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Firenze, Teatro del Maggio – Rinaldo

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Dopo l’esperienza estiva nella Cavea, il Teatro del Maggio ritorna nella sua sala principale inaugurando la stagione 2020/21 con Rinaldo di Georg Friedrich Händel, titolo mai rappresentato nelle stagioni del massimo fiorentino, inizialmente previsto a marzo e rimandato causa pandemia. Per l’occasione viene proposta l’ormai storica produzione firmata da Pier Luigi Pizzi, nata trentacinque anni fa al Teatro Valli di Reggio Emilia, e da allora vista quasi ovunque in Italia, Scala inclusa. Si tratta sicuramente di un allestimento che a suo tempo fu rivelatore nel cercare di recuperare un’idea di macchina teatrale del periodo barocco, grazie alla scena fissa, una architettura tardo manierista, animata dai fantastici costumi che ancora mantengono un fascino indiscutibile. Tuttavia la meraviglia finisce alla terza aria risolta con la più grande staticità e lo svolazzare di mantelli: i personaggi altro non sono che statue, animate solo da pochi gesti enfatici, collocate sopra pedane spostate con grande abilità da un gran numero di scuri figuranti, a cui spetta praticamente tutta la buona riuscita dello spettacolo. Non c’è nessun lavoro sui personaggi o sulla drammaturgia, tanto che azioni intere del libretto risultano totalmente annichilite, come ad esempio la trasformazione di Armida in Almirena, perno drammatico del secondo atto, qui vanificato e reso incomprensibile, complici anche i tagli e il pasticcio di versioni scelte – sostanzialmente la versione del 1711 con parecchie interpolazioni da quella del 1731.
Rimane l’idea di un grande elegante teatro dei balocchi, fatto di piccoli soldatini piumati che si muovono in un mondo dai confini ben definiti, sotto delle luci raggelanti come un banco dei surgelati. La rivoluzione del teatro händeliano, e di quello barocco in generale, avvenuta negli ultimi decenni ci ha per fortuna mostrato che quella musica e quei personaggi celano un coacervo di umanità unico e molto più contemporaneo di quanto possa e voglia narrare Pizzi in uno spettacolo ormai da consegnare alla storia.

Almeno la parte musicale dello spettacolo ci mostra ampi sprazzi di questa rivoluzione. Federico Maria Sardelli cerca di far emergere l’architettura orchestrale dell’opera, con un suono pieno e ricco, ma che non sovrasta mai il canto degli interpreti. Questa cura geometrica fa sì che la direzione risulti classica e aulica, di incredibile levigatezza, ma con tempi scattanti e decisi, che aiutano a dare la giusta carica teatrale alla recita. Peccato che l’Orchestra del Maggio Musicale Fiorentino esegua il primo atto con imprecisioni negli attacchi, e con le trombe decisamente fuori forma: il rendimento della prima aria di Argante risulta così tutto tranne che memorabile.

Nel cast spicca la figura del protagonista, interpretato magistralmente da Raffaele Pe. Nonostante un inizio sottotono, a partire dal primo duetto con Almirena, “Scherzano sul tuo volto”, il controtenore mette in mostra tutti i suoi pregi: la voce ampia e duttile, ben sostenuta in tutti i registri, il timbro leggermente ambrato e una capacità di tornire e variare i recitativi perfetta per rendere il personaggio in tutte le sue sfaccettature. Da lì è un crescendo fino all’ultima aria “Or la tromba in suon festante”, eseguita con piglio eroico e colorature ben sgranate che sfociano in galvanizzanti variazioni finali. Accanto a lui, Leonardo Cortellazzi è un Goffredo piuttosto centrato e dalla linea di canto omogenea. Si destreggia bene sia nelle arie di agilità che in quelle più lamentose, come “Siam prossimi al porto”, dove può far sfoggio del bel colore tenorile della voce.
Francesca Aspromonte disegna una Almirena precisa e convincente, anche se piuttosto algida. Lo strumento, leggermente brunito, svetta senza problemi in acuto e risulta ben proiettato. Ottime poi le colorature, sempre eseguite alla perfezione, in particolare nell’ultima aria “Bel piacere”, cantata anche con accenti appropriati.
La coppia di antagonisti appare meno a fuoco. Andrea Patucelli è infatti un Argante dall’emissione morbida e dal timbro scuro, ma che risulta più a suo agio nelle sezioni amorose, come “Basta che sol tu chieda”, piuttosto che nelle arie di coloratura, mancando quindi un po’ l’appuntamento con “Sibillar gli angui d’Aletto”. Carmela Remigio è una Armida che colpisce più per l’impeto teatrale che per la vocalità. Il registro acuto è spesso messo a dura prova, e specialmente nelle agilità appare assai meno saldo rispetto ad altre volte; le cose vanno meglio nei centri, dove riesce a conferire peso drammatico al canto, soprattutto nei recitativi.
A completare il cast troviamo William Corrò quale funzionale Mago Cristiano, Shuxin Li che ben declama i pochi versi dell’Araldo, e le due sirene, Valentina Ruta e Marilena Corò.
Alla seconda recita, la rappresentazione viene seguita con buona partecipazione dal pubblico, comunque dimezzato e collocato a posti sfalsati, ma che può per la prima da mesi volta godersi anche un intervallo. Grandi applausi dopo molte arie, soprattutto quelle del protagonista e delle due donne, sfociano poi in un discreto successo per tutti.

Teatro del Maggio – Stagione 2020/21
RINALDO
Opera seria in tre atti
Libretto di Aaron Hill e Giacomo Rossi
Musica di Georg Friedrich Händel

Goffredo Leonardo Cortellazzi
Rinaldo Raffaele Pe
Almirena Francesca Aspromonte
Argante Andrea Patucelli
Armida Carmela Remigio
Mago Cristiano William Corrò
Donna/Due Sirene Marilena Ruta, Valentina Corò
Un araldo Shuxin Li

Orchestra del Maggio Musicale Fiorentino
Direttore Federico Maria Sardelli
Regia, scene e costumi Pier Luigi Pizzi
Assistente regista e lighting designer Massimo Gasparon
Firenze, 9 settembre 2020

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