L’ascolto di questo cd apre un mondo e fa riflettere. Non è solo la qualità esecutiva a centrare il segno, ma vincente anche la scelta di mettersi al servizio della diffusione di un repertorio poco noto, per conoscerlo e mostrare le caratteristiche che fanno del tenore lionese Julien Behr uno dei giovani cantanti lirici francesi che sanno meglio restituirci un canto che è, soprattutto, riflesso di uno stile. Lo spiega bene Alexandre Dratwicki nelle note di copertina, quando si riferisce alle tante declinazioni vocali che l’opera francese ottocentesca e dei primi del Novecento offre alla corda di tenore: dalla vocalità del grand-opéra degli anni Trenta dell’Ottocento, a quella più leggera dell’opéra-comique, che spesso chiede al tenore l’utilizzo delle emissioni di testa per il registro acuto, fino all’opéra-lyrique di Bizet e Gounod. Senza dimenticare, ovviamente, il retaggio lasciato dall’opera del Primo Impero di Méhul e Cherubini, che chiede al tenore un impegno su tessiture più centrali, mentre negli anni Quaranta dell’Ottocento, con Adam e Auber, la vocalità si fa più acuta e virtuosistica. Poi arriva Massenet, che dona al tenore di stampo francese un ventaglio di possibilità vocali e espressive tali che ancora oggi, quando si pensa a come affrontare la parte di Werther, la si immagina legata a una vocalità alla Georges Thill, quindi più lirica, in alcuni casi ancor più intensa, oppure più aggraziata e raffinata, ed allora si pensa a Tito Schipa o ad Alfredo Kraus.
Insomma, al tenore, l’opera francofona regala innumerevoli possibilità, sfumature e sfide vocali, alternando nel canto dolcezza e potenza, declamazione e finezza nell’utilizzo della cosiddetta voce di testa. Questo cd non sceglie la via delle scelte facili, ma come sempre capita per i dischi che escono in collaborazione con il Palazzetto Bru Zane, Centre de Musique Romantique Françoise – attento alla riscoperta del patrimonio poco noto o addirittura dimenticato dell’opera francese del XX secolo – si mettono insieme brani che testimoniano la varietà di questo percorso, ma anche l’amore che un tenore di estrazione e scuola francese ha per il repertorio non strettamente legato alla sua terra, adottando un modus operandi stilistico improntato sul senso profondo della melodia. Ecco il perché della scelta di inserire due pagine dell’operetta austro-danubiana, questa volta assai note anche se eseguite in lingua francese, come l’aria di Sou-Chong da Das Land des Lächelns e quella di Camille de Rossillon da Die lustige Witwe di Franz Lehár, che qui divengono “Je t’ai donné mon coeur” da Le pays du sourire e “Viens dans ce joli pavillon” da La veuve joyeuse. Si aggiunga, per finire, l’omaggio alla canzone francese d’autore, con “Vous, qui passez sans me voir”, resa immortale dal celebre chansonnier Charles Trenet nel 1937.
Per il resto i brani scelti si muovono per lo più nell’ambito di un canto di grazia che si avvicina a quelle che sono le qualità di questo giovane tenore francese, un tenore “de demi-caractère” che ha un timbro qualitativamente allettante e dei centri di tutto rispetto, ma soprattutto una grazia e un modo di articolare le frasi come solo i francesi possiedono quando avvicinano il loro repertorio; in questo sono rigorosi e non ammettono deroghe a uno stile di canto incentrato appunto sull’espressione della parola, che va accarezzata o accentata per meglio valorizzare la bellezza della melodia, colta in tutta la sua eleganza, con finezza e varietà di colori. Melodia che in pagine come quella che apre il cd, l’aria “Ô chère et vivante image” dall’opera Cinq-Mars, appare subito fascinosa come spesso e volentieri capita in un campione dell’opéra-lyrique come Charles Gounod. Eppure, se si vuole coglierne la verità secondo lo stile di canto francese, va intimamente connessa alla parola in tutte le sue inflessioni, anche nelle pause e in un canto di grazia che, proprio perché legato alla pronuncia del testo, si fa sentimento ancor prima che la bellezza del suono assecondi il fluire della melodia, “recitandola” in note. Lo stesso capita di sentire ammirando la serenata di Henry Smith, “À la voix d’un amant fidèle”, da La jolie fille de Perth di Georges Bizet, o le pagine di Léo Delibes: la prima, assai rara, da Jean de Nivelle, dove al tenore viene chiesto un certo impeto e eroismo, soprattutto nel recitativo declamatorio “J’ai vu la bannière de France!” che precede l’aria, “C’était l’honneur et le devoir”, di stampo più elegiaco; la seconda da Lakmé, con la più nota cavatina di Gérald “Fantaisie aux divins mensonges”. Entrambe le opere ebbero come primo interprete il leggendario tenore francese Jean-Alexandre Talazac.
