Adolphe Adam è noto ai nostri giorni per i suoi balletti, alcuni celeberrimi come Giselle e Le Corsaire, più che per la copiosa produzione di opéra-comique. La più famosa di esse, assieme alle un tempo altrettanto apprezzate Le chalet e Si j’étais roi, è certamente Le postillon de Lonjumeau, che andò in scena per la prima volta all’Opéra-Comique di Parigi il 13 ottobre 1836 e rimase nel repertorio stabile del teatro fino al 1894, con 569 rappresentazioni in meno di sessanta anni. In breve tempo varcò i confini della Francia e, tradotta in tedesco, divenne celebre anche nel corso del Novecento. Poi un sostanziale oblio, rotto dall’incisione discografica completa che la Emi realizzò nel 1985 con il tenore americano John Aler nei panni di Chapelou e June Anderson in quelli di Madeleine.
Dell’opera è sopravvissuta la fama della Ronde du Postillon, “Mes amis, écoutez l’histoire”, arduo couplet divenuto banco di prova di grandissimi tenori. È una pagina, come a molti è noto, di sapore brillante, nella quale il giovane e galante postiglione Chapelou si racconta, prima di essere ingaggiato come cantante all’Opéra di Parigi e a Fontainebleau dopo che il suo talento è stato notato dal Marchese di Corcy, intendente dei teatri di Luigi XV, lanciandosi su una tessitura acuta che fa toccare al tenore il re sopracuto. Per seguire il successo e le regole di questo ingaggio, il protagonista lascia la giovane sposa Madeleine e il villaggio dove è noto come postiglione. Nel frattempo la consorte, ereditata una fortuna da una zia, segue il marito e prende il nome di Madame de Latour facendosi corteggiare dal Marchese e dal marito stesso divenuto nel frattempo tenore con il nome di Saint-Phar, decisa a vendicarsi per essere stata abbandonata. Il gioco delle parti arriva fino all’altare di un finto matrimonio, al momento del quale la donna si fa riconoscere e dichiara che Madeleine e Madame de Latour sono la medesima persona, provocando una riconciliazione che li ricongiunge in un lieto fine che arriva dopo colpi di scena declinati in numeri musicali brillantissimi, ovviamente alternati, come vuole il genere dell’opéra-comique, a inserti recitati.
I primi interpreti assoluti di Chapelou e Madeleine furono il tenore Jean-Baptiste Chollet e il soprano Geneviève-Aimée-Zoë Prévost, divi delle scene parigine dell’epoca di Luigi Filippo d’Orléans, che divennero marito e moglie e insieme avevano già dato vita, sei anni prima, al debutto di un altro caposaldo dell’opéra-comique: Fra Diavolo di Auber. Sarà curioso notare come Chollet, per quanto si esibisse, dopo esser stato baritono, in parti da tenore che lo spingevano a toccare note acute estreme, in realtà era un baritenore, dalla voce molto flessibile; le cronache del tempo raccontano avesse un timbro robusto nei centri ma dolce in acuto: un registro acuto che, probabilmente, veniva raggiunto con il ricorso a suoni misti. Si parla poi di lui come un attore provetto.
Ecco perché quando ci si appresta a vedere questo nuovo video (pubblicato da Naxos), che ritrae uno spettacolo parigino di successo dell’Opéra-Comique del 2019, davvero meraviglioso per la realizzazione scenica fantasiosa pensata da Michel Fau – estroso attore e regista notissimo in Francia, anche per le sue imitazioni en travesti, non a caso anche qui è una spassosissima Rose – subito si resta ammirati dalla prova offerta da Michael Spyres, tenore che in un repertorio come questo appare oggi inimitabile. Lo è perché, al di là della bravura con la quale intona la citata ronde, in Spyres c’è l’approccio giusto a questa parte, che non deve essere solo e unicamente un’atletica prova di bravura nel toccare le note estreme (il re acuto della ronde è ardito e in equilibrio nell’utilizzo di una sonorità petto/testa che dona alla nota il giusto sapore antico), bensì una presa di consapevolezza dello stile giusto per risolverla, con souplesse e ironia messe al servizio di un disegno vocale che va di pari passo con la spigliatezza scenica, con la capacità di utilizzare la voce in un gioco di equilibrismi senza rete, saltellando fra un registro e l’altro, passando repentinamente dall’acuto estremo a sonorità gravi anche a costo di qualche diseguaglianza di emissione (così avviene soprattutto nella cadenza dell’aria “Assis au pied d’un hêtre” e nell’aria del terzo atto, “À la noblesse, je m’allie”, nella quale addirittura tocca il mi naturale sovracuto), utilizzando trilli (davvero mirabili, come quello sul “Qu’il était beau…” nella ronde), variazioni, smorzature, verve e tutto ciò che serve a dimostrare come la sua vocalità sia risultato di un percorso teatrale messo in atto per far emergere, attraverso gesti e accorgimenti vocali studiatissimi, gli atteggiamenti del divo tronfio di se stesso con leggerezza e il sarcasmo dell’ingenuo popolano destinato a divenire divo dell’Opéra: fondamenta espressive del postiglione sicuro del suo fascino e delle proprie doti vocali. Se in Spyres c’è quel senso di slancio, di spavalderia intinta di leggerezza e di respiro aulico che qua e là investe un canto sempre fedele al gesto scenico è perché la sua vocalità utilizza gli atletismi in funzione espressiva, così da catturare l’ascoltatore coinvolgendolo in un disegno che coniuga mirabilmente vocalismo e senso del teatro con stupefacente naturalezza.
