sono intanto staccati da un altro inno, quello di Mameli, perché fra il pubblico c’è il presidente della Camera dei deputati, Roberto Fico. Pochi istanti e parte quindi anche il Beethoven dell’op. 125 con un “Allegro ma non troppo, un poco maestoso” tagliato a colpi netti e a dinamiche ferree, con buona presa sugli archi tra scrittura puntata, ostinata e sforzata ma poco respiro per i fiati che, al di là del contributo meramente ritmico-strumentale, non emergono con il debito peso espressivo, così come poco rimbalza la forza di suono dei timpani. Lo scherzo in forma-sonata “Molto vivace-Presto” è parimenti martellato al millesimo, ottimo nello scontorno della cellula di testa ma nello sviluppo a canone governato con polso apollineo più che con guizzo dionisiaco, ai limiti del ripetitivo per quanto in linea con la razionalità che in tale secondo movimento cerca di imbrigliare le insondabili atmosfere stagliate in apertura. E così il Trio bucolico in re maggiore dei legni, nonostante la bella perorazione degli archi, assume in girotondo il senso di una monotona filastrocca infantile laddove per eludere il troppo facile loop, ad esempio, Thielemann ne sfuma i piani come un’eco pastorale lontana mentre Muti ne rallenta il corso, sostanziando l’apporto dei fagotti. In terza battuta, e dunque in posizione anomala, il movimento lento (“Adagio molto e cantabile”) in si bemolle maggiore non può, dopo tanta carica energetica, che rappresentare una grande pagina estatica articolata in sei variazioni più coda. Ed è così che Juraj Valčuha la disegna, stemperando colori da Rosamunde schubertiana (entr’acte n. 3), neanche a dirlo coeva, quindi creando un’oasi di luce e dolcezza fra l’idea ritmico-melodica di clarinetti più fagotti e il tema cantabile vero e proprio dei violini primi “a mezzavoce”, attraverso cui prendono vita le variazioni e, con esse, il ritorno alla tempra dalla razionale scansione metrica.

La fanfara del terrore, così come ebbe a definirla Wagner, prepara con vigore sferzante l’ascesa verso l’unione di parole e note, dando prima, però, giusta e salda forma al recitativo strumentale, alle tre reminiscenze, all’abbozzo dell’inno schilleriano ai legni e alla consegna dell’alto messaggio (con aereo incorporato) nelle mani dell’intera massa orchestrale. Alla ricapitolazione risponde incisivo l’esordio in recitativo ampiamente proiettato dal basso-baritono Roberto Tagliavini, veramente mirabile nel fondere all’interno del suo intervento saldo temperamento e nobiltà dello slancio, bellezza timbrica e intonazione d’acciaio, cui fa da controparte la resa corale purtroppo pressata e qui particolarmente penalizzata dall’effetto dei microfoni. Il quartetto, invece, ben gestisce i suoni e intreccia le diverse funzioni dividendosi fra l’argento vivo garantito dagli squilli luminosi del soprano Maria Agresta, le rotonde armonie centrali con precisione assestate dal magnifico mezzosoprano Daniela Barcellona, le vette limpide ed eroiche toccate dal talentuoso tenore Antonio Poli e il sostegno fidato e tuonante di Roberto Tagliavini. Il cammeo “alla marcia” con banda turca e ottavino ottimamente in prima linea, si avvantaggia della bella e solidissima lama tenorile di Poli, il fugato strumentale a seguire assume vagamente il piglio di una tarantella e al termine si sfocia, oltre il plastico recitativo corale e la temibile doppia fuga, in un migliore equilibrio fra le parti lungo le ultime duecento battute, fino all’unione somma dei solisti con il Coro misto preparato da Gea Garatti Ansini e l’Orchestra, al culmine nel pieno regime sonoro dello sfolgorante Presto finale.

Teatro San Carlo – Stagione estiva 2020
Progetto Regione Lirica
Ludwig van Beethoven
SINFONIA N. 9 in re minore, op. 125 “Corale”

Soprano Maria Agresta
Mezzosoprano Daniela Barcellona
Tenore Antonio Poli
Basso Roberto Tagliavini

Orchestra e Coro del Teatro di San Carlo
Direttore Juraj Valčuha
Maestro del coro Gea Garatti Ansini
Napoli, piazza del Plebiscito, 30 luglio 2020

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