È prematuro prevedere se in Italia il ventisettenne Samuel Mariño incontrerà i favori della critica e del pubblico, come è avvenuto in Germania, la nazione che lo ha adottato come cittadino berlinese anche se le sue origini sono venezuelane e la formazione, iniziata a Caracas, è proseguita al Conservatorio di Parigi e poi a Salisburgo, qui sotto la guida di Barbara Bonney. Dopo essersi segnalato nel giugno 2017 al concorso di Marsiglia, in Germania ha ricevuto nello stesso anno il premio del pubblico al concorso “Neue Stimmen” a Gütersloh, dove si è esibito cantando (scelta invero bizzarra) nientemeno che l’aria di Cleopatra “Da tempeste il legno infranto” da Giulio Cesare di Händel. Da quel momento sono arrivate le importanti affermazioni in ambito barocco, a partire dall’Händel Festival di Halle in Berenice. La critica tedesca è andata in visibilio, forse colpita dalla singolarità del timbro, dall’estensione che permette al giovane sopranista di muoversi su tessiture che sono proprie al soprano, anche le più estreme, arrivando, nelle scelte del repertorio, a uscire dal barocco per discutibili incursioni operistiche ottocentesche (sul suo canale YouTube si trovano infatti l’aria di Oscar “Saper vorreste” da Un ballo in maschera di Verdi e, addirittura, la pazzia di Elvira da I puritani di Bellini!). Null’altro che esperimenti, almeno ce lo auguriamo. Eccoci ora al recital inciso per l’esordio discografico con l’etichetta Orfeo.
Nella tradizione controtenorile non è né il primo né l’ultimo falsettista che sfrutta le naturali caratteristiche sopranili per imporsi nel barocco, come già in tal senso attestato da diversi modelli passati. A partire da quello che agli inizi di carriera fu il nostro Angelo Manzotti e più ancora dal greco Aris Christofellis – da considerarsi un po’ come i pionieri più coraggiosamente pirotecnici nell’approccio al repertorio che fu dei castrati affidato a un controtenore-soprano – diversi sono gli esempi affacciatisi alla ribalta in questi ultimi anni, più o meno persuasivi, passando da Robert Crowe, fino al timbro innocentemente infantile di Dominique Visse e a quello trasparente e adolescenziale di Philippe Jaroussky, quest’ultimo certo, se ci si sofferma sulla preziosità del timbro, il più noto e accreditato fra i sopranisti attualmente in circolazione, non a caso considerato un divo. Non si manchi di citare, fa le nuove leve, Bruno de Sá, brasiliano che parrebbe porsi, seppur con maggior intensità vocale rispetto a Samuel Mariño, come suo diretto rivale e poi, per analogia vocale, quelle che sono state le non meno significative testimonianze lasciate da timbri rari e davvero unici come quello del moldavo Radu Marian e da altri cantanti che, in area tedesca e francese, si sono mossi nella sfera sopraneggiante, come Arno Raunig e Fabrice di Falco.
Dall’ascolto dei brani che compongono le tracce di questo cd (nel quale non si ha remore nel definirlo soprano) si avverte inoltre la volontà di realizzare un recital per nulla scontato, che non ricostruisce ma evoca la memoria di un concerto tenutosi a Londra, il 24 marzo 1746, al Teatro di Haymarket, quando il già maturo Händel, che aveva lasciato l’opera per dedicarsi al maggior successo incontrato dagli oratori, si trovò a confrontarsi con un compositore più giovane, meno noto eppure già talentuoso, Gluck, che allora non aveva ancora preso la piega riformatrice che caratterizzerà la sua produzione a venire. A Londra, dove Gluck giunse probabilmente alla fine del 1745, si propose come autore di opere serie all’italiana, mettendo però già a frutto una cura dello strumentale decisamente più articolato e denso rispetto a quello händeliano. Questo recital, invero, non propone il medesimo programma di quella serata, eppure accosta i due compositori mettendoli a confronto su un analogo terreno, quello belcantistico. Interessante è anche notare come Gluck sembra quasi voglia anticipare, nell’aria di Demetrio, “Già che morir deggio”, da Antigono, il tema di quella che diverrà l’aria del protagonista “Che puro ciel” in Orfeo ed Euridice, prima opera della riforma.
