Il 2020, per molti versi anno nefasto, è stato invece molto propizio dal punto di vista discografico per il compositore napoletano Leonardo Vinci (1690-1730). Dopo l’album a lui interamente dedicato – Veni, Vidi ,Vinci – di Franco Fagioli per Deutsche Grammophon, è stato pubblicata da Parnassus sulle principali piattaforme digitali, l’opera Gismondo re di Polonia. Al netto di qualche aria già registrata da Filippo Maneccia nel 2014 e Franco Fagioli (nell’album sopra citato), si tratta di una prima mondiale in quanto a registrazione integrale, che segue a distanza di un paio d’anni, una serie di esecuzioni in forma di concerto da parte dello stesso cast. Al centro di questo progetto troviamo una delle punte di diamante del panorama controtenorile, Max Emanuel Cencic. Definirlo cantante sarebbe riduttivo in quanto Cencic rappresenta un caso unico di poliedricità, che ha come unico parallelo in campo femminile, quello di Cecilia Bartoli. Controtenore ancora in carriera con ruoli da protagonista, Cencic è anche direttore artistico e co-produttore esecutivo per l’etichetta Parnassus, è stato di recente nominato direttore artistico del nuovo festival internazionale di musica barocca di Bayreuth (in partenza a settembre) e ha già provato il suo valore anche nelle vesti di regista e talent-scout. Figlio d’arte, croato ma austriaco di adozione, Cencic canta da una vita, avendo esordito all’età di 6 anni tra i Piccoli Cantori di Vienna e poi intrapreso la carriera solista, prima da sopranista, e poi da controtenore.
Cencic è stato uno dei protagonisti della riscoperta di Vinci, un processo che ormai va avanti da più di un decennio, ossia dalla messa in scena in Spagna e al San Carlo di Napoli di Partenope nel 2009 (con i Turchini di Antonio Florio e Sonia Prina) e che ha avuto come altre tappe importanti il trionfo di Artaserse del 2012 a Nancy sotto la guida di Diego Fasolis (con la triade di stelle Cencic, Fagioli e Jaroussky) e la registrazione per Decca nel 2015 di Catone in Utica con Riccardo Minasi (con Fagioli e Cencic). Ricordiamo poi l’esecuzione in forma di concerto (e relativa registrazione) de Il Siroe de di Persia del Teatro San Carlo nel 2018. Inoltre, nomi celebri del barocco come Cecilia Bartoli e Simone Kermes avevano contribuito a dare visibilità al compositore inserendo alcuni brani nelle loro registrazioni. Gismondo rappresenta un nuovo tassello di questo importante processo di riscoperta. Cencic ha all’attivo diverse registrazioni integrali (Ottone e Alessandro di Händel, Germanico in Germania di Porpora, Siroe re di Persia di Hasse oltre ai titoli vinciani sopra citati).
Gismondo re di Polonia, va in scena per la prima volta a Roma nel 1727 nel “Teatro detto delle Dame” (prima conosciuto come Teatro Alibert) durante la stagione di Carnevale. È un periodo in cui Roma accoglie compositori veneziani e napoletani. Vinci, già “Pro-Vice Maestro della Real Cappella di Napoli”, come si legge sul libretto di Gismondo, metterà in scena le sue opere (fino alla sua morte prematura nel 1730) al vecchio Alibert, in una competizione evidente con il Teatro Capranica e, più o meno presunta, con il collega Porpora. La fama di Vinci giungerà fino a Londra, dove dopo la morte del compositore partenopeo, Händel inserirà arie di Vinci in cinque suoi pasticci. Leonardo Vinci è celebre per la sua collaborazione con il poeta e librettista Pietro Metastasio. Per Gismondo di Polonia invece, Vinci sceglie un libretto di Francesco Briani, concepito quasi vent’anni prima, sotto il nome de Il Vincitor generoso per una produzione andata in scena a Venezia al Teatro San Giovanni Grisostomo nel 1709 con musiche di Antonio Lotti. Vinci tiene il libretto intatto ma cambia le arie (ribilanciando gli equilibri tra i personaggi e aumentando il numero di arie di Gismondo) e interpola alcuni pezzi da Ernelinda, una sua opera del 1726. In totale vi sono 28 arie, lunghi recitativi piuttosto convenzionali, qualche recitativo accompagnato, un duo, un trio e un coro finale. L’opera viene dedicata “alla Maestà di Giacomo III, Rè della Gran Brettagna”. La dedica non è casuale in quanto l’opera ha una forte componente di tributo politico-monarchico, quasi propagandistico, pur celato in chiave allegorica. Se l’opera veneziana era stata concepita come tributo a Federico IV di Danimarca che aveva visitato Venezia in grande pompa nel 1709, la versione romana viene dedicata a James Edward Stuart, il pretendente cattolico al trono inglese che, dopo tre tentativi falliti di riconquistare il trono dagli Hannover, era finito in esilio a Roma sotto stipendio papale. James era sposato con una principessa polacca, quindi un libretto incentrato sulla storia polacca era un candidato ideale per omaggiare un’aspirante monarca. Costui tuttavia, non sarà presente alla rappresentazione dell’opera nel 1727, essendosi trasferito a Bologna con il suo seguito di aristocratici.
