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Milano, Teatro alla Scala – Il turco in Italia

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Il Turco in Italia o della vacuità e levità della trasgressione fine a sé stessa. Così Massimo Mila in un saggio dedicato al capolavoro rossiniano, scritto all’indomani della prima ripresa moderna dell’opera, a Roma nel 1950, significativamente intitolato “Manifesto di dolce vita”. Il grande studioso ne spiegava il successo alla luce del clima culturale di quegli anni, caratterizzato dall’ebbrezza di una ritrovata fiducia nel presente a pochi anni dalla fine della guerra. La capitale si presentava come polo attrattivo del turismo estero, che ne affollava le strade del lusso e del divertimento alla ricerca di svago, un po’ come fa il turco Selim che, appena sbarcato, si invaghisce, ricambiato, della bella sorrentina Fiorilla. Tutt’altro clima si respirava alla Scala per la prima del nuovo allestimento del Turco in Italia, andato in scena proprio nelle ore in cui montava la psicosi da Coronavirus, argomento d’obbligo per le chiacchiere nel Foyer. Fortunatamente, la musica di Rossini ha uno straordinario potere taumaturgico, almeno sull’animo, e per tre ore abbondanti ha consentito al folto pubblico di evadere dal clima surreale che si respirava fuori.

Roberto Andò, che firma la regia, confeziona uno spettacolo gradevole e scorrevole, non privo di momenti divertenti o suggestivi, come nella festa in maschera del secondo atto. Questo grazie anche alle belle scene di Gianni Carluccio, che cura pure le calde luci: siamo in una Napoli (o Sorrento) dove il mare, col suo ampio orizzonte, è sempre presente sullo sfondo, nel luccicare delle onde che si stagliano contro il cielo. La città è evocata dalle facciate di sobri edifici dai colori pastello che scivolano ai lati del palco; tre botole e due “carrelli” scorrevoli trasportano o rapiscono i personaggi, spesso evocati o accompagnati nel loro muoversi da Prosdocimo, vero deus ex machina dell’intreccio, reso ancor più importante nella prospettiva registica di Andò. Il poeta alla ricerca di una storia accattivante per il suo nuovo dramma, alter ego del librettista Felice Romani, è spesso presente sulla scena, anche quando non canta, commentando con i gesti le bizzarrie degli amanti che si inseguono e si punzecchiano a vicenda. La dimensione metateatrale è ulteriormente lambita quando Prosdocimo e don Geronio scendono in platea, coinvolgendo il pubblico nel loro battibecco.
Bellissimi i costumi di Nanà Cecchi, che aiutano a collocare la vicenda al primo Ottocento di quando l’opera venne scritta, mentre ho trovato discutibili i video di Luca Scarzella: nel finale primo atto risultano quantomeno superflui, mentre quando proiettano la nave di Selim, sembrano richiamare più un vascello fantasma che non una possente nave ottomana. A fronte di una generale sensazione di piacevolezza, l’impressione è che si tratti di uno spettacolo in fondo un po’ datato, che sceglie la strada quieta di una sobria ironia ed evita accuratamente di farsi sollecitare dalle zone d’ombra della storia che Rossini (e Romani con lui) pure sottolineano.

Ottimo nel complesso il cast di canto. A cominciare dalla Fiorilla di Rosa Feola, che si conferma sempre più artista di vaglia per la limpida bellezza di un timbro chiaro e luminoso, piegato a un’espressività misurata ma proprio per questo puntuale nel restituire la vezzosità della dama piuttosto che la malinconia della moglie. Precisa e intonata, affronta con scioltezza i temibili virtuosismi dell’aria del secondo atto, è efficacissima nei recitativi, musicalissima nel dispiegare la melodia. Al suo fianco, ben figura il Don Geronio mai sopra le righe di Giulio Mastrototaro, malinconico e simpaticamente burbero, dotato di bella voce baritonale, omogenea, rotonda e sonora. Diversa da quella più scura di Alex Esposito, come sempre teatralissimo nei panni di un Selim altero e determinato; grande fraseggiatore, il basso bergamasco dà tuttavia l’impressione di non essere stato stimolato al massimo delle sue notevoli potenzialità dalla regia. Si diverte e fa divertire il Prosdocimo di Mattia Olivieri, che con la carica dirompente della sua innata simpatia conquista il pubblico, tanto più che la voce è bella ed estesa e l’interprete convincente. Perfetto per il ruolo del cicisbeo don Narciso il tenore Edgardo Rocha, la cui scura tornitura di voce ben si adatta alla scrittura rossiniana. Apprezzabile il contributo di Laura Verrecchia nei panni di Zaira, così come ha fatto bene il giovane Manuel Amati in quelli di Albazar. Eccellente, come sempre, il coro della Scala istruito da Bruno Casoni.

Resta da dire della direzione di Diego Fasolis, che non convince del tutto. La lettura del maestro svizzero è improntata a sonorità eccessive, soprattutto nelle sezioni di fiati e ottoni, con qualche problema per le voci, che risultavano talvolta coperte. I tempi, poi, sono quantomeno singolari, con qualche scollamento tra buca e palcoscenico. Di certo, l’orchestra esibisce un bel suono e Fasolis indugia nel sottolineare le raffinatezze della scrittura con un innegabile gusto. Tuttavia, si perde quella leggerezza che a nostro avviso deve essere sempre la cifra distintiva del genio buffo rossiniano, andando così a scapito della continuità e vivacità narrativa.

Teatro alla Scala – Stagione 2019/20
IL TURCO IN ITALIA
Dramma buffo per musica
Libretto di Felice Romani
Musica di Gioachino Rossini

Selim Alex Esposito
Donna Fiorilla Rosa Feola
Don Geronio Giulio Mastrototaro
Don Narciso Edgardo Rocha
Prosdocimo Mattia Olivieri
Zaida Laura Verrecchia
Albazar Manuel Amati

Orchestra e Coro del Teatro alla Scala di Milano
Direttore Diego Fasolis
Maestro del coro Bruno Casoni
Regia Roberto Andò
Scene e luci Gianni Carluccio
Costumi Nanà Cecchi
Video Luca Scarzella
Nuova produzione Teatro alla Scala
Milano, 22 febbraio 2020

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