Veniamo nel dettaglio al programma. Si parte con Händel e si ascoltano l’aria di Alessandro, “Che sarà quando amante accarezza”, da Berenice, cui seguono tre pagine di Meleagro da Atalanta, “Care selve”, “Non sarà poco” e “M’allontano, sdegnose pupille” e la bellissima aria di Sigismondo con oboe obbligato, “Qual fiamma”, da Arminio, tutte parti pensate per il castrato Gioacchino Conti, detto il Gizziello. Si passa a Gluck con le prime registrazioni assolute della scena e aria di Berenice, “Berenice, che fai…Perché, se tanti siete”, e di Demetrio, “Già che morir deggio”, da Antigono. Seguono quella di Massinissa, “Tornate sereni”, da La Sofonisba e quella di Atalanta, “Quel chiaro rio”, da La Corona e, infine, l’aria di Oronte, “Care pupille”, da Il Tigrane, pagina che fra l’altro dà il titolo al cd, tutte tratte da opere del Gluck pre-riforma rappresentate in Italia, a Roma e Milano, o in Austria, a Vienna.
A un programma così interessante si affianca il tentativo del giovane Samuel Mariño di farsi apprezzare per un timbro che non neghiamo essere singolare, di autentico soprano, dalle venature sottili e affilate, fragili e delicate, tutte proiettate nella sfera acuta; insomma, una sorta di soprano leggero, un dagherrotipo falsettante di Mado Robin. Nel canto di agilità lo si ascolta gorgheggiare come un usignolo, trillare con delicata disinvoltura e spingersi nelle più alte sfere del pentagramma, con qualche incidente di percorso quando nelle note estreme il suono, seppure brillante e luminoso, diventa alquanto fisso, mentre in quello patetico prevale un’incorporea asessualità timbrica sulla quale Mariño fa bene a compiacersi nel perseguire l’artificio barocco, ma talvolta ne abusa perdendo per strada il controllo dell’emissione. Nella citata aria gluckiana “Già che morir deggio”, alcune note filate sono troppo manierate fino a rasentare – ci sia concesso – il miagolio, così come gli effetti d’eco paiono mielosi sussurri. Non possiamo dire se per questo giovane cantante, che è accompagnato assai bene e con tutto il rigore stilistico del caso dalla Händelfestspielorchester Halle diretta dallo specialista Michael Hofstetter, l’ascolto dal vivo possa attenuare le perplessità che per ora lo vedono perfettibile in quel canto d’espressione che per convincere non può affidarsi unicamente all’indiscutibile naturalezza del timbro sopraneggiante e allo stupore che da subito provoca, bensì superare ogni meccanica freddezza o sdolcinato sentimentalismo. Ancora un esempio. La messa di voce richiesta all’inizio di “Care selve” non dovrebbe ridursi a una nota filata fischiante che, seppur chiusa con un bel trillo inframmezzato da un picchettato, non ha vibrazione e reale sostanza emozionale. Insomma un canto, il suo, che per ora pare segnalarsi, seppur nell’ottica del rigore stilistico barocco e dell’indubbia flessibilità ed estensione vocale, come “fenomeno” racchiuso nella sua peculiare autoreferenzialità timbrica di soprano in corpo maschile, invece che imporsi in quel canto d’espressione e d’acrobazia vocale capace di divenire autentico riflesso della retorica vocale barocca e di quello che fu il perduto canto degli evirati cantori. Il tempo ci dirà se abbiamo torto.
CARE PUPILLE
Händel – Gluck
Samuel Mariño soprano
Michael Hofstetter direttore
Händelfestspielorchester Halle
Formato CD: Orfeo
Registrazione effettuata ad Halle, Volkspark
dal 28 al 31 ottobre 2019