La trama dell’opera è ispirata alle guerre di unificazione polacche della seconda metà del ‘500 e basata su una storia di intrighi politici tra la corte di Gismondo re di Polonia e quella di Primislao, duca di Lituania, a cui si sommano vicende personali e amorose che coinvolgono i figli di Gismondo, Ottone e Giuditta, e Cunegonda, figlia di Primislao, oltre ai Principi Ernesto e Ermano. Gismondo e Primislao hanno caratteristiche opposte: Gismondo è il simbolo del buongoverno, del potere della ragione, del controllo sulle emozioni e della clemenza come virtù. Primislao d’altra parte è irascibile, in preda alle emozioni, oltre a rappresentare l’assenza di ordine.
Il cast originario di Gismondo includeva 6 castrati (tre soprani incluso “Il Farfallino” e tre contralti) oltre a un tenore, visto il noto divieto papalino che impediva alle donne di esibirsi in pubblico. Per questa registrazione, Cencic ha scelto 4 controtenori e tre soprani, di cui uno a ricoprire una parte en travesti. Gli artisti scelti sono tutti specialisti del barocco. Nonostante Vinci avesse aumentato il numero di arie di Gismondo da 1 a 5, il ruolo del titolo rimane un po’ in ombra favorendo i ruoli di Ottone e Cunegonda. Anche in assenza di numeri istrionici o showstopper come vengono chiamati nel mondo anglosassone, Max Emanuel Cencic conferma la sua qualità di esecutore da veterano del settore. Con gli anni il timbro si è fatto più rotondo e scuro mentre le colorature risultano più fluide e meno isteriche, sempre usate a scopo drammatico. I registri sono omogenei anche se la sua zona di comfort è quella mezzosopranile. In “Sta l’alma pensosa” Cencic esibisce dei bei fiati sostenuti e un suono liquido e fluido, a tratti sontuoso. In “Bella pace” sfoggia trilli e colorature con facilità e dei medi ben timbrati mentre in “Se soffia irato” mostra dei bassi ben bilanciati e gestisce con facilità salti di registro. In “Torna cinto” esibisce carattere e un bel volume con un fraseggio ben scandito.
Yuriy Mynenko come Ottone, esibisce un timbro nel complesso piacevole e sensuale, anche se in acuto si avverte talvolta qualche tono metallico. Nella sua prima aria “Vado ai rai” utilizza con precisione lo staccato e mostra facilità nelle colorature e nelle smorzature, mentre nell’aria finale del primo atto “Quell’usignolo” dialoga con i flauti alternando lunghe arcate sostenute dal fiato a gustosi abbellimenti, staccati e sospiri. In “Vuoi ch’io mora” nel secondo atto si dimostra molto musicale ed espressivo con delle belle dinamiche e fiati lunghi anche se sale poi in acuto con qualche forzatura. In “Assalirò quel core” rivela un ottimo temperamento e gestisce con facilità gli affondi ai gravi mentre gli acuti risultano non sempre omogenei. Nel complesso un talento che promette molto bene.
