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In onda su Rai5 L’amico Fritz di Mascagni prodotto dalla Fenice

Risale al 2016 L’amico Fritz allestito dal Teatro La Fenice dopo una assenza dalle scene veneziane di oltre sessant’anni. Com’è noto, si tratta del secondo titolo operistico di Pietro Mascagni, che dopo il successo di Cavalleria esplora ambiti verso i quali il suo talento non è spontaneamente portato, dimostrando così di avere ben poco fiuto nella scelta dei soggetti. Sul libretto del Fritz, del resto, la parola definitiva l’ha detta Verdi, che in una lettera scrive di non averne mai letto uno così “scemo”. Se poi sia peggio questo o quello di Amica, difficile da stabilire. In entrambi il traliccio sentimentale è reso implausibile e inconsistente non solo da situazioni assurde e versi spesso ridicoli, ma soprattutto dalla rudimentalità psicologica di personaggi degni di una telenovela. Debole dal punto di vista drammaturgico, privo di personaggi credibili, incline al bozzettismo e a rischio melassa, L’amico Fritz ha bisogno di voci timbricamente fresche e capaci di un’espressione spontanea, ma anche di direttori che ne valorizzino le uniche vere qualità: la bellezza delle melodie e certe preziosità dell’orchestrazione. Diversamente non regge.

L’edizione della Fenice, in onda venerdì 23 ottobre alle ore 10.00 su Rai5, può contare sulla direzione di Fabrizio Maria Carminati che, per sua stessa ammissione, alla validità di quest’opera e alla modernità di certe soluzioni mascagnane crede veramente. Di qui la sua attenzione a rifinire le sonorità intimistiche, a valorizzare un lirismo tradizionale ma svolto su armonie ricche di modulazioni impreviste e sonorità modali. Carminati miscela con accortezza intimismo e passionalità, aderendo di volta in volta alle situazioni, levigando spigolosità, pesantezze, e ottenendo un’esecuzione compatta e calibrata, priva di melenserie. Se vogliamo, qualche eccesso di enfasi lo si nota nell’intermezzo sinfonico, ma è anche vero che in questa pagina ci pensa già il compositore ad amplificare a dismisura l’espressione dei sentimenti amorosi. Nell’insieme, per quanto il direttore riesca a sottolineare le qualità di Mascagni come musicista puro, anche in questa esecuzione si percepisce pur sempre la velleità di un giovane autore convinto di poter trasformare in capolavoro del teatro musicale anche il più insignificante degli intrecci. Detto questo, Carminati porta i cantanti a non forzare, a non proiettare veristicamente la linea melodica e a fraseggiare con fluidità.

Alessandro Scotto di Luzio è un Fritz timbricamente gradevole, sfumato nel fraseggio, all’occorrenza efficace nei passaggi energici e appassionati, anche se non molto squillante negli acuti. Non sarà un cantante da opera verista, tuttavia il ruolo dello scapolone impenitente ma non troppo lo restituisce in modo attendibile. Nemmeno Carmela Remigio è nata per affrontare questo repertorio e, tanto meno, una figura timorata e sempliciotta come quella di Suzel, che richiede spontaneità espressiva e ben altre risorse timbriche. La Remigio è una cantante musicale e una interprete analitica, ma la spontaneità non si può “costruire” e quindi il personaggio risulta manierato. Nel tratteggio pesano anche le emissioni disomogenee e opache nei primi due atti, mentre nel terzo la resa vocale ed espressiva è nell’insieme migliore.
Nei panni del rabbino David, Elia Fabbian denota inizialmente qualche incertezza vocale, per poi assestarsi su un canto di buon livello e una caratterizzazione efficace. La prova più completa è quella di Teresa Iervolino nel ruolo en travesti di Beppe, delineato con timbro pastoso e vellutato, emissione corretta e calibrata verve zingaresca.

L’allestimento con la regia di Simona Marchini tenta una lettura dell’opera in chiave favolistica, collocando la fragile vicenda in una dimensione avulsa dai turbamenti del mondo. L’impianto scenico di Massimo Checchetto si risolve in una cornice imponente di color verde (allusiva, pare, alla natura dell’Alsazia) che inquadra l’ambiente protetto e circoscritto in cui Fritz si trova a vivere e a fare i conti con la paura di amare e crescere. All’effetto cartolinesco e oleografico contribuiscono anche i costumi di Carlos Tieppo, non privi in qualche caso di dettagli stucchevoli. La regia della Marchini, di impostazione tradizionale, ai limiti della convenzionalità, indulge alla staticità e gioca sulla lentezza della gestualità nel tentativo di creare momenti di sospensione emotiva.
Da ricordare il primo violino della Fenice, Roberto Baraldi, impeccabile e acclamatissimo esecutore dell’assolo che annuncia l’entrata di Beppe nel primo atto. [Rating:3/5]

Photo credit: Michele Crosera