Ci si può sbizzarrire nell’ascoltare le più diverse versioni della ronde del Postiglione, ma pochi, neanche Nicolai Gedda, pur splendido e vocalmente più altisonante di Spyres (non si dimentichi di citare, in ordine sparso, anche Heinrich Bötel, Herbert Ernst Groh, Joseph Schmidt, Adolf Dallapozza, Otokar Marak, Helge Roswaenge, Rudolf Schock, Ernst Haefliger, Harald Neukirch, Horst Wilhelm, Peter Anders, Anton de Ridder, Miguel Villabella, Rudolf Gerlach-Rusnak, Henri Legay, Charles Burles, Heinz Hoppe, Robert Swensen, John van Kesteren, Romano Emili, Rockwell Blake, William Matteuzzi, Luca Canonici, Jorge Lopez-Yañez, John Aler, Daniel Behle, Juan Diego Flórez), colgono quel sottile filo di lana disincantato e leggero che sostanzia l’anima più autentica e sincera dell’opéra-comique francese, in anni in cui il genere era al suo apogeo. Diverse delle esecuzioni sopra citate sono per di più in lingua tedesca, perché, come detto, l’opera godette di vasta circolazione nei paesi di lingua tedesca, ma in tal caso l’approccio vocale finisce spesso e volentieri per perseguire vie diverse rispetto alle esigenze stilistiche proprie al canto francese, ben evidenti, invece, in Villabella, Legay, Burles e oggi in Spyres. I suoni acuti in “falsettone” di quest’ultimo, caldi e rotondi, la perfetta dizione francese, legata al senso “artistico” donato alla parola e la verve scenica aiutano a far rivivere il clima vocale dei tempi che videro nascere l’opera, anche quando, in “Assis au pied d’un hêtre”, si fa la parodia dell’aria del salice dall’Otello di Rossini e nel contempo si evoca Boieldieu, l’opéra-comique del quale, La dame blanche, aprì lo sviluppo al genere e trovò nel personaggio di Georges Brown un prototipo tenorile che ebbe diverse coniugazioni poi ravvisabili nella vocalità stessa di Chapelou.
Anche gli altri nomi della locandina rendono giustizia alle loro parti. Il soprano leggero Florie Valiquette, Madeleine/Madame de Latour, canta con freschezza l’aria certo non facile “Il faut que je punisse un ingrat”, mettendoci molto pepe, anche un tocco di slancio nelle acrobazie a costo di qualche suono lievemente asprigno, ma soprattutto domina la scena con scaltra arguzia femminile. Ottimi anche il bass-baritone Laurent Kubla, Biju/Alcindor e il baritono Franck Leguérinel, davvero spassoso nei panni de Le Marquis de Corcy, cantanti-attori spiritosissimi, oggi insostituibili in opere come questa. Tutti sono guidati con scioltezza e brio dalla bacchetta di Sébastien Rouland, il quale, alla testa dell’Orchestre de l’Opéra de Rouen Normandie, asseconda con garbo gli interpreti e dona la giusta dimensione di charme musicale alla fantasia dello spettacolo.
Quest’ultimo, come detto firmato da Michel Fau, è una gioia per la vista, coloratissimo, con scene di Emmanuel Charles e costumi fantasiosi fino all’estremo di Christian Lacroix. Si passa dalla visione di una gigantesca torta nuziale, sulla cui cima si vedono come due belle statuine Chapelou e la sua giovane sposa, la bella ostessa Madeleine, alla carrozza in cartone del postiglione; poi, quando si entra nel gioco del teatro nel teatro, abbondano le citazioni barocche che richiamano la tragédie-lyrique parigina dell’ancien régime in un profluvio di fondali e quinte decorate a motivi floreali superbamente illuminate. Si arriva a rasentare l’eccesso nell’utilizzo di trucchi, parrucche, ciprie, crinoline e quant’altro possa ricondurre la narrazione a una dimensione visiva inondata di colori vivaci ammorbiditi da luci con effetti a lume di candela; suggestioni visive si susseguono a ritmo serrato senza che il kitsch, sempre dietro l’angolo, finisca per prendere il sopravvento su uno spettacolo frizzante e registicamente dinamicissimo, immerso in una dimensione favolistica da libro pop-up intinta d’irresistibile sarcasmo, tutta da vedere e godere, così da renderlo memorabile.
LE POSTILLON DE LONJUMEAU
Opéra-comique in tre atti
Libretto di Adolphe de Leuven e Léon-Lévy Brunswick
Musica di Adolphe Adam
Chapelou/Saint-Phar Michael Spyres
Madeleine/Madame de Latour Florie Valiquette
Le Marquis de Corcy Franck Leguérinel
Biju/Alcindor Laurent Kubla
Rose Michel Fau
Louis XV Yannis Ezziadi
Bourdon Julien Clément
Orchestre de l’Opéra de Rouen Normandie
Coro Accentus/Opéra de Rouen Normandie
Direttore Sébastien Rouland
Regia Michel Fau
Scene Emmaneul Charles
Costumi Christian Lacroix
Light Designer Joël Fabing
Trucco Pascale Fau
Etichetta: Naxos
Formato: DVD
Parigi, Opéra Comique, ripresa effettuata dal 5 al 7 aprile 2019