Non si conosce mai abbastanza dell’inesauribile patrimonio musicale dall’opéra-comique francese ottocentesca; è come un pozzo senza fondo. A seconda dei compositori, ebbe diverse declinazioni fino a evolvere nell’opéra bouffe di Offenbach. Di Daniel-François-Esprit Auber, nello specifico, ci è noto l’approccio al grand-opéra, con il successo riscosso da La muette de Portici, genere che, di lì a poco, troverà sulle scene parigine il suo campione in Meyerbeer. L’elisir d’amore di Donizetti e Un ballo in maschera di Verdi traggono spunto da analoghi soggetti già utilizzati da Auber ne Le philtre e in Gustave III ou Le bal masqué, mentre la fama della sua Manon Lescaut, ispirata al romanzo dell’Abate Prévost, venne presto eclissata dalle ben più note opere di Massenet e Puccini. Eppure Auber resta, per l’opéra-comique di metà Ottocento, un compositore di riferimento imprescindibile, ereditando la tradizione tracciata da Boieldieu con La dame blanche. Tutto avvenne in anni in cui il gusto del nuovo pubblico borghese del tempo di Luigi Filippo amava soggetti leggeri e brillanti, magari anche ispirati a storie di brigantaggio in terre italiche immerse in una natura incontaminata. Così capitò con il Fra Diavolo, del 1830, e si ripeté per La Sirène, che andò in scena a Parigi, il 26 marzo del 1844, divenendo negli anni a venire piuttosto amata nella capitale, con al suo attivo diverse repliche e una fama che non tardò a varcare i confini francesi per rinsaldarsi, a metà Ottocento, in Germania (dove venne apprezzata da Albert Lortzing) e in altri stati europei, fino a rappresentazioni americane (New York), russe (San Pietroburgo) e sud americane (Buenos Aires). Heinrich Heine, dopo averla ascoltata a Parigi, ne scrisse in termini lusinghieri definendola ideale “divertissement”. Poi l’oblio, toccato a gran parte di queste opere, destinate a fare il loro tempo per divenire genere di consumo presto caduto in disuso, fino all’interessante riproposta a Compiègne nel gennaio 2018, dalla quale deriva l’incisione live di un cd, edito da Naxos, che raccoglie solo i numeri musicali e omette i dialoghi parlati, comunque leggibili nel libretto integrale dell’opera scaricabile dal sito della casa discografica. Si godono così tutto d’un fiato, in poco meno che settanta minuti di ascolto, le perle di questa partitura piacevolissima, che non manca di accompagnare alla brillantezza di tocco la difficile scrittura vocale di alcune pagine ricche di vocalizzi di ascendenza rossiniana, intinte di quella grazia tutta francese che rende il melodismo leggero e frizzante di indubbio effetto, assecondando il registro della commedia corollata da spunti misteriosi con allegria, colpi di scena, travestimenti, amore e scene farsesche, vagamente operettistiche, strizzando l’occhio al linguaggio teatrale popolare di ascendenza italica e plasmando la narrazione immergendola in quell’eden di bellezza naturale che era il Sud Italia: in questo caso l’Abruzzo, inteso come terra di briganti e d’amori romantici avventurosi negli anni intorno al 1840.
Il soggetto dell’opera, piuttosto intricato, come già ricordava Félix Clément nel suo celebre Dictionnaire des opéras nel 1869, si rifà a storie di ladri, contrabbandieri e contraffattori che avevano occupato molto spazio nei libretti di Eugène Scribe, come in questo de La Sirène, e avevano già visto Auber affrontare soggetti simili, prima col Fra Diavolo e Le Serment e, dopo La Sirène, con il balletto Marco Spada. Qui c’è una sorta di nuovo Fra Diavolo: l’avventuriero di nobili sentimenti Scopetto, chiamato Marco Tempesta (tenore), la cui sorella, Zerlina (soprano), ha una voce bellissima, utilizzata, con la complicità del fratello, per attirare i viaggiatori di passaggio col fine di derubarli. Di lei si parla come una delle misteriose Sirene dell’antichità, quelle che allettavano le vittime incantandole col canto per poi farle cadere nella loro trappola. In questo caso, chi ne è attirato di passaggio nella foresta, finisce coll’essere rapinato senza pietà. La sua fama spinge l’impresario Nicolaio Bolbaya (basso), il cui nome parrebbe evocare ironicamente quello che fu il celebre impresario Domenico Barbaja, a recarsi nel villaggio di Castel di Sangro, in cerca di nuove voci per la sua compagnia lirica accompagnato dal guardamarina navale Scipion (tenore); entrambi sono desiderosi di saperne di più su questa fantomatica sirena della quale tanto si parla. Nella rete di questo inganno cade anche il Duca di Popoli (basso), governatore degli Abruzzi; i banditi si spacciano per una compagnia di teatranti e rapinano il castello del Duca dove vengono invitati per mettere in scena uno spettacolo. Dall’opera emerge però che Tempesta non è un truffatore cattivo, perché ha un’anima generosa e un cuore tenero: uno dei tanti briganti idealizzati dai racconti romantici, dispensatori di buoni sentimenti e, quindi, ladri gentiluomini che arrivano a incutere rispetto e talvolta addirittura simpatia. Suo intento è far sposare la sorella al giovane Scipion e, mentre la ragazza incanta le guardie del palazzo col suo canto, fugge a sua volta lasciandola fra le braccia dell’amato e salvando i suoi fidi contrabbandieri.
