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Il Trittico di Puccini secondo Ronconi e Chailly in prima serata su Rai5

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Puccini considerava le opere del Trittico un unicum indivisibile. Non gradiva l’idea di vederle “fatte a pezzi”. Col tempo, si sa, finì per rassegnarsi, dando l’assenso a rappresentazioni separate. E di fatto, ancora oggi, l’esecuzione in una stessa serata del Tabarro, Suor Angelica e Gianni Schicchi è un evento abbastanza raro. Nel 2008, in apertura delle celebrazioni per il 150° della nascita del compositore, il Teatro alla Scala propose il “Trittico” così com’era stato concepito. Impresa ardua per questione di tinte musicali dissimili, di cast (occorrono tanti cantanti e tutti validi), oltre che registiche. Eppure, per quanto non esista un legame fra le vicende, il filo rosso che unisce questi atti unici è evidente. E si identifica con l’idea di un procedere dal buio alla luce, dall’inferno al paradiso: una sorta di tripartizione dantesca. Il tabarro è un melodramma a soggetto forte, tenebroso e opprimente. Suor Angelica una storia di peccato e espiazione. Lo Schicchi, ispirato a un episodio della Divina Commedia, è una partitura dalla carica vitale e liberatrice.

Per Luca Ronconi, regista dell’allestimento scaligero che mercoledì 13 maggio viene trasmesso su Rai5, alle ore 21.15, non sussiste invece alcun passaggio dalle tenebre alla luce: sono tre diversi, impietosi punti di vista sulla morte, tre varianti di una stessa discesa agli inferi. Le scene di Margherita Palli creano una unità di tono attraverso la struttura del palcoscenico, che in ogni opera presenta un affossamento e un elemento scenico praticabile obliquo che sprofonda in una ideale fossa comune. L’esito non è dei migliori. Convince Il tabarro, dove incombe in primo piano il barcone dei diseredati della Senna. La drammaticità sordida della vicenda viene assecondata con una certa efficacia, anche se la regia di Ronconi si attiene al più puro e scontato naturalismo gestuale. Non persuade Suor Angelica, con l’enorme statua della Madonna riversata a terra e una più piccola sospesa, col Bambino e tanti fiori giocondi. Non si può nemmeno parlare di metakitsch, categoria estetica in auge nell’arte contemporanea: è kitsch bello e buono. Gianni Schicchi riporta in pieno girone infernale, con il protagonista vestito in abiti dell’epoca dantesca e gli altri protagonisti in costumi novecenteschi, secondo un sincretismo stilistico da avanguardia anni ‘70. Spettacolo vecchio, insomma, che ricordo fu contestato pesantemente da una parte del pubblico la sera della prima.

Molto meglio l’esecuzione. Riccardo Chailly scava in profondità lo strumentale pucciniano, con una varietà di dinamiche, colori e fraseggi tale da garantire un andamento diversificato nella restituzione delle atmosfere. Nel Tabarro evoca un clima drammatico e tenebroso senza mai cadere nel verismo più vieto. In Suor Angelica, trova gradazioni timbriche e cromatiche di notevole finezza, mentre sul versante comico dello Schicchi mantiene il ritmo narrativo dal dinamismo coinvolgente. Ottimo anche il rapporto con il palcoscenico, dove tuttavia i cast sono discontinui.

Nel Tabarro si fa valere per impatto drammatico il Michele di Juan Pons, convince meno Miro Dvorski, un Luigi generico nella vocalità e nel fraseggio. Paoletta Marrocu rende bene il ruolo di Giorgetta, pur forzando qualche acuto. Sparse tensioni nel registro alto le evidenzia pure Barbara Frittoli, che per il resto canta correttamente e si fa valere come Suor Angelica per qualità del fraseggio e immedesimazione espressiva. Disomogenea, gutturale nei gravi la Zia Principessa di Mariana Lipovšek. Nello Schicchi si impone l’inossidabile Leo Nucci, a suo agio sul terreno della sillabazione e della caratterizzazione comica. Bene Vittorio Grigolo, un Rinuccio estroverso e dalla vocalità fresca; credibile Nino Maichadze come Lauretta.

Photo credit: Marco Brescia

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