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Firenze, Teatro del Maggio – Don Pasquale

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Composta nel 1842, Don Pasquale viene ancora annoverata come opera buffa, genere a cui è legata da una tradizione di personaggi e situazioni quasi ininterrotta fino a quel momento. Sotto questa comicità si nasconde tuttavia un’atmosfera malinconica: una amara e disincantata riflessione sulla vita nelle sue varie sfaccettature, che rende quest’opera un concentrato di umanità quasi in anticipo sui tempi. Dovrà passare mezzo secolo prima di rivedere situazioni simili nel Falstaff verdiano o in quel capolavoro dimenticato che è Die schweigsame Frau di Richard Strauss, che condivide con il dramma buffo di Donizetti l’origine dall’Epicoene di Ben Jonson.

Andrea Bernard cura il nuovo allestimento dell’opera donizettiana al Teatro del Maggio e riesce a coglierne tutte le ambivalenze, evidenziando il lato grottesco che aleggia nel libretto senza palesarsi. Il regista traspone l’ambientazione ai giorni nostri, nel casinò andato in fallimento di Don Pasquale da Corneto. Sulle note dell’ouverture vediamo l’antefatto: quando il locale è ancora prospero e florido, una delle dipendenti viene licenziata da Pasquale per una sciocchezza, ma la figlia di lei e il nipote di lui, ancora bambini, già nutrono dei sentimenti reciproci. Si fanno compagnia in quel mondo asettico, ma le decisioni degli adulti finiranno per separarli. Nel corso delle prime scene, si scopre che quei piccoli non sono altro che Norina e Ernesto; lui lavora come dipendente del casinò mentre lei si guadagna da vivere facendo peep shows. Con l’aiuto di Malatesta, Norina architetta un piano per rovinare il vecchio e riavere l’antico amore: ci riuscirà, manipolando tutti e con un costo emotivo non indifferente, tanto che lo schiaffo del terzo atto finisce per turbare anche lei. Pasquale è sicuramente un uomo senza scrupoli e costretto a girare con la bombola di ossigeno per problemi respiratori, ma attraversa durante la vicenda un percorso di umanizzazione che lo porta a capire tutti i suoi errori: il senso di vuoto che si ritrova dentro finisce per annichilirlo.
Bernard dimostra di avere una salda tecnica registica, data l’abilità nella costruzione delle immagini che si susseguono con vitalità e ricchezza di idee, giocando costantemente sui vari registri del dramma, dai momenti teneri e poetici, come l’aria “Cercherò lontana terra” in cui Ernesto cerca di riappacificarsi con l’amata portandole una scatola di cioccolatini e un palloncino che finisce per volargli via, a quelli più comici che spesso sfociano in situazioni grottesche, come nel Finale II quando Norina sottomette i suoi pretendenti a gattoni in pratiche quasi sadomaso. Tutto ciò è possibile grazie a una immedesimazione perfetta degli interpreti che assecondano totalmente il dettato registico, con una recitazione sicura e spigliata. Non va poi dimenticato l’apporto dato dall’impianto scenografico prevalentemente fisso di Alberto Beltrame animato dalle cangianti e appropriatissime luci di Marco Alba, che conferiscono un ottimo movimento alla scena.

A una siffatta regia non corrisponde però una direzione altrettanto articolata. Antonino Fogliani procede su tempi spediti, riuscendo a mandare avanti la narrazione e a sorreggere piuttosto bene le voci, ma si sofferma poco sui dettagli e i passi concitati appaiono piuttosto tirati via. Da un’Orchestra del Maggio Musicale Fiorentino non sempre precisa e coesa ottiene un suono apprezzabile solo in alcuni momenti più distesi, mentre il resto risulta piuttosto uniforme e incolore. Meglio fa il coro istruito da Lorenzo Fratini, che esegue i suoi pur esigui interventi con proprietà e un buon impasto vocale.

Il cast appare veramente di buon livello a partire dal protagonista, Nicola Ulivieri. La voce risulta ben emessa e connotata da un timbro non scurissimo e poco smaltato, soprattutto in basso. Tuttavia l’interprete è sicuramente abile: accenta e fraseggia in modo appropriato costruendo un personaggio convincente. Davide Luciano si trova a suo perfetto agio nei panni del Dottor Malatesta. La voce è ampia e scura, vanta un timbro gradevole e una linea omogenea. Oltre alla bellezza dello strumento, si apprezzano anche l’accuratezza del fraseggio e la notevole presenza scenica. Maxim Mironov invece non è particolarmente aiutato dall’acustica della sala fiorentina: il peso vocale risulta più esile rispetto all’ascolto in altri teatri. Tuttavia il suo Ernesto è sicuramente meritevole, grazie alla ricerca espressiva in particolare nelle arie, in cui si può notare come lo strumento, pur mantenendo una facile salita all’acuto, abbia adesso dei centri molto seducenti, valorizzati dal tenore con bellissimi giochi di colori sempre intenti a esaltare il valore drammatico della parola. Marina Monzó tratteggia una Norina assai spigliata e sfaccettata. L’emissione è corretta e mette in luce soprattutto la corposità dei centri, ma anche la saldezza del registro acuto; le agilità sono inoltre affrontate con sicurezza. La buona organizzazione vocale si accompagna a un fraseggio approfondito e a una disinvoltura scenica encomiabile, così da costruire un personaggio sempre convincente e mai banale. Completa il cast il notaio di Francesco Samuele Venuti che evita i cachinni di tradizione e dispiega la sua bella voce di basso nelle poche frasi a lui riservate nel secondo atto.
Il numeroso pubblico della prima dispensa applausi convinti agli interpreti e al direttore, ma contesta la messa in scena.

Teatro del Maggio – Stagione 2019/20
DON PASQUALE
Dramma buffo in tre atti
Libretto di Giovanni Ruffini e Gaetano Donizetti
Musica di Gaetano Donizetti

Don Pasquale Nicola Ulivieri
Dottor Malatesta Davide Luciano
Ernesto Maxim Mironov
Norina Marina Monzó
Un notaro Francesco Samuele Venuti

Orchestra e Coro del Maggio Musicale Fiorentino
Direttore Antonino Fogliani
Maestro del coro Lorenzo Fratini
Regia Andrea Bernard
Scene Alberto Beltrame
Costumi Elena Beccaro
Luci Marco Alba
Videomaker Pierpaolo Moro
Movimenti coreografici Paolo Arcangeli
Nuovo allestimento del Maggio Musicale Fiorentino
Firenze, 21 febbraio 2020

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