Londra, Royal Opera House – Fidelio (con Jonas Kaufmann)
C’era molta aspettativa per uno degli eventi musicali dell’anno, ovvero la prima di una nuova produzione di Fidelio alla Royal Opera House, all’interno delle celebrazioni per il 250° anniversario della nascita di Ludwig van Beethoven. Questo non solo per la ricorrenza in sè, ma soprattutto per la presenza di un cast stellare a cominciare dalla mega star Jonas Kaufmann, affiancato dell’acclamata star emergente Lise Davidsen. Le attese non sono state tradite, almeno per quanto concerne il canto e l’esecuzione musicale, nonostante una messinscena discontinua e in parte contestata.
Per questa occasione è stato proposto un nuovo allestimento firmato dal regista tedesco Tobias Kratzer. Nella sua visione, Fidelio è un’opera strutturata su due atti completamente agli antipodi, due metà ineguali: il primo atto è una sorta di dramma domestico-borghese con risvolti psicologici, mentre il secondo è un vero e proprio saggio politico che tocca temi molto più ampi e senza tempo, come il bisogno di empatia e umanità. Anche visivamente l’impostazione è completamente differente. Il primo atto è un period piece piuttosto convenzionale ambientato nella Francia post rivoluzione sul finire del Regime del Terrore (invece che in Spagna, che secondo Kratzer, venne scelta da Beethoven come mero espediente per evitare la censura). Viene ricostruito dallo scenografo Rainer Sellmaier con dovizia di particolari, il cortile di un carcere di stato color carbone dove, da un lato, domina una gigante bandiera francese mentre dall’altro, una porta cela due stanze dall’arredamento curato nei dettagli, che fuoriescono sul palcoscenico quando necessario. Sellmaier firma anche deliziosi costumi d’epoca dove dominano tinte scure o pastello. A completare un quadro esteticamente ricercato, un magnifico cavallo di razza entra in scena con Don Pizarro-Robespierre in sella, ed effetti pittorici creati dalle luci a comparsa laterale di Michael Bauer. Dopo l’intervallo, l’alzata del sipario lascia spazio a una scena radicalmente mutata: una larga roccia occupa la scena su cui vi è disteso Florestan incatenato. Intorno, seduti a semicerchio, i membri del coro in abiti moderni e vagamente funerei. Sullo sfondo una parete bianca asettica su cui spicca un portone (almeno questo d’epoca). Il tutto e’ illuminato da luci brillanti e da un neon a contorno della scena, che alcuni spettatori hanno ritenuto abbagliante. Il coro assiste impassibile e indifferente alla sofferenza del prigioniero. Nella lettura di Kratzer, quel coro siamo tutti noi, insensibili alle sofferenze altrui dei tanti prigionieri d’oggi giorno. Forse a ribadire il concetto, ma con un espediente che causa non poca distrazione (e dissenso), vengono proiettati sulla parete i video di Manuel Braun con le espressioni dei testimoni attorno a Florestan, con tanto di signora che sgranocchia una cioccolata. Francamente una trovata inutile che distrugge la drammaticità del momento e che non aggiunge veramente nulla. Alcune modifiche vengono apportate al finale riservando un ruolo determinante a Marzelline, una sorta di Marianne di Francia, e allo stesso coro prima indifferente, ma in questa sede preferiamo non svelare tutte le sorprese o meglio provocazioni, mentre Don Fernando non è più un deus ex machina, piuttosto un semplice ministro che esce dal gruppo di osservatori. Rimane inesplorato invece il rapporto coniugale tra Leonore e Florestan, mentre la scelta di modificare i dialoghi aggiungendo estratti di altri testi di contemporanei di Beethoven non risulta pienamente efficace a livello drammaturgico.
L’orchestra della Royal Opera House appare in forma smagliante anche grazie alla conduzione energica e fiera di Antonio Pappano che fonde contrasti dinamici e accentazioni beethoveniane, con richiami mozartiani ed evidenti presagi wagneriani. Con polso sicuro, Pappano guida gli insidiosi incastri dello spartito e prediligendo ritmi incalzanti, mantiene viva la tensione e la continuità del discorso musicale, compito non semplice viste le interruzioni dei dialoghi parlati del Singspiel. Allo stesso tempo, l’orchestra si piega con versatilità a momenti più prettamente coloristici (un plauso speciale va a corni e legni). Se vi sono state interpolazioni nella drammaturgia per volere del regista, dal punto di vista musicale, Pappano rimane fedele all’edizione finale di Fidelio del 1814 con relativa ouverture, senza alcun inserimento di Leonore II o III.