Improntata su un canto amoroso intriso di nostalgia è l’aria di Wilhelm Meister, “Elle ne croyait pas, dans sa candeur naïve”, da Mignon di Ambroise Thomas, mentre la melodicissima berceuse “Cachés dans cet asile”, da Jocelyn di Benjamin Godard, simbolo della vocalità francese tardo ottocentesca più raffinata, insiste su una tessitura acuta che richiede leggerezza e grazia. Quest’ultima pagina fu cavallo di battaglia del tenore Victor Capoul, notissimo nella Parigi del Secondo Impero per il fascino della sua figura; un dandy, ricercatissimo, che fece tendenza per l’eleganza, il modo di vestire e per l’allora imitatissima “coiffure à la Capoul” (con la frangia a foglia) di moda nella “ville lumière” fino alla fine del secolo. Capoul non solo fu interprete dell’opera ma contribuì anche, insieme a Paul Armand Silvestre, alla stesura del libretto ispirato al poema morale e religioso di Alphonse de Lamartine sullo sfondo di una vicenda d’amore; poi incise la berceuse a inizio Novecento, già avanti coll’età, anche se qua e là fa percepire il profumo di uno stile di canto francese quasi perduto, quello del tenore di grazia francese di metà Ottocento, che emergeva nell’opéra-comique e nell’opéra-lyrique e che, nel cd in questione, troviamo declinato senza troppi fronzoli da Julien Behr, con eleganza, ma senza compiacersene, né cercando nei suoni misti quel biancore aggraziato tipico, ad esempio, di Edmond Clément, David Devriès, André d’Arkor e Alain Vanzo e, ancor più, arrivando a sconfinare nell’ambito del mondo della canzone (un tempo affidata a vere voci), di Tino Rossi, mentre lasciando l’ambito delle voci di scuola francese mi piace citare alcuni celebri tenori attirati dalla bellezza di questa pagina, passando dal canto pastosamente morbido di Beniamino Gigli alla classe di Nicolai Gedda, fino all’argento timbrico di Jussi Björling. Behr non tocca simili vertici, ma il suo canto è pulito, limpido e comunicativo quanto basta.
Assolute chicche sono anche le arie “J’amais la vieille maison grise” da Fortunio di André Messager e la sconosciuta scena e aria di Jean da Le chevalier Jean di Victorin Joncières, compositore di impronta quasi wagneriana per l’uso dell’orchestra e le atmosfere espressive.
Non mancano nel cd pagine solo strumentali, assai rare, come l’”Habanera” di Emmanuel Chabrier, “La Nuit et l’Amour” dall’ode sinfonica Ludus pro patria di Augusta Holmès e “Aux étoiles” di Henri Duparc.
Il percorso di carriera di Julien Behr si è sviluppato per lo più in Francia, così come i riconoscimenti che l’hanno già portato a solcare importanti palcoscenici parigini e a debuttare nel 2009 al Festival di Aix-en-Provence. Il suo repertorio spazia dal barocco all’opera del Novecento storico, con diverse incursioni in Mozart e un approccio all’opera romantica italiana che l’ha già visto coprire i panni di Edgardo in Lucia di Lammermoor. Il canto di grazia francese è quello in cui ha certamente modo di esprimere il meglio di sé. Lo fa confermando una padronanza assoluta della prosodia francese, evidente nella breve e delicata aria da Fortunio, davvero miniata sul senso della parola e su un soffice sottofondo sonoro, con quel tono confidenziale borghese che ammalia nel ricordo del focolare domestico quale luogo dove l’anima trova pace e ristoro, così come nella berceuse da Jocelyn, intimo richiamo al sonno come oasi di pace assistita da celesti custodi.
C’è poi l’eleganza fatta di ombre e luci che, pur tenendolo a debita distanza da zuccherosi languori, lo conferma tenore francese a tutto tondo, capace di dar morbidezza ai centri con quello charme che all’occorrenza si colora di grazia e tenera delicatezza senza che esse appaiano unicamente piegate a un canto monotonamente languoroso nello sfumare i suoni e nel legarli. Vi è insomma in questo giovane il segreto di una tradizione tenorile che affonda le radici in un passato leggendario. Farlo rivivere oggi non è facile, ma conoscendo gli strumenti dello stile, complice l’accompagnamento raffinato e ricercato in colori e timbriche orchestrali ottenute da Pierre Bleuse alla guida dell’Orchestre de l’Opéra de Lyon, i risultati sono più che ragguardevoli, con momenti di vera magia. È strano a dirsi, ma al segreto di tutto questo si arriva al momento in cui si ascolta l’ultima traccia, con la già citata canzone “Vous, qui passez sans me voir”, che Behr ricorda essere la preferita dal nonno scomparso poco prima dell’incisione di questo cd e al quale la dedica. La intona con quella umana semplicità che affascina andando diritto al cuore della sensibilità francese, intrisa di nostalgia e d’amore, di addii e d’inappagato desiderio di dolcezza. Quella dolcezza che Behr trova nel senso della parola e in un fraseggio accuratissimo nel porgere suoni, vocali e frasi, prima ancora che soffermarsi sull’indubbio fascino di un canto dove le cause sono più importanti degli effetti.
CONFIDENCE
Julien Behr, tenore
Pierre Bleuse, direttore
Orchestre de l’Opéra de Lyon
Etichetta: Alpha
Formato: CD
Registrazione effettuata all’Auditorium di Lione
dal 7 all’11 luglio 2017