Sophie Junker è un’ottima Cunegonda e una piacevole scoperta, risultando efficace sia nelle arie che nei recitativi. Il timbro è luminoso e lo strumento ben flessibile. Forse deve sviluppare una tavolozza di colori più ampi,a ma è una brava interprete sia nelle arie di tempesta come “Ama chi t’odia” che nei lamenti patetici come in “Sentirsi in petto” e “Tu mi tradisti ingrato”. Nella prima esibisce una bella dinamica, delicatezza in acuto e gusto nelle risoluzioni. Nella seconda usa il testo con intelligenza ed esibisce carica drammatica oltre a dei bei suoni chiaroscurati. Si armonizza bene con Mynenko nel duetto finale del secondo atto. Talvolta si evince qualche durezza nella dizione. Dilyara Idrisova spicca come Giuditta per brillantezza del timbro e libertà del canto in tessiture alte. Mostra estensione e facilità in acuto nella civettuola “Così mi piacerai”, fluide agilità in “Tu sarai il mio diletto” e acuti cristallini in “Se l’onda corre”. Nel complesso un canto senza il minimo sforzo che è un piacere ascoltare. Aleksandra Kubas-Kruk è forse in possesso di un timbro meno distintivo ma l’ingrato compito di interpretare il ruolo en travesti di Primislao viene svolto con autorevolezza, soprattutto nei recitativi. In “Nave altera” si muove tra i registri con disinvoltura mentre in “Vendetta o ciel” mostra un bel carattere combattivo, a cui si oppone “Sento di morte il gelo” cantata con morbidezza. Unica nota: alcune puntature in acuto e sovracuto nei finali delle arie risultano stucchevoli.
Ermanno è interpretato da Nicholas Tamagna, un controtenore dalla voce ben timbrata e corposa. Molto abile nel fraseggio come in “E col senno” e “Son come cervo misero”. Molto belle e ricche le sue note basse così come colpisce in positivo l’uso dei salti di registro. Un gran bravo controtenore che non stanca all’ascolto. Anche i suoi recitativi sono ricchi e mai noiosi. Jake Arditti come Ernesto, è munito di una voce nel complesso piccola dal timbro etereo, quasi androgino (e a tratti metallico). Non c’è molto colore nel suo canto ma vi è comunque molta musicalità e sensibilità (come in “D’adorarvi così”). Le colorature sono ben eseguite, come in “Parto con quella speme”.
Un’altra piacevole scoperta è l’ensemble polacco di strumenti originali {oh!} Orkiestra Historyczna, diretto con carisma da Martyna Pastuszka. Anche se la musica di Vinci non è molto variegata dal punto di vista del contrappunto, si evince una certa originalità nell’orchestrazione con l’uso di timpani, trombe, liuto, corni, fagottini e flauti, i cui interventi sono molto puntuali. L’organico coglie al meglio il carattere marziale o tempestoso di alcuni brani, mantenendo la compattezza dell’insieme, senza troppe pesantezze. Il suono nel complesso è caldo e riesce a cogliere il carattere napoletano del compositore. La Sinfonia e la Marciata del terzo atto sono sicuramente d’impatto. Nel complesso, dei musicisti dall’ottima padronanza tecnica e stilistica. Un plauso anche al cembalista Marcin Swiatkiewicz.
L’album verrà distribuito dal 26 giugno come cofanetto di 3 CD (con oltre tre ore di musica) e includerà un corposo libretto introdotto dalle interessanti note firmate da Boris Kehrmann che ripercorrono la genesi dell’opera e del libretto sia nella versione veneziana che in quella romana, delineando parallelismi e differenze nella loro dimensione politica e allegorica. In conclusione, un’operazione di recupero degna di lode. Un’opera che meriterebbe di essere riportata in scena, magari con qualche taglio fatto con intelligenza, soprattutto ai recitativi. La bellezza delle melodie è indiscussa e alcune arie rimangono facilmente impresse.
GISMONDO RE DI POLONIA
Dramma per musica in tre atti
Libretto di Francesco Briani
Musica di Leonardo Vinci
Gismondo Max Emanuel Cencic
Ermanno Nicholas Tamagna
Ottone Yuriy Mynenko
Cunegunda Sophie Junker
Primislao Aleksandra Kubas-Kruk
Ernesto Jake Arditti
Giuditta Dilyara Idrisova
{oh!} Orkiestra Historyczna
Primo violino e direttore Martyna Pastuszka
Maestro al cembalo Marcin Swiatkiewicz
Etichetta: Parnassus Arts Productions
Formato: CD