Nel ruolo del titolo e al suo debutto al Covent Garden in un ruolo da protagonista, si impone Lise Davidsen con una prova vocale sensazionale a tal punto da mettere in ombra tutti i suoi colleghi. Soprano lirico drammatico norvegese poco più che trentenne con all’attivo ruoli wagneriani e straussiani oltre a una registrazione per Decca, Davidsen è stata definita in modo quasi univoco da stampa e critica come “a voice in a million” (parere condiviso anche dallo stesso Maestro Pappano) e degna erede delle grandi cantanti scandinave del passato. Al di là dei paragoni che sono sempre pericolosi a inizio carriera, l’esperienza dal vivo conferma l’impressione che ci si trovi davanti a un talento straordinario. Il bagaglio vocale è veramente completo, a partire da un volume molto importante supportato da facilità di emissione, controllo del fiato e ottima proiezione di una voce ben in avanti che riesce sempre a bucare l’orchestra. I centri sono corposi, emessi con morbidezza e dal timbro pastoso, mentre gli acuti sono fulminei e taglienti come spade, presi dall’alto con precisione ferrea. L’aria del primo atto “Abscheulicher! Wo eilst du hin!” è eseguita in maniera ineccepibile con la giusta tensione musicale ed estrema facilità nel combinare l’esplosione di gioia con la salita in acuto. Seguono applausi a scena aperta (gli unici per altro durante la performance). Aiutata da una corporatura giunonica, si cala con facilità nei costumi maschili, mentre se la recitazione è perfettibile, va detto che questo è anche dovuto ad alcune scelte registiche. Non è un azzardo pensare che Davidsen diventi l’interprete di riferimento per ruolo di Leonore negli anni a venire. Non resta che sperare che anche l’Italia si accorga presto di lei.
Prima dell’inizio della recita viene annunciato che Jonas Kaufmann ha combattuto un’indisposizione la settimana antecedente alla prima (tanto da saltare la prova generale) e pur non rinunciando a esibirsi, il tenore chiede la comprensione del pubblico. Nonostante queste premesse, Kaufmann dà una prova di tutto rispetto esordendo con una strepitosa messa di voce a inizio secondo atto e riuscendo a reggere tessiture acute senza rotture e forzature, anche se la voce risulta comprensibilmente meno ampia e squillante del solito, seppur sempre in presenza di un bel timbro bronzeo e di ottimo legato. Ormai veterano del ruolo di Florestan, Kaufmann riesce a restituire con efficacia la fragilità ma anche la nobiltà e la drammaticità del prigioniero politico. Pur non essendo in piena forma, riesce a non deludere completamente le aspettative del pubblico, anche se la prova della collega si pone su un livello di tale eccezionalità che finisce per metterlo in secondo piano, soprattutto nei momenti di insieme (o sotto pressione come nel duetto finale “O namenlose Freude”). È comprensibile però che il tenore tedesco abbia saggiamente deciso di dosarsi al fine di non mettere in pericolo le prossime recite. A forma riacquisita, Kaufmann sarà sicuramente un ottimo Florestan come già provato in diverse occasioni in passato.
Simon Neal è un convincente Don Pizarro dal punto interpretativo mentre a livello vocale dimostra qualche difficoltà a reggere la tessitura alta del ruolo con acuti non sempre pienamente centrati e sonori. Amanda Forsythe gode di un bel timbro luminoso, anche se la sua voce da soprano lirico leggero (principalmente legato al repertorio barocco su strumenti originali) stenta ad imporsi sulla massa orchestrale in una sala non piccola come il Covent Garden. Tralasciando le considerazioni sul peso vocale, Forsythe mostra gusto stilistico e una spiccata musicalità. Georg Zeppenfeld nei panni di Rocco si distingue per omogenità e morbidezza nell’emissione e risulta genuino nella canzone del primo atto sul potere del denaro, senza risultare buffonesco. Elegante nell’emissione e autorevole come presenza scenica il Don Fernando del basso-baritono Egils Silinš. Risulta invece poco incisivo, anche per un volume non generoso, il Joaquino di Robin Tritschler. Suggestivi e d’impatto gli interventi del coro della Royal Opera House, diretto da William Spaulding, con una vera e propria esplosione di giubilo e potenza al termine del secondo atto mentre il coro dei prigionieri del primo atto risulta molto toccante.
Al termine della recita, applausi calorosi da una sala gremita per tutti gli interpreti e un vero e proprio tifo da stadio per Davidsen, grande rivelazione della serata, mentre fischi provenienti dalla Galleria sono stati riservati alla regia, dopo un secondo atto controverso, provocatorio e di rottura. Accoglienza educata ma non troppo festante per Kaufmann, nei cui occhi si legge il disappunto per non essere arrivato alla prima al top della forma. L’appuntamento con il pubblico italiano è nelle sale cinematografiche per il 17 marzo con il live streaming trasmesso in mondovisione. [Rating:4/5]
Royal Opera House – Stagione d’Opera e Balletto 2019/20
FIDELIO
Opera in due atti
Libretto di Joseph Ferdinand Sonnleithner e Georg Friedrich Treitschke
Musica di Ludwig van Beethoven
Leonore Lise Davidsen
Florestan Jonas Kaufmann
Rocco Georg Zeppenfeld
Marzelline Amanda Forsythe
Jaquino Robin Tritschler
Don Fernando Egils Silinš
Don Pizarro Simon Neal
Erster Gefangener Filipe Manu
Zweiter Gefangener Timothy Dawkins
Orchestra e Coro della Royal Opera House
Direttore Antonio Pappano
Maestro del coro William Spaulding
Regia Tobias Kratzer
Scene e costumi Rainer Sellmaier
Luci Michael Bauer
Video designer Manuel Braun
Nuova produzione della Royal Opera House
Londra, 1 marzo 2020