Al successo de La Sirène contribuì non solo il genio musicale di Auber, ma anche la sua capacità di trarre massimo vantaggio dagli interpreti pregevolissimi che diedero vita alla prima esecuzione all’Opéra-Comique. Fra di essi spiccano i nomi del Louise Lavoye, Zerlina, soprano che fu abile nella coloratura e nell’arte del trillo, per le quali era notissima oltre che per l’estensione vocale in acuto praticamente illimitata e il gusto per le ornamentazioni spesso improvvisate. Ancor più rinomato il tenore Gustave-Hippolyte Roger, che vestì i panni di Scopetto ma fu poi il leggendario primo Faust ne La damnation de Faust di Berlioz e Jean de Leyde ne Le Prophète di Meyerbeer, divenendo interprete di riferimento del grand-opéra parigino di quel tempo, pur non disdegnando di misurarsi con ruoli di stampo leggero come questo, più attinenti alla sua autentica natura vocale. Anche Marius-Pierre Audran, che vestì i panni del secondo tenore, Scipion, si impossessò in seguito del ruolo principale quando l’opera fu ripresa a Parigi nel 1855, al Théâtre-Lyrique, nel corso dell’Esposizione universale di quello stesso anno.
La musica è una catena ininterrotta di anelli musicali preziosi, alcuni divenuti anche popolari nella Parigi di quel tempo, a partire dall’ouverture, con eleganti movenze di valzer, fino ai due bei finali d’atto, movimentati e freschi d’inventiva teatrale. Nel primo atto si segnala la chansonnette de contrebandier, “Ô Dieu des flibustiers!”, per il tenore protagonista e il quartetto “Ô bonheur qui m’arrive”. Il secondo atto è dominato dal couplet di Scopetto, “Qu’est-ce donc, mes amis?”, con una coda marzialmente brillante sostenuta dal coro, e da quello della Sirena, “Prends garde, Montagnarde”; ancora dal duetto fra fratello e sorella, “C’est quel qu’ouvrier?”, forse la pagina più riuscita dell’opera per il profumo delicatamente patetico e “valzeresco”, e dalla spericolata cavatina “Ah! Je n’ose pas” che lo conclude, vero banco di prova per il soprano di coloratura, con trilli, cascate di roulades e cadenze che portano la voce fino agli estremi acuti. Nel terzo atto ci sono il bel duetto d’amore fra Zerlina e Scipion, “Je fais mal, je le sais”, e l’epilogo dell’imbroglio che porta all’acrobatico finale con in primo piano il vocalise della prima donna, “Voyez vous là-bas”.
L’esecuzione musicale, affidata alla bacchetta di David Reiland, alla testa dell’Orchestre des Frivolités Parisiennes, assicura trasparenza e leggerezza alla narrazione musicale e un controllo agile del palcoscenico, dove la voce di Jeanne Crousaud, puntuta, cristallina e leggera come una piuma non fatica a emergere nella coloratura richiesta della parte di Zerlina ma appare piuttosto scolastica; insomma, non è una virtuosa capace di mandare in sollucchero l’ascoltatore conquistandolo con acrobazie tali da togliere il fiato, eppure padrona dello stile giusto e dello charme che è tipico, quasi sempre, delle colorature francesi. Il tenore Xavier Flabat, Scopetto, ha timbro limpido e si disimpegna con onore nelle pagine solistiche già citate, ma è chiaro che per donare piena giustizia a una parte pensata per la vocalità leggendaria di Roger ci vorrebbe ben altro. Il rischio che ne consegue è di assimilare lo stile salottiero del tenore da opéra-comique a quello d’operetta; nulla di più rischioso e fuorviante, anche se in questo caso il limite sembrerebbe imputabile non alla pertinenza stilistica quanto piuttosto agli esigui mezzi vocali. Buono l’apporto di tutti gli altri interpreti, fra i quali ci piace ricordare il soprano Dorothée Lorthiois, che nei panni della serva Mathéa racconta nella ballata “Quand vient l’ombre silenciuese”, ad apertura del primo atto, la leggenda della Sirena, così come il secondo tenore, l’aggraziato anche se un po’ falsettante Jean-Noël Teyssier nei panni di Scipion, che contribuiscono alla riscoperta di questo piccolo gioiello dell’opéra-comique parigina di metà Ottocento.
LA SIRÈNE
Opéra-comique in tre atti
Libretto di Augustin-Eugène Scribe
Musica di Daniel-François-Esprit Auber
Zerlina Jeanne Crousaud
Mathéa Dorothée Lorthiois
Scopetto Xavier Flabat
Scipion Jean-Noël Teyssier
Le Duc de Popoli Jean-Fernand Setti
Nicolaio Bolbaya Benjamin Mayenobe
Pecchione Jacques Calatayud
Le Grand-Juge Pierre de Bucy
Direttore David Reiland
Orchestre des Frivolités Parisiennes
Direttore del coro Léo Warynski
Etichetta: Naxos
Formato: CD
Registrazione effettuata il 26 gennaio 2018,
Théâtre Impérial de Compiègne, Francia
Prima registrazione mondiale